Farouk, un volto ai rapitori

Farouk, un volto ai rapitori La banda sarebbe in rotta, i nomi dei capi sono conosciuti. Resta il giallo della liberazione Farouk, un volto ai rapitori Gli inquirenti sicuri di catturarli COSTA SMERALDA DAL NOSTRO INVIATO Dei banditi si saprebbe tutto, o quasi. Il problema è trovare le prove, ma anche quelle arriveranno, fanno intendere gli inquirenti e si lascia filtrare che presto potrebbero esserci arresti. Un capitolo molto seguito, questo delle indagini sui criminali che per 177 giorni hanno tenuto in ostaggio Farouk Kassam, di 8 anni, e lo hanno mutilato all'orecchio sinistro. Seguito e atteso perché potrebbe smorzare la polemica rovente seguita alla liberazione, gettare acqua sul caso Mesina nel quale sembra essersi trasformato il caso Farouk. Inutile insistere: le due verità emerse dopo la liberazione non collimano, neppure un po'. Quella ufficiale vuole la banda in rotta, l'ostaggio liberato senza il pagamento del riscatto, l'estraneità dell'ex re del Supramonte ad ogni tentativo per arrivare alla liberazione; anzi, «Grazianeddu» rischia di finire sotto inchiesta. L'altra, pone in evidenza il ruolo di Mesina, il pagamento di un riscatto di circa 3 miliardi per mettere insieme i quali sarebbero intervenuti quelli dei servizi segreti. Non solo, tanta generosità non sarebbe stata disinteressata: l'idea, infatti, era di seguire con circospezione Mesina, usarlo come esca, fare un'irruzione al momento del baratto, liberare il bambino, agguantare i briganti e, infine, risparmiare i soldi dei contribuenti. Ora che è finita, anche i personaggi del dramma parlano più volentieri e Giomaria Orecchioni, che ha accompagnato Fateh Kassam a riprendersi il figlio, ricorda: «Sono stati sei mesi d'inferno, un incubo». E lui, Orecchioni, era la seconda volta che viveva un dramma simile perché nel 1989, quando fu rapito un altro suo amico, l'imprenditore romano Giulio De Angelis, lui dovette prender parte alle trattative. E così ora ricorda: «Per mesi, con Fateh, abbiamo percorso migliaia di chilometri alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarci a liberare Farouk. Sì, è vero: Graziano Mesina è stato molto importante nella fase più delicata di questa faccenda, ma non posso dire di più». Dunque, le due verità s'intrecciano sempre più strettamente. Il riscatto è stato o no pagato? Il riscatto non «doveva» essere versato perché con il blocco dei beni la legge lo impedisce. «Il sequestro del patrimonio vuol dire semplicemente creare uno sbarramento giuridico fra i rapitori e l'utile economico che vogliono realizzare attraverso il rapimento», chiarisce Piero Luigi Vigna, procuratore della Repubblica a Firenze, convinto sostenitore della bontà di quella che hanno chiamato la «linea dura». Ci sono sanzioni penali aspre per chi trasgredisce, «tranne che per i prossimi congiunti». Ma esistono anche casi particolari in cui l'ostacolo può essere aggirato, spiega Vigna. «La legge prevede che il giudice delle indagini preliminari, il gip, su richiesta del pubblico ministero possa autorizzare il pagamento del riscatto ma solo se è finalizzato all'individuazione o alla cattura dei sequestratori o alla raccolta di elementi di prova». Ma per il rapimento di Farouk la magistratura non ha autorizza¬ to niente, e ciò significa che non ha creduto di poter raccogliere prove o indizi corposi attraverso il denaro. Prove che, fino ad oggi, non paiono essere così solide, anche se gli inquirenti lasciano capire di aver «ricostruito tutto, dal primo momento del sequestro». Tranne, naturalmente, ciò che è successo in quell'ultima ora e mezza. «Tocca ora alla superprocura valutare gli elementi e decidere la prossima mossa. Gli accertamenti sono completati», ha detto Salvatore Mulas, capo della squadra mobile di Nuoro. E Mauro Mura, sostituto procuratore, sottolinea: «Noi abbiamo un metodo, dobbiamo acquisire le prove». La banda sarebbe numerosa e all'interno ci sarebbe stata una frattura, proprio per quei maledetti soldi: tre miliardi erano stati richiesti al momento del kiddnapping, da pagare in fretta; poi la cifra era arrivata a dieci, finché l'accordo è stato per circa tre. Ma quei soldi che vanno divisi fra molti, agli occhi dei criminali hanno davvero il valore di trenta denari. E c'è chi teme che possano riprovare, e presto, a catturare qualcuno. Un rischio grande, perché nei coni d'ombra c'è anche quello della «prigione». S'ignora, infatti, dove sia stato tenuto il bimbo, anche se Farouk ha raccontato di essere rimasto immobile per tanto tempo in un luogo angusto. Ora c'è chi si sente un po' perseguitato dai sospetti. A Orgosolo la gente sa che il loro è chiamato il paese dei banditi e il sindaco, Mario Monni, democristiano, dice: «Sono estremamente felice per la liberazione. Ho un figlio più o meno della stessa età di Farouk e mi sento emotivamente coinvolto in questa situazione. Certo, avremmo tutti preferito che l'avessero rilasciato prima e un po' distante dal nostro paese». E' vero, non è stata casuale la scelta di Marion Evelyne Bleriot, madre di Farouk, quando è corsa proprio a Orgosolo per 1'«appello alle madri di Sardegna». «Tutta questa vicenda potrebbe avere effetti ingiusti sulla collettività orgosolese», lamenta il sindaco Monni. Che è cugino di don Luigino, parroco di Galanoli, scelto come postino dai criminali quando hanno deciso di inviare alla famiglia la cartilagine dell'orecchio mozzato al piccolo ostaggio. Anche stavolta i sacerdoti non hanno avuto una parte secondaria, come spesso è accaduto per altri drammi, e don Raimondo Fresi, parroco di Stella Maris, la chiesetta bianca di Porto Cervo, ieri mattina alla messa, ha detto alla folla che ascoltava in silenzio: «Finalmente siamo usciti da un incubo». E a sera è arrivato anche monsignor Pietro Meloni, vescovo di Nuoro da due settimane, venuto nella chiesetta per la cerimonia del ringraziamento. Ha sottolineato còme il ritorno del bimbo sia «un miracolo dell'amore di Dio che ha ascoltato la preghiera di Farouk.che.prega dicendo: "DiqJ^ grande", della sua famiglia é di tutta la Sardegna. Questo bimbo è l'agnello sacrificale diventato lo spartiacque per una Sardegna nuova, diversa rispetto al problema dei sequestri». Vincenzo Tessandori Nuovamente smentito il pagamento del riscatto Adesso «Grazianeddu» rischia di finire nei guai A destra, Farouk, con il cappello della polizia, davanti alla porta della sua villa, insieme con un amico, il giorno dopo la liberazione. A sinistra: Mauro Mura, il sostituto procuratore che coordina le indagini

Luoghi citati: Firenze, Nuoro, Orgosolo, Sardegna