Pensioni, riforma a metà

Pensioni, riforma a metà Pensioni, riforma a metà E nel Parlamento trappole in agguato ANALISI ÈraìvìLBeT TRE sono i requisiti per una appropriata riforma del sistema previdenziale italiano. Le recenti decisioni governative li hanno soddisfatti soltanto in parte. Il primo requisito è l'equiparazione delle normative fra i diversi regimi, e in particolare tra i dipendenti privati e i dipendenti pubblici. I secondi hanno tradizionalmente goduto di privilegi assurdi, quali il pensionamento dopo soli 15 o 20 anni di lavoro, e perciò in età anche inferiore a 35-40 anni. Sotto questo profilo, il disegno di legge delega approvato dal governo si limita a prevedere una generica e graduale estensione al settore pubblico delle regole del settore privato. Il secondo requisito è la correzione delle tendenze che, entro due decenni, porterebbero il fondo pensioni lavoratori dipendenti dell'Inps a dover applicare, per quadrare i conti, un'aliquota contributiva dell'ordine del 45 per cento (e del 55 per cento dopo un altro paio di decenni). Poiché aliquote di questo livello sono insosteni¬ bili, il sistema sarebbe votato a un irrimediabile disastro. Il disegno di legge interviene sull'età di pensionamento (portandola a 65 anni), sull'anzianità minima necessaria per ottenere la pensione (elevata da 15 a 20 anni), sul periodo di computo della retribuzione media pensionabile (non più 5 ma 10 anni). Tutte queste innovazioni prenderanno corpo con gradualità: né, per il rispetto dei diritti acquisiti, sarebbe possibile altrimenti. Verrà inoltre prevista la facoltà di scegliere il pensionamento alle età attuali (55 e 60 anni, rispettivamente per donne e uomini) in cambio di una modesta decurtazione della pensione. Nulla è innovato quanto alla pensione di anzianità, conseguibile, a qualsiasi età, dopo 35 anni di contribuzione. Tutto ciò non basta. La riduzione delle pensioni richieste prima dei 65 anni dovrebbe essere commisurata con criteri attuariali alla maggiore durata della vita residua, e quindi assai più incisiva di quanto non sembri previsto. Il requisito per la pensione di anzianità dovrebbe, anch'esso gradualmente, salire a 40 anni, computati sui soli periodi di lavoro effettivo, non anche su riscatti e contribuzioni figurative. Senza queste misure, il risparmio di spesa sarà poco consistente. Il terzo requisito è un qualche provvedimento che incida subito - e non soltanto gra¬ dualmente - sulla spesa. Il governo ha proceduto con decreto legge a stabilire che nel 1992 le pensioni aumentino entro i soli limiti dell'adeguamento monetario, e non più in termini reali. Questo è un passo opportuno, del quale si deve rendere merito al governo anche se i commentatori l'hanno generalmente ignorato. Per avere effetti incisivi, esso dovrebbe però essere ripetuto ancora per qualche anno. Poiché, infine, così le misure disposte con disegno di legge delega come quelle sancite con decreto legge debbono passare al vaglio del Parlamento, gli effetti delle decisioni governative sono soggetti al rischio di una ulteriore edulcorazione. Nell'ultimo anno della precedente legislatura, il pur blando progetto di riforma del ministro Marini è stato fatto oggetto di un miope e meschino «jeu de massacre». Se le nuove Camere si comportassero nello stesso modo, il loro errore sarebbe oggi ancora più colpevole. Onorato Castellino I ministro Nino Cristofori

Persone citate: Nino Cristofori, Onorato Castellino I