Scherza pure sui santi si chiamano Vittore

Scherza pure sui santi si chiamano Vittore La satira politica da sabato a Forte dei Marmi Scherza pure sui santi si chiamano Vittore f\] FORTE DEI MARMI 11 UANDO c'era Lui, beati I loro. Lui chi? Ma Lui, na- 11 turalmente, Lui con la C —maiuscola, o se preferite V con la K maiuscola: l'Uomo del Piccone, il Grande Esternatore, eroe dilettante dell'epos satirico e fonte inesauribile per i suoi colleghi professionisti. L'anno scorso Forte dei Marmi lo ha celebrato con una sezione tutta sua, la Cossigheide, come già nell'86 aveva reso omaggio a un altro benemerito, l'(allora) incontenibile protagonista della Craxeide. Ma adesso, povero satirico (o satiro, come direbbe Benigni)? Niente paura, quest'anno in uno slancio trasversale di solidarietà ci si sono messi tutti. Si sono messi una mano sul cuore (o giù di lì, insomma) ed ecco il tema forte della XX edizione del Premio «Satira politica» (da sabato prossimo al 20 settembre). Nel Belpaese che si squaglia non c'è più posto per il poverello d'Assisi, il nuovo patrono è San Vittore: ovvero «L'Italia delle tangenti sotto il tiro dei disegnatori satirici italiani». C'è il raffinato-trasgressivo Cemak, che in un bosco lussureggiante immagina le avances del suo calvo omino alla solita candida adolescente: «Ti voglio toccare», e lei: «E' del partito delle mani pulite?». E c'è l'aggressivo Altan: «Dico, ma che fa?», «Niente: mi faccio carico del suo portafoglio». C'è un fulminante Cavallo, uscito il mese scorso sulla Stampa: «Vorrei parlare con l'assessore», «Contanti o carta di credito?». C'è il minaccioso «per cento» di Durante, con la sbarra come un piano inclinato lungo il quale si precipita un omino incalzato dallo zero che rotola, come Indiana Jones inseguito dalla sfera di roccia. C'è il biblicizzante Fedriani che raffigura la Repubblica italiana crocifissa alle diagonali di una bustarella, e sotto la scritta.' «1992 D.C.» (dopo Cristo? no: «P.S.I., P.D.Setcetc...»). Quante frecciate per i socialisti. Ma anche per il pds. Giuliano disegna un Craxi vagamente porcino ma sollevato: «Per fortuna hanno smascherato pure gli altri e quindi è come se non fosse successo niente». E Altan: «Il psi fa 100 anni», «Aggiungi le tangenti e fa 130». Sorrisi acidi, e che struggimento di fronte alle vignette di Scalarmi e Galantara pubblicate svU'Avanti! della Domenica ai primi del secolo, ridondanti di ideali, riproposte alla rassegna versiliese per una felice (fortuita?) coincidenza. A quei tempi i rami del socialismo italiano erano ancora saldamente piantati sul tronco comune; oggi dalle celle sbarrate - mai così attuali - che sono il segno caratteristico di Viva (Mario Dalmaviva, uno che dentro ci è finito per davvero, coinvolto nel processo «7 aprile», e che uscì proprio alla vigilia della premiazione a Forte dei Marmi, otto anni fa) sale un filosofare sommesso: «I comunisti hanno rubato almeno quanto noi socialisti», «Un passo avanti verso l'unità delle sinistre». Come dire: il socialismo dalla via democratica alla via carceraria. Battute divertenti, facili, un po' scontate. Le chiavi del paradiso, peri satirici, le tiene strette un signore che di mestiere non fa il santo, come il suo quasiomonimo, ma ha la stessa prerogativa di porre le prime pietre, salvo poi provocare valanghe. Ecco il punto: c'era proprio bisogno che arrivasse il giudice Di Pietro perché i disegnatori si scatenassero? E quella vignetta di GianneUi, presentata a Forte dei Marmi nell'85, in cui Montecitorio è una specie di Fort Alamo assediato, con i soldatini Forlani, Craxi, Andreotti. De Mita, Natta che soccombono trafitti dalle matite, è ancora (è mai stata) veritiera? In altre parole: qual è lo stato di salute della satira politica italiana, quale la sua capacità di incidere? Se non una risposta, qualche indicazione si può ricavare seguendo il filo dei vent'anni di mostre versiliesi, ripercorsi nel volume Le stagioni della satira curato da Cinzia Bibolotti e Franco Calotti, e prossimo a uscire perla Fondazione «Città di Forte dei Marmi». «La caricatura disegnata è morta in Italia con l'avvento del benessere, per il ti- more dei potenti, per la mancanza di umorismo della classe politica dominante»: lo diceva Ennio Flaiano nel '69, prima della straordinaria fioritura degli Anni 70. Ma ancora nell'agosto '73, quando la giunta municipale di Forte dei Marmi ebbe la bella idea di dare il via alla rassegna, un autorevole osservatore di cose italiane come il corrispondente del Times Peter Nichols annotava un po' scettico: «Niente potrebbe essere più estraneo all'attuale panorama politico, e questa situazione non si può continuare a imputarla all'influenza del fascismo». Poi vennero gli anni del Male, la satira politica conquistava nei giornali pagine sempre più importanti. Ma qualcuno non era convinto: come il vecchio Giovanni Mosca che, ricevendo il premio nel '79, denunciava: «Se mi guardo attorno, ho l'impressione che l'attuale tasso di conformismo sia maggiore di quello di ieri». Sintomo di un malessere, spia di una polemica dapprima sotterranea che erompeva sul proscenio della Capannina. La satira «deve essere sempre di parte» (Dario Fo, premiato nell'81), o «chi è di parte non può fare satira» (Giorgio Forattini, vincitore nel '77)? Oppure deve situarsi al di là dell'alternativa, essere anarchica (Pino Zac, re dell'edizione 1978)? Dalla Versilia il dibattito rimbalza su Linus, il cui direttore Oreste del Buono, ritirato il premio nel '75, proclama la necessità di «rettificare il tiro». Che cosa vuol dire?, insorge Alfredo Chiappoli: i nemici sono sempre quelli, scrive. E conclude con parole incendiarie: «Si tratta di alzare il tiro, colpire più alto e più forte. Ma sempre nella direzione giusta. E cioè contro il potere». OdB lo rassicura: «Linus non mancherà di ospitare i tuoi disegni ogni volta che alzerai il tiro». E' in gioco l'idea di satira. «Luogo di confine tra la letteratura, il potere e la gente», la definì Leonardo Sciascia, salito sul podio nel 1980. David Levine, il grande caricaturista newyorkese vincitore nell'87, precisò: «E' l'unica forma di terrorismo accettabile. Il nostro dovere è attaccare i politici perché sono i detentori del potere». Però - è implici- to - i satirici dipendono anche dai potenti, nel momento stesso in cui li bersagliano. Enrico Mattei, vincitore nell'82 per la sezione giornalismo, ne era così consapevole da domandarsi se l'alloro non spettasse piuttosto «all'uomo politico che ha offerto maggiore materia alla satira». Quelndea paradossale venne messa in pratica sei anni dopo, allorché Forte dei Marmi estrasse dal cilindro un premio speciale ritagliato su misura per Andreotti, «bersaglio preferito dei disegnatori italiani». Ne nacque una polemica dai toni accesi, ravvivata dal rifiuto di Stefano Disegni e Paolo Hendel di ritirare il riconoscimento: «Non è pertinente invitare l'oggetto della satira a un premio sulla satira. Ognuno deve fare il suo gioco». Così si arriva all'edizione '91, scossa dall'appello anarchico del trionfatore britannico Ralph Steadman: «Smettiamola di disegnare i politici, così che scompaiano. Smettiamo di fare loro pubblicità attraverso le caricature». Quello che molti sussurravano, che Andreotti ha sempre saputo, finalmente veniva teorizzato da un addetto ai lavori. Però, però... Giugno '92, Giuliano Amato ha l'incarico per formare il nuovo governo. Nelle vignette di Forattini comincia la metamorfosi: in modo sempre più convinto, il neo Presidente del Consiglio diventa un topo, un topolino, finché gli spunta un grosso paio di orecchie circolari, indossa le bretelle ed eccolo trasformato in Mickey Mouse. Il «dottor sottile», che non per niente ha questo soprannome, coglie al volo e nel primo discorso al Senato ammonisce che l'Italia non può andare avanti così, se non vuole diventare la «Disneyland d'Europa». Passa qualche giorno e Forattini disegna la banda al completo: Topolino-Amato, Pippo-Forlani, Gambadilegno-Craxi e PaperinoOcchetto. Tutti sistemati. E il gioco continua. Maurizio Assalto Bastonate feroci per tuttii partiti: protagonista è la tangente U> PSI fÀ -TAN)&6N>Tl £ FA MILANOtVWe&KV- VAIA Tre vignette di disegnatori satirici che partecipano al premio di Forte dei Marmi. A sinistra Altan, a destra Giuliano e, sotto, Cemak. Scherza pure sui santi si chiamano Vittore La satira politica da sabato a Forte dei Marmi Scherza pure sui santi si chiamano Vittore f\] FORTE DEI MARMI 11 UANDO c'era Lui, beati I loro. Lui chi? Ma Lui, na- 11 turalmente, Lui con la C —maiuscola, o se preferite V con la K maiuscola: l'Uomo del Piccone, il Grande Esternatore, eroe dilettante dell'epos satirico e fonte inesauribile per i suoi colleghi professionisti. L'anno scorso Forte dei Marmi lo ha celebrato con una sezione tutta sua, la Cossigheide, come già nell'86 aveva reso omaggio a un altro benemerito, l'(allora) incontenibile protagonista della Craxeide. Ma adesso, povero satirico (o satiro, come direbbe Benigni)? Niente paura, quest'anno in uno slancio trasversale di solidarietà ci si sono messi tutti. Si sono messi una mano sul cuore (o giù di lì, insomma) ed ecco il tema forte della XX edizione del Premio «Satira politica» (da sabato prossimo al 20 settembre). Nel Belpaese che si squaglia non c'è più posto per il poverello d'Assisi, il nuovo patrono è San Vittore: ovvero «L'Italia delle tangenti sotto il tiro dei disegnatori satirici italiani». C'è il raffinato-trasgressivo Cemak, che in un bosco lussureggiante immagina le avances del suo calvo omino alla solita candida adolescente: «Ti voglio toccare», e lei: «E' del partito delle mani pulite?». E c'è l'aggressivo Altan: «Dico, ma che fa?», «Niente: mi faccio carico del suo portafoglio». C'è un fulminante Cavallo, uscito il mese scorso sulla Stampa: «Vorrei parlare con l'assessore», «Contanti o carta di credito?». C'è il minaccioso «per cento» di Durante, con la sbarra come un piano inclinato lungo il quale si precipita un omino incalzato dallo zero che rotola, come Indiana Jones inseguito dalla sfera di roccia. C'è il biblicizzante Fedriani che raffigura la Repubblica italiana crocifissa alle diagonali di una bustarella, e sotto la scritta.' «1992 D.C.» (dopo Cristo? no: «P.S.I., P.D.Setcetc...»). Quante frecciate per i socialisti. Ma anche per il pds. Giuliano disegna un Craxi vagamente porcino ma sollevato: «Per fortuna hanno smascherato pure gli altri e quindi è come se non fosse successo niente». E Altan: «Il psi fa 100 anni», «Aggiungi le tangenti e fa 130». Sorrisi acidi, e che struggimento di fronte alle vignette di Scalarmi e Galantara pubblicate svU'Avanti! della Domenica ai primi del secolo, ridondanti di ideali, riproposte alla rassegna versiliese per una felice (fortuita?) coincidenza. A quei tempi i rami del socialismo italiano erano ancora saldamente piantati sul tronco comune; oggi dalle celle sbarrate - mai così attuali - che sono il segno caratteristico di Viva (Mario Dalmaviva, uno che dentro ci è finito per davvero, coinvolto nel processo «7 aprile», e che uscì proprio alla vigilia della premiazione a Forte dei Marmi, otto anni fa) sale un filosofare sommesso: «I comunisti hanno rubato almeno quanto noi socialisti», «Un passo avanti verso l'unità delle sinistre». Come dire: il socialismo dalla via democratica alla via carceraria. Battute divertenti, facili, un po' scontate. Le chiavi del paradiso, peri satirici, le tiene strette un signore che di mestiere non fa il santo, come il suo quasiomonimo, ma ha la stessa prerogativa di porre le prime pietre, salvo poi provocare valanghe. Ecco il punto: c'era proprio bisogno che arrivasse il giudice Di Pietro perché i disegnatori si scatenassero? E quella vignetta di GianneUi, presentata a Forte dei Marmi nell'85, in cui Montecitorio è una specie di Fort Alamo assediato, con i soldatini Forlani, Craxi, Andreotti. De Mita, Natta che soccombono trafitti dalle matite, è ancora (è mai stata) veritiera? In altre parole: qual è lo stato di salute della satira politica italiana, quale la sua capacità di incidere? Se non una risposta, qualche indicazione si può ricavare seguendo il filo dei vent'anni di mostre versiliesi, ripercorsi nel volume Le stagioni della satira curato da Cinzia Bibolotti e Franco Calotti, e prossimo a uscire perla Fondazione «Città di Forte dei Marmi». «La caricatura disegnata è morta in Italia con l'avvento del benessere, per il ti- more dei potenti, per la mancanza di umorismo della classe politica dominante»: lo diceva Ennio Flaiano nel '69, prima della straordinaria fioritura degli Anni 70. Ma ancora nell'agosto '73, quando la giunta municipale di Forte dei Marmi ebbe la bella idea di dare il via alla rassegna, un autorevole osservatore di cose italiane come il corrispondente del Times Peter Nichols annotava un po' scettico: «Niente potrebbe essere più estraneo all'attuale panorama politico, e questa situazione non si può continuare a imputarla all'influenza del fascismo». Poi vennero gli anni del Male, la satira politica conquistava nei giornali pagine sempre più importanti. Ma qualcuno non era convinto: come il vecchio Giovanni Mosca che, ricevendo il premio nel '79, denunciava: «Se mi guardo attorno, ho l'impressione che l'attuale tasso di conformismo sia maggiore di quello di ieri». Sintomo di un malessere, spia di una polemica dapprima sotterranea che erompeva sul proscenio della Capannina. La satira «deve essere sempre di parte» (Dario Fo, premiato nell'81), o «chi è di parte non può fare satira» (Giorgio Forattini, vincitore nel '77)? Oppure deve situarsi al di là dell'alternativa, essere anarchica (Pino Zac, re dell'edizione 1978)? Dalla Versilia il dibattito rimbalza su Linus, il cui direttore Oreste del Buono, ritirato il premio nel '75, proclama la necessità di «rettificare il tiro». Che cosa vuol dire?, insorge Alfredo Chiappoli: i nemici sono sempre quelli, scrive. E conclude con parole incendiarie: «Si tratta di alzare il tiro, colpire più alto e più forte. Ma sempre nella direzione giusta. E cioè contro il potere». OdB lo rassicura: «Linus non mancherà di ospitare i tuoi disegni ogni volta che alzerai il tiro». E' in gioco l'idea di satira. «Luogo di confine tra la letteratura, il potere e la gente», la definì Leonardo Sciascia, salito sul podio nel 1980. David Levine, il grande caricaturista newyorkese vincitore nell'87, precisò: «E' l'unica forma di terrorismo accettabile. Il nostro dovere è attaccare i politici perché sono i detentori del potere». Però - è implici- to - i satirici dipendono anche dai potenti, nel momento stesso in cui li bersagliano. Enrico Mattei, vincitore nell'82 per la sezione giornalismo, ne era così consapevole da domandarsi se l'alloro non spettasse piuttosto «all'uomo politico che ha offerto maggiore materia alla satira». Quelndea paradossale venne messa in pratica sei anni dopo, allorché Forte dei Marmi estrasse dal cilindro un premio speciale ritagliato su misura per Andreotti, «bersaglio preferito dei disegnatori italiani». Ne nacque una polemica dai toni accesi, ravvivata dal rifiuto di Stefano Disegni e Paolo Hendel di ritirare il riconoscimento: «Non è pertinente invitare l'oggetto della satira a un premio sulla satira. Ognuno deve fare il suo gioco». Così si arriva all'edizione '91, scossa dall'appello anarchico del trionfatore britannico Ralph Steadman: «Smettiamola di disegnare i politici, così che scompaiano. Smettiamo di fare loro pubblicità attraverso le caricature». Quello che molti sussurravano, che Andreotti ha sempre saputo, finalmente veniva teorizzato da un addetto ai lavori. Però, però... Giugno '92, Giuliano Amato ha l'incarico per formare il nuovo governo. Nelle vignette di Forattini comincia la metamorfosi: in modo sempre più convinto, il neo Presidente del Consiglio diventa un topo, un topolino, finché gli spunta un grosso paio di orecchie circolari, indossa le bretelle ed eccolo trasformato in Mickey Mouse. Il «dottor sottile», che non per niente ha questo soprannome, coglie al volo e nel primo discorso al Senato ammonisce che l'Italia non può andare avanti così, se non vuole diventare la «Disneyland d'Europa». Passa qualche giorno e Forattini disegna la banda al completo: Topolino-Amato, Pippo-Forlani, Gambadilegno-Craxi e PaperinoOcchetto. Tutti sistemati. E il gioco continua. Maurizio Assalto Bastonate feroci per tuttii partiti: protagonista è la tangente U> PSI fÀ -TAN)&6N>Tl £ FA MILANOtVWe&KV- VAIA Tre vignette di disegnatori satirici che partecipano al premio di Forte dei Marmi. A sinistra Altan, a destra Giuliano e, sotto, Cemak.