Sol Levante a una svolta di Fernando Mezzetti

Giapponesi lavorate troppo, adesso basta! Un piano quinquennale del governo di Tokyo per arrivare alla settimana corta entro il 1996 Giapponesi lavorate troppo, adesso basta! In un anno stanno in azienda mediamente 4 mesi più dei tedeschi IL CASO SOL LEVANTE A UNA SVOLTA I TOKYO L governo di Tokyo ha preparato un piano quinquennale per far lavorare di meno i giapponesi e arrivare entro il '96 a 1800 ore all'anno, circa quaranta alla settimana. All'insegna del miglioramento della qualità della vita, il progetto prevede la settimana corta nelle piccole aziende con la realizzazione di «ponti» e il ricorso a prestazioni part-time per donne e pensionati in sostituzione della forza lavoro effettiva che dovrebbe lavorare di meno e riposare di più. L'iniziativa rientra fra le misure adottate per mitigare verso i partner del «G-Sette» la nuova esplosione del surplus commerciale nipponico, che quest'anno supererà i centoventi miliardi di dollari: una cifra sinora mai raggiunta e che è uno degli effetti perversi della «recessione» in atto nell'arcipelago, la cui economia invece che ai ritmi del cinque per cento e passa degli anni scorsi, avrà nel '92 un tasso di sviluppo di «solo» il 3-3,5 per cento; di fronte a difficoltà anche di mercato interno, il Giappone ha reagito come sempre con l'intensificazione selvaggia delle esportazioni. La diminuzione degli orari di lavoro dovrebbe servire a stimolare un'industria del tempo libero e quindi a sviluppare i consumi interni a scapito del¬ l'esportazione. Tutto bene dunque, se non fosse per il fatto che questa manovra si ripete periodicamente, e sempre senza successo, ogni volta che per Tokyo si creano tensioni con i suoi partner per il suo crescente surplus. Sono iniziative da fumo negli occhi. Nel pieno dell'esplosione di questo surplus nel 1986, una commissione governativa appositamente creata, capeggiata dal presidente della Banca del Giappone, raccomandava la diminuzione delle ore di lavoro. Dal 1986 alla fine dell'anno scorso, il Paese ha avuto il più lungo e straordinario periodo di ininterrotta espansione economica: ma col pieno consenso dei sindacati, gli orari di lavoro invece che diminuire sono aumentati per compensare il raddoppio dello yen rispetto al dollaro, per non indebolire le aziende, e per far fronte con la produzione alle richieste del mercato. Dall'inizio di quest'anno si lavora ancora di più per fronteggiare una recessione malgrado la quale il tasso di crescita resta comunque alto per un Paese già fortemente sviluppato. Nel 1986, quando si cominciò a parlare di lavorare di meno, le ore di lavoro furono in Giappone 2150, contro 1938 in Gran Bretagna, 1924 negli Stati Uniti, 1655 in Germania Occidentale, 1643 in Francia. Nel 1988 invece che scendere si era saliti a 2168. Bisogna ragionare su queste cifre per capirne la portata. Le 1655 ore della Germania corrispondono a meno di centotrentotto ore al mese; le 2168 del Giappone, a centottanta ore al mese. Una differenza di cinquecentotredici ore in più per il Giappone e ciò vuol dire che i giapponesi lavo¬ rano in un anno quattro mesi di più dei tedeschi. A parte queste cifre governative, la realtà è ben diversa. La cifra media di 2168 include il lavoro femminile, che è già in stragrande maggioranza part-time. Per cui, secondo un comitato di difesa nazionale contro il superlavoro, gli uomini lavorano in realtà cinquantun ore e quaranta minuti alla settimana, per un totale di 2600 ore all'anno. Con ciò si arriva a un calendario di oltre diciassette mesi annuali. In questi orari non rientrano gli straordinari, che hanno dei tetti per le grandi aziende, ma sono senza limiti per le piccole, nelle quali sono prassi costante. Quanto alla settimana corta, quando il governo la varò nel 1989 per la borsa e le banche e per gli uffici statali per due volte al mese, si ebbe un trauma nazionale, con mobilitazio¬ ne di'psicologi per gente non usa a stare un giorno senza lavorare, e per mogli e figli non usi ad avere in casa di sabato il marito e babbo. Ma il governo è ben consapevole dell'enorme salto culturale che chiede ad una. popolazione da sempre abituata, invece, a considerare lavoro e fedeltà aziendale misura della propria esistenza. Per i «ponti» il governo si mobilitò nell'88 con un'ampia campagna perché ne venisse fatto almeno uno. Fu un fallimento, che si è ripetuto negli anni successivi. Adesso ci riprova il primo ministro Miyazawa a far lavorare di meno i suoi connazionali: e sa benissimo di andare incontro a uno smacco. Lavorare per il benessere dell'azienda, per i giapponesi, è molto di più che guadagnarsi il pane e assicurarsi il posto di lavoro: è vivere. Fernando Mezzetti Il premier giapponese Miyazawa Giapponesi lavorate troppo, adesso basta! Un piano quinquennale del governo di Tokyo per arrivare alla settimana corta entro il 1996 Giapponesi lavorate troppo, adesso basta! In un anno stanno in azienda mediamente 4 mesi più dei tedeschi IL CASO SOL LEVANTE A UNA SVOLTA I TOKYO L governo di Tokyo ha preparato un piano quinquennale per far lavorare di meno i giapponesi e arrivare entro il '96 a 1800 ore all'anno, circa quaranta alla settimana. All'insegna del miglioramento della qualità della vita, il progetto prevede la settimana corta nelle piccole aziende con la realizzazione di «ponti» e il ricorso a prestazioni part-time per donne e pensionati in sostituzione della forza lavoro effettiva che dovrebbe lavorare di meno e riposare di più. L'iniziativa rientra fra le misure adottate per mitigare verso i partner del «G-Sette» la nuova esplosione del surplus commerciale nipponico, che quest'anno supererà i centoventi miliardi di dollari: una cifra sinora mai raggiunta e che è uno degli effetti perversi della «recessione» in atto nell'arcipelago, la cui economia invece che ai ritmi del cinque per cento e passa degli anni scorsi, avrà nel '92 un tasso di sviluppo di «solo» il 3-3,5 per cento; di fronte a difficoltà anche di mercato interno, il Giappone ha reagito come sempre con l'intensificazione selvaggia delle esportazioni. La diminuzione degli orari di lavoro dovrebbe servire a stimolare un'industria del tempo libero e quindi a sviluppare i consumi interni a scapito del¬ l'esportazione. Tutto bene dunque, se non fosse per il fatto che questa manovra si ripete periodicamente, e sempre senza successo, ogni volta che per Tokyo si creano tensioni con i suoi partner per il suo crescente surplus. Sono iniziative da fumo negli occhi. Nel pieno dell'esplosione di questo surplus nel 1986, una commissione governativa appositamente creata, capeggiata dal presidente della Banca del Giappone, raccomandava la diminuzione delle ore di lavoro. Dal 1986 alla fine dell'anno scorso, il Paese ha avuto il più lungo e straordinario periodo di ininterrotta espansione economica: ma col pieno consenso dei sindacati, gli orari di lavoro invece che diminuire sono aumentati per compensare il raddoppio dello yen rispetto al dollaro, per non indebolire le aziende, e per far fronte con la produzione alle richieste del mercato. Dall'inizio di quest'anno si lavora ancora di più per fronteggiare una recessione malgrado la quale il tasso di crescita resta comunque alto per un Paese già fortemente sviluppato. Nel 1986, quando si cominciò a parlare di lavorare di meno, le ore di lavoro furono in Giappone 2150, contro 1938 in Gran Bretagna, 1924 negli Stati Uniti, 1655 in Germania Occidentale, 1643 in Francia. Nel 1988 invece che scendere si era saliti a 2168. Bisogna ragionare su queste cifre per capirne la portata. Le 1655 ore della Germania corrispondono a meno di centotrentotto ore al mese; le 2168 del Giappone, a centottanta ore al mese. Una differenza di cinquecentotredici ore in più per il Giappone e ciò vuol dire che i giapponesi lavo¬ rano in un anno quattro mesi di più dei tedeschi. A parte queste cifre governative, la realtà è ben diversa. La cifra media di 2168 include il lavoro femminile, che è già in stragrande maggioranza part-time. Per cui, secondo un comitato di difesa nazionale contro il superlavoro, gli uomini lavorano in realtà cinquantun ore e quaranta minuti alla settimana, per un totale di 2600 ore all'anno. Con ciò si arriva a un calendario di oltre diciassette mesi annuali. In questi orari non rientrano gli straordinari, che hanno dei tetti per le grandi aziende, ma sono senza limiti per le piccole, nelle quali sono prassi costante. Quanto alla settimana corta, quando il governo la varò nel 1989 per la borsa e le banche e per gli uffici statali per due volte al mese, si ebbe un trauma nazionale, con mobilitazio¬ ne di'psicologi per gente non usa a stare un giorno senza lavorare, e per mogli e figli non usi ad avere in casa di sabato il marito e babbo. Ma il governo è ben consapevole dell'enorme salto culturale che chiede ad una. popolazione da sempre abituata, invece, a considerare lavoro e fedeltà aziendale misura della propria esistenza. Per i «ponti» il governo si mobilitò nell'88 con un'ampia campagna perché ne venisse fatto almeno uno. Fu un fallimento, che si è ripetuto negli anni successivi. Adesso ci riprova il primo ministro Miyazawa a far lavorare di meno i suoi connazionali: e sa benissimo di andare incontro a uno smacco. Lavorare per il benessere dell'azienda, per i giapponesi, è molto di più che guadagnarsi il pane e assicurarsi il posto di lavoro: è vivere. Fernando Mezzetti Il premier giapponese Miyazawa

Persone citate: Miyazawa