I NOSTRI SOGNI IN CELLULOIDE

C'erano una volta i cinema, a Torino I NOSTRI SOGNI IN CELLULOIDE Continua il calo di spettatori (-147 mila in sei mesi): è finita l'epopea del grande schermo? C'erano una volta i cinema, a Torino E alle 5 il tè chantant LJT EMORRAGIA continua: * 147.444 spettatori in I meno nel primo semestre del '92 rispetto allo stesso periodo del '91 (- 8,76%). Il pubblico cinematografico, -secondo l'ultima indagine Siae, cala, «vola» verso altri divertimenti. Il fenomeno è quasi costante, dalla metà degli Anni 70, dall'esplosione delle tv commerciali. Non tutto il cinema è però diventato un caro estinto. Gli schermi delle prime visioni, con le multisale, sono più che raddoppiati rispetto agli anni del boom. Quello che si è Li :ece irrimediabilmente smarrito è il divertimento popolare delle seconde, terze visioni, delle sale di periferia che inghiottivano migliaia di famiglie ogni settimana. Ai fasti delle origini si legano i nomi di due locali leggendari. Il Ghersi, progettato da Cerasa, fu inaugurato nel dicembre 1915, in via Roma, angolo via Andrea Doria. Era la prima casa con portici della via. Tutti gli artisti e intellettuali dell'epoca lo frequentavano, da Paulucci a Debenedetti a Gromo. In occasione di «Cabiria», Maciste-Bartolomeo Pagano aiutò i vigili urbani ad arginare la folla, e Ridolini rovesciò un vassoio di meringhe «Baratti & Milano» in faccia a Polidor. La casa del Ghersi fu vittima dei furori futuristi che portarono alla ristrutturazione di via Roma. Dioscuro del Ghersi era il Borsa. Ci andava Soldati per vedere le comiche del muto, i primi film sonori, e annusare un po' d'America ((Andavo poco al cinema - ricorda Soldati -, allora preferivo il teatro. Ma ero entusiasta di Chaplin e Keaton». Il Borsa chiuse la sua carriera con ((Angeli senza paradiso». Comunicò con manifesti che era l'ultima proiezione, poi fu demolito. Il cinema amato da Pavese era l'Alpi di via Garibaldi (oggi Charlie Chaplin). Lo scrittore ricorda in «Ciau Masino», i «filmetti d'America» che regalavano «l'orgoglio di scoprir sempre qualcosa, di vivere in un mondo nuovo», in mezzo «al puzzo e alle pulci» del pubblico popolare. Durante la guerra, quando mancava l'elettricità, l'Alpi andava avanti con un gruppo elettrogeno che funzionava a benzina. Un giorno apparve in sala, come uscito dallo schermo, un uomo in mimetica, con il mitra: annunciò che i partigiani avevano vinto. Durante la proiezione di «Giuseppe Verdi» di Matarazzo scoppiò un incendio. Il giorno dopo lo spettacolo continuò. In via Garibaldi c'era anche l'Olimpia, con doppia sala (oggi è chiuso e le licenze sono servite per il nuovo Olimpia 1 e 2 di via Arsenale). Ci andavano gli allievi del gruppo Monti. Massimo Mila scrisse un bigliettino al suo professore il 5 ottobre '29: «Ha mai visto Fairbanks nel "Segno di Zorro", se non le ripugna il tempo (domani domenica ultimo giorno) e il luogo (cinema Olimpia, una portina in via Garibaldi, non lontano da piazza Castello) ci vada che vale la spesa (2 lire)». Negli anni d'oro dell'avanspettacolo la triade più famosa era quella di Maffei, Romano, Ideal. Il Maffei andò distrutto durante un bombardamento. Morirono molti spettatori. Fu riaperto nel '52, e per qualche tempo nell'ingresso ci fu una misteriosa scarpa di raso rosa, scovata sotto le macerie. Passarono artisti famosi, da Gino Franzi a Carmen de Siviglia; l'orchestra Angelini, con Nilla Pizzi e Togliani. Quando riviste e cinema popolare cessarono, si passò alle luci rosse. Negli Anni 50 il Maffei proiettò «Rommel, la volpe del deserto», con James Mason. Qualche furbone disse che era un film fascista. Ci furono manifestazioni, botte in sala, scontri con la polizia. Il Romano nacque sul cafè Chantant del cavalier Romano, dove Nietzsche cominciava a impazzire e mangiava gelati. Diventò famoso durante e dopo la guerra per Mario Ferrerò, l'Aristofane sabaudo, che fece spettacoli fino alla metà degli Anni 50; poi il Romano fece scoprire Bergman, Dreyer, Eizenstein, la Nouvelle Vague. Per l'Ideai, passarono Dapporto e compagni, poi il gigantesco cinema sistere. Con le luci dell'avanspettacolo - un'ora di varietà prima del film, a prezzi popolari - si illuminava il San Carlo a Porta Palazzo, diventato prima Mignon, poi Alcione, sopravvissuto con spogliarelli vari fino all'83, poi chiuso, in attesa di diventare qualcos'altro. Durante la guerra era il palcoscenico di Franca Flower e della «Maschietta», famosa lesbica. L'Adua, che doveva ricordare nel titolo i fasti coloniali, attirava le folle con film popolari e riviste. L'eroe era l'incartapecorito Libello: aveva iniziato distribuendo volantini davanti ai cinema del muto, era diventato poi impresario. Dopo anni di chiusura, l'Adua è diventato una multisala che alterna film d'essai con gli spettacoli del Gruppo della Rocca. Il cinema degli anni popolari era fatto di turbe indisciplinate, pubblico partecipe, studenti in fuga dai libri e militari in cerca d'amore. Il Milano (via Milano) pullulava di prostitute. Oggi è stato ingoiato dall'architettura metropolitana, trasformato in negozio. Apriva alle dieci del mattino. Le fanciulle entravano con i clienti, compravano anche venti-trenta biglietti al giorno. Alcuni cinema gloriosi si sono ristrutturati a partire dagli Anni 80 con la soluzione delle multisale. Ha iniziato l'Eliseo (la prima d'Italia), sono venuti Ambrosio, il Massimo (oggi Museo del Cinema), Charlie Chaplin, Olimpia 1 e 2 nell'edificio del Reposi. Qui passava anche Italo Calvino, assetato di celluloide, compiaciuto che il cambio dell'aria non fosse brutale: «Avveniva con l'aprirsi di una cupola metanica ricorda in "Autobiografia di uno spettatore" -. La vista del cielo introduceva in mezzo al film ima pausa di meditazione, col lento passare di una nuvola che poteva pur giungere da altri continenti, da altri secoli». Ma per la costellazione di cinema più o meno piccoli la crisi di pubblico è stata fatale. Un colpo decisivo fu la tragedia dello Statuto. Dopo il rogo del 13 febbraio 1983 (64 morti) molti locali furono chiusi perché le norme di sicurezza diventarono più severe. L'Orfeo (Piazza Carlina), nacque sulle ceneri del Teatro Gianduja, cancellato dai bombardamenti, ospitò Macario, Casaleggio: sta diventando un cubo di alloggi. Il Giardino di via Monfalcone, chiamato così perché nato nel giardino del proprietario, dopo un militanza come cineclub è diventato discoteca. La stessa metamorfosi hanno subito lo Zenit (il proprietario fu ucciso qualche giorno dopo l'inaugurazione); il Brescia (di corso Brescia); il Nuovo di via Barge: era noto per la padrona di casa che protestava ogni sera contro il chiasso della sala, ma diventava malinconica nei giorni di riposo. Il Nord (corso Vercelli) diventò Sempione, poi supermercato. Il San Carlo era noto perché quando le acque del Sangone si gonfiavano troppo per la piena, restava allagato. Anche il Diana di corso Regma è vittima dell'acqua: le piogge hanno fatto crollare il tetto dopo che fu acquistato dal comune. Il Reale (corso Casale), come tanti cinema col nome altisonante, eco di scomodi ricordi politici, è diventato Eridano e poi magazzino. L'Italia, che fu foderato con tela di sacco per ovviare a errori di progettazione acustica, ospitò dopo la crisi del cinema Gipo Farassino, poi è stato inglobato dal cemento cittadino. L'Apollo di Largo Giachino si è offerto a Stievani. Il Dora era il tempio di Pirolin, un comico tutto nervi, e di Fiamma, un'odalisca bruna. Nel '44 durante il film di eroi «I trecento del Settimo», proprietario e figlioletto si salvarono sgusciando da un finestrino della cabina di proiezione. Oggi è l'Arco Pussycat. L'ultimo grande monumento del cinema era il Corso, di corso Vittorio. Non fu sepolto dalla crisi, ma dalle fiamme di un incendio, come una Pompei di cartapesta. Passò dalla «Cena delle beffe», primo fulmineo topless del cinema italiano, ai segreti della finanza. Bruno Ventavo!! Un giorno all'Alpi apparve in sala un uomo in nata con il mitra e annunciò la vittoria dei partigiani A fianco l'ingresso dell'Ambrosio, ancora oggi una delle sale (ristrutturate) più note per gli appassionati di cinema a Torino Il Corso è stato l'ultimo grande monumento del cinema torinese: fu distrutto da un incendio

Luoghi citati: America, Gromo, Italia, Milano, Pompei, Torino