Huck Finn padre della tv di Claudio Gorlier

Huck Finn padre della tv L'eroe di Mark Twain Huck Finn padre della tv BT ULLA è più utile che ri» prendere una discussioni ne che sembrava sopita. ■ La supposta scoperta da OJ parte di una studiosa americana, di cui La Stampa ha opportunamente dato notizia, che il linguaggio di Huckleberry Finn nel capolavoro di Mark Twain sia tratto dal discorso immediato di un ragazzo povero ascoltato dallo scrittore, è discussa da parte della critica americana da almeno vent'anni. Pure, vale la pena di riprendere la notizia per almeno due motivi: uno, che secondo la professoressa Fishkin il linguaggio e lo stile del libro sono presi a prestito da un nero; l'altro, che l'osservazione ci induce a ripensare il romanzo in un'ottica non soltanto letteraria. La fresca ristampa del libro, con prefazione di Pietro Citati, nei «Superclassici» della Bur rizzoliana (Mark Twain, Le avventure dì Hncklebeny Finn), ci mette a disposizione il testo per tutta una serie di verifiche. Già all'inizio degli Anni Ottanta un autorevole e brillante studioso italiano trasferitosi negli Stati Uniti, Glauco Cambon, aveva sottilmente indicato un parallelismo tra Huck e Charlot, entrambi «eroi della cultura popolare», incarnazioni «del mito del vagabondo», ove pathos e risata coesistono acquistando una valenza di critica e di satira sociale. Se facciamo ancora un passo avanti, possiamo tranquillamente affermare, avvalendoci delle osservazioni di Cambpn, che in effetti il romanzo di Mark Twain possiede un taglio e un ritmo cinematografico, e che il cosiddetto «occhio innocente» del fanciullo si impadronisce della realtà come una macchina da presa. Ciò spiega, verosimilmente, lo scarso successo delle trasposizioni cinematografiche del romanzo, perché il film stava già nel romanzo. Pensiamo al caso dei film western più avveduti e ambiziosi. Il loro linguaggio verbale è gremito di termini d'epoca, che si trovano in Twain. Mi capitò, molti anni or sono, di vedere un western in televisione a Berkeley, e di chiedere al mio vicino, un dentista di fama e anche di buone letture, se conoscesse il significato di galoot, «mattocchio», «eccentrico», parola che compariva nel film e che si incontra in Twain. Mi confessò che non lo sapeva, e mi ringraziò per averglielo insegnato. Per me, la cosa valeva nei termini di una conferma che sia un buon western sia la narrativa di Mark Twain affondano le loro radici nella più autentica oralità, un bene raro e il dato di fatto die indusse Hemingway a indicare in Twain il primo, e irripetibile, grande classico della letteratura americana. Facciamo, però, un secondo passo, per renderci conto che il romanzo twainiano anticipa, spesso in modo sorprendente, l'oralità del linguaggio televisivo, che si può leggere come un originale televisivo a puntate, ancora una volta per il linguaggio e poi per le situazioni e la loro messa a fuoco. Sicuramente Hncklebeny Finn è stato letto da generazioni in questa prospettiva; mi azzarderei a dire che è stato visto, in età pre-televisiva, come una narrazione visuale costruita secondo una struttura visuale e con un ritmo analogo. In più, con una forza trasgressiva conquistata soltanto faticosamente dalla televisione, e che indusse biblioteche pubbliche e autorità scolastiche a proibire Hncklebeny Finn quale resto eversivo e moralmente diseducativo. Una riflessióne ulteriore ci conduce, poi - precisamente per il rapporto tra oralità, scrittura e visualità -, a considerare il romanzo di Twain quale serie ben concatenata di «strisce», di fumetti in cui (pensiamo a Peamits) i ragazzi divengono protagonisti e tendono a espellere gli adulti dal loro mondo avventuroso e fantastico, se mai stabilendo un rapporto spontaneo e diretto con gli animali e una natura non ancora violentata, non ancora sottomessa, il Territorio indiano ove, alla fine del libro, Huck pensa valga la pena di spingersi. A questo punto, sostenere che non esistono diaframmi tra il linguaggio del bianco Huck e del nero Jim, come dichiara la studiosa americana, mi sembra piuttosto azzardato. Che entrambi rechino sulla pagina le cadenze dell'oralità popolare è incontestabile, e in questo modo essi fissano un percorso che giungerà, con tutta evidenza, fino ai personaggi di Faulkner. Concederei pure che non si possa parlare di razzismo in senso stretto, ma che piuttosto Twain trascriva tabù e pregiudizi caratteristici della società sudista prima della guerra civile, ironizzandovi, esponendoli al ridicolo, mostrandone la durezza, poiché sappiamo che sussiste in Hncklebeny Finn, accanto all'innocenza, alla fantasia, all'avventura, una non indifferente dimensione di crudeltà. Ma Huck conserva, fatalmente, anche nel discorso, una misura di accondiscendente paternalismo nei confronti del nero Jim, così come va oltre il gusto per il gioco e per l'ingenua mistificazione di Tom Sawyer, onde bene a proposito Citati rileva che le sue bugie sembrano più reali della stessa realtà. Secondo le categorie mentali e di comportamento di un sudista illuminato, Huck nega la schiavitù e vuole Jim libero; non lo chiuderebbe mai in un ghetto, ma non riuscirà mai ad accettare l'idea che i neri siano in tutto e per tutto uguali, almeno per ora, neppure nel linguaggio che non possiedono. Dopo le esplosioni razziali di Los Angeles, l'atteggiamento di Huck e del suo autore sollecita qualche precisazione. La società sudista che Twain amava al punto da arruolarsi, sia pure per brevissimo tempo, tra le forze confederate, in quanto società rurale, il cui linguaggio Twain appropria, era ed è maggiormente in grado, al di là delle sue frange estreme, di istituire una convivenza con l'individuo altro, pur se altro egli rimane. Il ghetto è tipico della grande metropoli industriale e, alla luce degli avvenimenti recenti, vale la pena di riprendere in mano uno scritto di Mark Twain del 1901, intitolato spietatamente The United States of Lyncherdom, gli Stati Uniti del linciaggio, nel quale egli denuncia la partecipazione di ragazzi - Huck Finn pervertiti - a linciaggi, e invita beffardamente i missionari americani in Cina a ritornare e convertire i propri compatrioti. Twain guarda con orrore a un futuro che si spinge in qualche modo fino a noi. Questo è il dramma, che Citati addita, di molti Huck Finn: dover tornare a casa, abbandonare l'Eden, non realizzare l'utopia. Ma il Territorio, nonostante lo sterminio degli indiani, esiste se non altro quale rifugio della mente. Conviene ricordarlo in mezzo ai festeggiamenti per la Grande Scoperta. E forse è un discendente di Huck il personaggio che prende come sfida l'abito pellerossa ih Taxi Driver di Scorscse. Claudio Gorlier

Luoghi citati: Berkeley, Cina, Los Angeles, Peamits, Stati Uniti