I giudici: il sottosegretario eletto con il voto dei boss di Francesco La Licata

I giudici: il sottosegretario eletto con il voto dei boss I giudici: il sottosegretario eletto con il voto dei boss ALLA CAMERA E ] f7 ROMA i* STATA riproposta, dai magistrati della procura di Palmi, la richiesta di autorizzazione a procedere contro Sandro Principe, deputato psi e sottosegretario al Lavoro. L'istanza è già pervenuta alla Camera e sarà discussa dalla speciale commissione parlamentare. I magistrati calabresi contestano al sottosegretario appena nominato una serie di reati, nel più grave dei quali si ipotizza l'appartenenza ad una associazione per delinquere mafiosa. In sostanza si rimprovera al parlamentare troppa intimità con la cosca dei Pesce di Rosarno e la prassi del «voto di scambio». I magistrati contestano l'episodio di un convivio elettorale a Rosarno, poco prima delle elezioni regionali del 1990, al quale avrebbero partecipato Principe e diversi personaggi indicati come mafiosi. Gli altri addebiti fanno riferimento ai reati di abuso d'ufficio, truffa aggravata e continuata, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici. C'è persino l'accusa di procurata inabilità o simulata infermità al fine di sot- trarsi all'adempimento di alcuni doveri inerenti al servizio militare. Secondo i giudici di Palmi, il deputato sarebbe intervenuto per ottenere un trattamento di riguardo in favore del figlio (richiamato alla leva) di un potente in odor di mafia. Anche questa volta, com'era accaduto dopo il primo tentativo (respinto dalla Commissione e mai arrivato in aula), alla fine della scorsa legislatura, Sandro Principe si difende attaccando i giudici. Il sottosegretario ha saputo delia richiesta dei magistrati di Palmi mentre era alla Camera, sui banchi del governo, per rispondere ad alcune interrogazioni sulla chiusura dello stabilimento di Villafranca Tirrena. Un deputato di «Rifondazione», Pancrazio De Pasquale, nel dichiararsi insoddisfatto della risposta di Principe, ha aggiunto che oltretutto arrivava «per bocca di un sottosegretario di Stato, per di più inquisito». A quel punto il socialista ha abbandonato i banchi del governo ed ha chiesto di poter prendere la parola perché chiamato in causa. «Tutto è cominciato - si è difeso - alla fine della scorsa legislatura, quando, in seguito ad una mia interrogazione sul funzionamento della procura di Palmi, i magistrati presentarono una domanda di autorizzazione a procedere nei miei confronti». Chiara l'allusione ad mia presunta «persecuzione» dell'autorità giudiziaria nei suoi confronti. Poco dopo, infatti, il sottosegretario ha aggiunto: «La giunta di Montecitorio propose di rigettare la richiesta per manifesta infondatezza e per il suo carattere persecutorio. Ora è arrivata ima nuova richiesta che, come unico fatto nuovo, cita la mia partecipazione ad un pranzo con alcuni consiglieri comunali di Rosarno, al quale avrebbero partecipato due presunti mafiosi. Ma la Cassazione ha chiarito che a quel pranzo non c'erano mafiosi. A questo punto non mi sento inquisito, semmai perseguitato». Non è detto, però, che l'iniziativa della magistratura di Palmi si basi sugli stessi elementi della volta precedente. L'inchiesta a suo tempo avviata dal procuratore Cordova e dal sostituto Neri, infatti, ha avuto impulso e negli ultimi mesi si è arricchita di elementi nuovi. Le vicende di partenza si riferivano ad un traffico di armi e droga, al quale i politici risultarono estranei. Rimaneva da approfondire lo stato di contiguità e gli espisodi di «scambi di favori». Già a dicembre le indagini avevano toccato altri esponenti di primo piano del psi calabrese (il senatore Zito, il capogruppo alla Regione Palamara, il vicepresidente del Consiglio regionale e altri), provocando un dibattito sul «voto inquinato». Molti uomini politici sono stati ascoltati dai magistrati. Il «dossier» si è quindi ingrandito. Così quest'ultima richiesta inviata alla Camera si è arricchita delle dichiarazione dell'on. Giacomo Mancini, che sul fenomeno di mafia e politica ha detto cose gravi. Altri elementi «aggiuntivi»: i decreti di perquisizione degli uffici comunali di Rende, dove Principe è stato sindaco, e le deposizioni degli agenti di polizia giudiziaria che fotografarono il famoso pranzo «incriminato». La richiesta dei magistrati dovrà ora essere discussa in Commissione e poi, per l'ultima parola, in aula. Francesco La Licata Sopra il procuratore della Repubblica di Palmi, Agostino Cordova, a fianco l'on. Sandro Principe, socialista, sottosegretario al Lavoro I giudici: il sottosegretario eletto con il voto dei boss I giudici: il sottosegretario eletto con il voto dei boss ALLA CAMERA E ] f7 ROMA i* STATA riproposta, dai magistrati della procura di Palmi, la richiesta di autorizzazione a procedere contro Sandro Principe, deputato psi e sottosegretario al Lavoro. L'istanza è già pervenuta alla Camera e sarà discussa dalla speciale commissione parlamentare. I magistrati calabresi contestano al sottosegretario appena nominato una serie di reati, nel più grave dei quali si ipotizza l'appartenenza ad una associazione per delinquere mafiosa. In sostanza si rimprovera al parlamentare troppa intimità con la cosca dei Pesce di Rosarno e la prassi del «voto di scambio». I magistrati contestano l'episodio di un convivio elettorale a Rosarno, poco prima delle elezioni regionali del 1990, al quale avrebbero partecipato Principe e diversi personaggi indicati come mafiosi. Gli altri addebiti fanno riferimento ai reati di abuso d'ufficio, truffa aggravata e continuata, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici. C'è persino l'accusa di procurata inabilità o simulata infermità al fine di sot- trarsi all'adempimento di alcuni doveri inerenti al servizio militare. Secondo i giudici di Palmi, il deputato sarebbe intervenuto per ottenere un trattamento di riguardo in favore del figlio (richiamato alla leva) di un potente in odor di mafia. Anche questa volta, com'era accaduto dopo il primo tentativo (respinto dalla Commissione e mai arrivato in aula), alla fine della scorsa legislatura, Sandro Principe si difende attaccando i giudici. Il sottosegretario ha saputo delia richiesta dei magistrati di Palmi mentre era alla Camera, sui banchi del governo, per rispondere ad alcune interrogazioni sulla chiusura dello stabilimento di Villafranca Tirrena. Un deputato di «Rifondazione», Pancrazio De Pasquale, nel dichiararsi insoddisfatto della risposta di Principe, ha aggiunto che oltretutto arrivava «per bocca di un sottosegretario di Stato, per di più inquisito». A quel punto il socialista ha abbandonato i banchi del governo ed ha chiesto di poter prendere la parola perché chiamato in causa. «Tutto è cominciato - si è difeso - alla fine della scorsa legislatura, quando, in seguito ad una mia interrogazione sul funzionamento della procura di Palmi, i magistrati presentarono una domanda di autorizzazione a procedere nei miei confronti». Chiara l'allusione ad mia presunta «persecuzione» dell'autorità giudiziaria nei suoi confronti. Poco dopo, infatti, il sottosegretario ha aggiunto: «La giunta di Montecitorio propose di rigettare la richiesta per manifesta infondatezza e per il suo carattere persecutorio. Ora è arrivata ima nuova richiesta che, come unico fatto nuovo, cita la mia partecipazione ad un pranzo con alcuni consiglieri comunali di Rosarno, al quale avrebbero partecipato due presunti mafiosi. Ma la Cassazione ha chiarito che a quel pranzo non c'erano mafiosi. A questo punto non mi sento inquisito, semmai perseguitato». Non è detto, però, che l'iniziativa della magistratura di Palmi si basi sugli stessi elementi della volta precedente. L'inchiesta a suo tempo avviata dal procuratore Cordova e dal sostituto Neri, infatti, ha avuto impulso e negli ultimi mesi si è arricchita di elementi nuovi. Le vicende di partenza si riferivano ad un traffico di armi e droga, al quale i politici risultarono estranei. Rimaneva da approfondire lo stato di contiguità e gli espisodi di «scambi di favori». Già a dicembre le indagini avevano toccato altri esponenti di primo piano del psi calabrese (il senatore Zito, il capogruppo alla Regione Palamara, il vicepresidente del Consiglio regionale e altri), provocando un dibattito sul «voto inquinato». Molti uomini politici sono stati ascoltati dai magistrati. Il «dossier» si è quindi ingrandito. Così quest'ultima richiesta inviata alla Camera si è arricchita delle dichiarazione dell'on. Giacomo Mancini, che sul fenomeno di mafia e politica ha detto cose gravi. Altri elementi «aggiuntivi»: i decreti di perquisizione degli uffici comunali di Rende, dove Principe è stato sindaco, e le deposizioni degli agenti di polizia giudiziaria che fotografarono il famoso pranzo «incriminato». La richiesta dei magistrati dovrà ora essere discussa in Commissione e poi, per l'ultima parola, in aula. Francesco La Licata Sopra il procuratore della Repubblica di Palmi, Agostino Cordova, a fianco l'on. Sandro Principe, socialista, sottosegretario al Lavoro

Persone citate: Agostino Cordova, Cordova, Giacomo Mancini, Palamara, Pancrazio De Pasquale, Sandro Principe, Zito