La mutilazione, orribile ricatto

La mutilazione, orribile ricatto 177 GIORNI DI ANGOSCIA La mutilazione, orribile ricatto Tre mesi di silenzio dopo il blitz in Costa Smeralda COSTA SMERALDA DAL NOSTRO INVIATO L'aria è tiepida quella sera di metà gennaio, spalancate le porte della casa sulla collina. Il promontorio di Pantogia, la «Vacca mansueta», appare deserto e anche Porto Cervo, lontano un chilometro e mezzo, ha un'aria desolata. Pochi minuti alle 20, buio, il vento accarezza appena gli arbusti dèlia macchia mediterranea e soltanto il rumore del mare, giù in basso, fa compagnia. Dal «palazzeddu» gallurese, in pietra rosa, grezza, arriva l'eco delle voci di Fateh Kassam, giovane uomo d'affari, e della moglie, Marion Evelyne Bleriot. I figli, Farouk, 7 anni, e la sorellina Nour Marie, 5, giocano al piano di sopra e attendono di esser chiamati per la cena. Nessuno ode l'auto che si arresta al bivio, nessuno scorge un'ombra scavalcare il basso muretto a secco. E' fuori combattimento anche il sistema di telecamere a circuito chiuso, almeno da Natale, ma non sembra esserci motivo di preoccupazione e ci si è dimenticati di denunciare il fatto. Da otto anni la famiglia Kassam vive nella casa in affitto su quel colle. Lui dirige l'albergo «Luci di la Muntagna», stipendio 50 milioni all'anno; lei si occupa della casa. Hanno sempre ripetuto di non essere ricchi. Ma qualcuno non li ha creduti: Kassam è ismailita, come l'Aga Khan, ed è suo amico, come lo era suo padre, così l'equazione che vien fatta è elementare. Lo sconosciuto entrato nel giardino scivola verso il cancello e aziona il pulsante dell'apertura elettronica. Ora anche i complici sono dentro il recinto. Due irrompono nella cucina, armati, i volti coperti, pantaloni di fustagno e giacca di velluto, in capo la «coppola». «Emanavano forte odore di formaggio», racconteranno i Kassam. 11 terzo è fuori per sorvegliare la strada. L'uomo e la donna vengono immobilizzati con un filo di ferro, Fateh crede di essere l'obiettivo e tenta una carta disperata: «Sono soltanto un amico, il padrone di casa è fuori». Ma i briganti non vogliono lui. Salgono sopra, chiudono Nour Marie in un armadio, afferrano Farouk, addosso il pigiama, e lo trascinano all'auto. Prima di andarsene, sembra, dicono con accento sardo: «Per riaverlo, 3 miliardi dovete pagare, e se lo rivolete vivo, dovete scrivere sul giornale: 'Vendesi casa autunnale' e un numero di telefono sicuro». La ricostruzione non è ufficiale, gli inquirenti non la forniranno mai forse perché dovrebbero riempire i molti vuoti, le vistose smagliature che caratterizzano il racconto del padre. Non è chiaro quando sia stato dato l'allarme collegato ai «Vigilantes». Pochi minuti dopo, è stato detto. E c'è chi giura che soltanto per caso l'auto con il piccolo ostaggio non è stata bloccata a pochi chilometri da Pantogia. Una macchina dei «Vigilantes» sembra che abbia incrociato una vettura di grossa cilindrata che correva oltre Porto Cervo, verso Baia Sardinia. Perché proprio i Kassam? «Qualcuno ha dato notizie, qualcuno che ha lavorato nella villa», si lasciano sfuggire gli inquirenti. Un Giuda, dunque, ben informato sulle abitudini della casa e che forse ha creduto di aver trovato una «gallina dalle uova d'oro»: la villa, l'albergo, l'Alfa 164 rossa e la Range Rover verde metallizzato possono esser stati decisivi per covincere il basista che i Kassam erano l'obiettivo giusto. Inutile aspettare presto un segnale dei banditi, inutile passare ore accanto al telefono. I rapitori si faranno vivi con una lettera, come è costume. E due giorni più tardi, papà Kassam lancia un appello, eppoi, rivolto al figlio, in francese, la voce spezzata dall'emozione, dice quello che sembra un messaggio: «Il tuo papà non ti ha mai ingannato e ti parla seriamente. Se mi vuoi fare un piccolo piacere pensa alle cose che abbiamo fatto insieme. E non dimenticare di imparare la tavola pitagorica. Quando tornerai faremo un piccolo viaggio, come abbiamo fatto il mese scorso». Le indagini procedono a tentoni. Il sabato la magistratura blocca i beni. Una decisione «obbligata», e difficile da attuare perché i Kassam sono una famiglia facoltosa di origine libanese e, si dice, il loro patrimonio è disseminato dappertutto: Adjabali Kassam, il Gran Vizir, è da sempre molto vicino a Karim Aga Khan e ne cura gli interessi in Costa d'Avorio. Non c'è neppur da pensare a sequestrare qualcosa all'estero. Dal suo canto l'Aga Khan fa sapere di esser molto vicino alla famiglia, «sconvolto, triste e preoccupato», anche se i suoi portavoce puntualizzano che con la famiglia di Fa¬ rouk non c'è parentela. Ma si supppone un suo intervento. Chi ha fatto il sequestro? Banditi dell'isola, confermano sicuri alcuni inquirenti: niente terroristi mediorientali, come delira taluno, né separatisti corsi. E un nome filtra attraverso le maglie della riservatezza: Matteo Boe, 35 anni, di Lula, cuore della Barbagia, già studente di agraria a Bologna. E' latitante da quando, nel 1986, è fuggito dall'Asinara con un gommone procuratogli, sospettarono i giudici, da Laura Manfredi, la studentessa di Castelvetro che gli ha dato due figli e ora abita a Lula. Era stato arrestato per il sequestro di Sara Niccoli, avvenuto in Toscana, alle porte di San Gimignano, il 2 luglio '83: figlia di un industriale di Pistoia, la ragazza, allora diciassettenne, rimase ostaggio per 118 giorni e fu liberata dietro pagamento, si disse, di 3 miliardi. Ma non è solo Boe ad esser sospettato, al kidnapping si pensa possano aver partecipato anche altri latitanti: Adolfo Cavia, per esempio, o Piero Loi, Giovanni Talanas, i gemelli Sebastiano e Giovanni Mureddu, il feroce Pasquale Stocchino, anche Mario Sale detto «su banditeddu» che, protagonista dei più feroci rapimenti in Toscana, sembra scomparso nel nulla. Si pensa a una banda mista, barbaricini e gente di Arzana. E «quelli di Arzana» sarebbero i più sanguinari di tutti. Le battute si susseguono. Migliaia di uomini ogni notte frugano i boschi e le gole della Barbagia e dell'Ogliastra. «Sempre azioni mirate», si dice. E una volta, dirà Vincenzo Parisi, capo della Polizia, «siamo arrivati al covo, ma in ritardo, purtroppo». E' una lunga attesa, poi, il primo aprile, «Epoca» rivela che i banditi hanno fatto scrivere al bimbo un'implorazione lacerante: «Mamma e papà, lo so che state lavorando molto piano ma dovete lavorare più veloce. Vi dò tanti saluti. Farouk». Ancora: «Mamma e papà, lo so che volete rivedermi subito ma questi muratori devono lavorare molto più veloce. Mamma e papà, lo sapete che ci stiamo tutti stancando e salutatemi Nour. Mamma e papà ho voglia di andare subito a casa perché ho voglia di rivedere tutti i miei amici e salutatemi Gioia e Kroco. Mamma e papà, ho voglia di rivedervi, pregate Dio e Gesù Cristo». Non ci son dubbi: la grafia è quella di Farouk. E la situazione, già molto delicata, è peggiorata dalla diffusione della lettera perché significa che il «mediatore» è bruciato e che occorre ricominciare daccapo. Sullo sfondo del dramma si affacciano anche i profili ributtanti degli sciacalli. A Biella, venerdì 10 aprile, vengono arrestati i fratelli Mohamed e Abdelaziz Moulazakki, marocchini trapiantati da anni in Europa. Sono accusati di aver telefonato alla casa sulla collina: «Dateci due milioni e mezzo di dollari». Sabato 22 febbraio un uomo telefona alla redazione della «Nuova Sardegna»: «Siamo stufi di aspettare. Non vogliamo più sentir storie sul blocco dei beni. Preparate gli emissari e non fateli venire a mani vuote, altrimenti faranno la fine di De Angelis». Il messaggio non viene considerato attendibile anche se è il primo accenno al taglio dell'orecchio. Poi, alla «Nuova» arriva una seconda lettera con alcune frasi in sardo. E' silenziosa la parrocchia di San Pietro, a Orgosolo, il giorno di Pasqua. Alla Messa, celebrata da don Sebastiano Sanguinetti, assistono soprattutto le donne e a loro si rivolge Marion Evelyne Bleriot. Sola, disperata. «Per l'amore della vostra bellissima terra, per l'amore di un bambino, mamme della Sardegna, chiedo il vostro aiuto e il vostro sostegno». Ma al di là della solidarietà, le donne non fanno molto e mentre continuano le ricerche alcuni inquirenti ammettono come soltanto un sequestro su dieci ha potuto esser chiuso senza il pagamento del riscatto. Agli arresti e ai processi si penserà dopo la liberazione dell'ostaggio. E c'è un momento in cui, forse, la liberazione appare a portata di mano. La notte fra il 4 e il 5 giugno, alle porte di Arzana, una pattuglia di carabinieri intercetta una Panda bianca: è un'auto rubata, c'è scontro a fuoco e quelli dell'utilitaria riescono a scappare a piedi. Sulla macchina, oltre ad alcune armi, ci sono anche un paio di stivaletti di gomma numero 32. Fin dal primo momento Fateh Kassam, il padre, ripete di non potersi neppure avvicinare alle richieste dei rapitori. Da quando gli hanno preso il figlio, in segno di lutto si è fatto crescere la barba. Più volte ha tentato di rintracciare il bimbo con battute nel Supramonte. Le pretese dei criminali, lievitate a 10 miliardi, si son fermate sui sette. Ma si dice che" «Fateh il duro» non voglia trattare. I banditi se ne convincono e per piegare la resistenza sfregiano il piccolo ostaggio: con un deciso colpo di bisturi gli tagliano una parte di cartilagine di un orecchio. Poi la mandano al padre con una minaccia: «Tra dieci giorni un altro pezzo». Il «postino» scelto dai briganti è don Luigino Monni, parroco di Galanoli, frazione di Orgosolo. Fateh, allora, dichiara: «Siamo in una situazione disperata e la cosa più terribile è che non ci possiamo neanche avvicinare alle loro richieste». [v. tes.] Chiesero dieci miliardi ma il padre: non li ho Eia madre disperata lanciò l'appèllo in chiesa ORE 23,05 CIRCA LIBERATO DALLA POLIZIA NELLA CAMPAGNA DIORGOSOLO Nella foto grande in alto Farouk, il bimbo rimasto in mano ai banditi sardi per 177 giorni. Più a sinistra il padre del piccolo, Fateh Kassam, uomo d'affari di origine libanese, a fianco la piantina della zona e, a destra, la mamma del bambino, Marion Evelyne Bleriot. Farouk ha una sorellina, Nour Marie La mutilazione, orribile ricatto 177 GIORNI DI ANGOSCIA La mutilazione, orribile ricatto Tre mesi di silenzio dopo il blitz in Costa Smeralda COSTA SMERALDA DAL NOSTRO INVIATO L'aria è tiepida quella sera di metà gennaio, spalancate le porte della casa sulla collina. Il promontorio di Pantogia, la «Vacca mansueta», appare deserto e anche Porto Cervo, lontano un chilometro e mezzo, ha un'aria desolata. Pochi minuti alle 20, buio, il vento accarezza appena gli arbusti dèlia macchia mediterranea e soltanto il rumore del mare, giù in basso, fa compagnia. Dal «palazzeddu» gallurese, in pietra rosa, grezza, arriva l'eco delle voci di Fateh Kassam, giovane uomo d'affari, e della moglie, Marion Evelyne Bleriot. I figli, Farouk, 7 anni, e la sorellina Nour Marie, 5, giocano al piano di sopra e attendono di esser chiamati per la cena. Nessuno ode l'auto che si arresta al bivio, nessuno scorge un'ombra scavalcare il basso muretto a secco. E' fuori combattimento anche il sistema di telecamere a circuito chiuso, almeno da Natale, ma non sembra esserci motivo di preoccupazione e ci si è dimenticati di denunciare il fatto. Da otto anni la famiglia Kassam vive nella casa in affitto su quel colle. Lui dirige l'albergo «Luci di la Muntagna», stipendio 50 milioni all'anno; lei si occupa della casa. Hanno sempre ripetuto di non essere ricchi. Ma qualcuno non li ha creduti: Kassam è ismailita, come l'Aga Khan, ed è suo amico, come lo era suo padre, così l'equazione che vien fatta è elementare. Lo sconosciuto entrato nel giardino scivola verso il cancello e aziona il pulsante dell'apertura elettronica. Ora anche i complici sono dentro il recinto. Due irrompono nella cucina, armati, i volti coperti, pantaloni di fustagno e giacca di velluto, in capo la «coppola». «Emanavano forte odore di formaggio», racconteranno i Kassam. 11 terzo è fuori per sorvegliare la strada. L'uomo e la donna vengono immobilizzati con un filo di ferro, Fateh crede di essere l'obiettivo e tenta una carta disperata: «Sono soltanto un amico, il padrone di casa è fuori». Ma i briganti non vogliono lui. Salgono sopra, chiudono Nour Marie in un armadio, afferrano Farouk, addosso il pigiama, e lo trascinano all'auto. Prima di andarsene, sembra, dicono con accento sardo: «Per riaverlo, 3 miliardi dovete pagare, e se lo rivolete vivo, dovete scrivere sul giornale: 'Vendesi casa autunnale' e un numero di telefono sicuro». La ricostruzione non è ufficiale, gli inquirenti non la forniranno mai forse perché dovrebbero riempire i molti vuoti, le vistose smagliature che caratterizzano il racconto del padre. Non è chiaro quando sia stato dato l'allarme collegato ai «Vigilantes». Pochi minuti dopo, è stato detto. E c'è chi giura che soltanto per caso l'auto con il piccolo ostaggio non è stata bloccata a pochi chilometri da Pantogia. Una macchina dei «Vigilantes» sembra che abbia incrociato una vettura di grossa cilindrata che correva oltre Porto Cervo, verso Baia Sardinia. Perché proprio i Kassam? «Qualcuno ha dato notizie, qualcuno che ha lavorato nella villa», si lasciano sfuggire gli inquirenti. Un Giuda, dunque, ben informato sulle abitudini della casa e che forse ha creduto di aver trovato una «gallina dalle uova d'oro»: la villa, l'albergo, l'Alfa 164 rossa e la Range Rover verde metallizzato possono esser stati decisivi per covincere il basista che i Kassam erano l'obiettivo giusto. Inutile aspettare presto un segnale dei banditi, inutile passare ore accanto al telefono. I rapitori si faranno vivi con una lettera, come è costume. E due giorni più tardi, papà Kassam lancia un appello, eppoi, rivolto al figlio, in francese, la voce spezzata dall'emozione, dice quello che sembra un messaggio: «Il tuo papà non ti ha mai ingannato e ti parla seriamente. Se mi vuoi fare un piccolo piacere pensa alle cose che abbiamo fatto insieme. E non dimenticare di imparare la tavola pitagorica. Quando tornerai faremo un piccolo viaggio, come abbiamo fatto il mese scorso». Le indagini procedono a tentoni. Il sabato la magistratura blocca i beni. Una decisione «obbligata», e difficile da attuare perché i Kassam sono una famiglia facoltosa di origine libanese e, si dice, il loro patrimonio è disseminato dappertutto: Adjabali Kassam, il Gran Vizir, è da sempre molto vicino a Karim Aga Khan e ne cura gli interessi in Costa d'Avorio. Non c'è neppur da pensare a sequestrare qualcosa all'estero. Dal suo canto l'Aga Khan fa sapere di esser molto vicino alla famiglia, «sconvolto, triste e preoccupato», anche se i suoi portavoce puntualizzano che con la famiglia di Fa¬ rouk non c'è parentela. Ma si supppone un suo intervento. Chi ha fatto il sequestro? Banditi dell'isola, confermano sicuri alcuni inquirenti: niente terroristi mediorientali, come delira taluno, né separatisti corsi. E un nome filtra attraverso le maglie della riservatezza: Matteo Boe, 35 anni, di Lula, cuore della Barbagia, già studente di agraria a Bologna. E' latitante da quando, nel 1986, è fuggito dall'Asinara con un gommone procuratogli, sospettarono i giudici, da Laura Manfredi, la studentessa di Castelvetro che gli ha dato due figli e ora abita a Lula. Era stato arrestato per il sequestro di Sara Niccoli, avvenuto in Toscana, alle porte di San Gimignano, il 2 luglio '83: figlia di un industriale di Pistoia, la ragazza, allora diciassettenne, rimase ostaggio per 118 giorni e fu liberata dietro pagamento, si disse, di 3 miliardi. Ma non è solo Boe ad esser sospettato, al kidnapping si pensa possano aver partecipato anche altri latitanti: Adolfo Cavia, per esempio, o Piero Loi, Giovanni Talanas, i gemelli Sebastiano e Giovanni Mureddu, il feroce Pasquale Stocchino, anche Mario Sale detto «su banditeddu» che, protagonista dei più feroci rapimenti in Toscana, sembra scomparso nel nulla. Si pensa a una banda mista, barbaricini e gente di Arzana. E «quelli di Arzana» sarebbero i più sanguinari di tutti. Le battute si susseguono. Migliaia di uomini ogni notte frugano i boschi e le gole della Barbagia e dell'Ogliastra. «Sempre azioni mirate», si dice. E una volta, dirà Vincenzo Parisi, capo della Polizia, «siamo arrivati al covo, ma in ritardo, purtroppo». E' una lunga attesa, poi, il primo aprile, «Epoca» rivela che i banditi hanno fatto scrivere al bimbo un'implorazione lacerante: «Mamma e papà, lo so che state lavorando molto piano ma dovete lavorare più veloce. Vi dò tanti saluti. Farouk». Ancora: «Mamma e papà, lo so che volete rivedermi subito ma questi muratori devono lavorare molto più veloce. Mamma e papà, lo sapete che ci stiamo tutti stancando e salutatemi Nour. Mamma e papà ho voglia di andare subito a casa perché ho voglia di rivedere tutti i miei amici e salutatemi Gioia e Kroco. Mamma e papà, ho voglia di rivedervi, pregate Dio e Gesù Cristo». Non ci son dubbi: la grafia è quella di Farouk. E la situazione, già molto delicata, è peggiorata dalla diffusione della lettera perché significa che il «mediatore» è bruciato e che occorre ricominciare daccapo. Sullo sfondo del dramma si affacciano anche i profili ributtanti degli sciacalli. A Biella, venerdì 10 aprile, vengono arrestati i fratelli Mohamed e Abdelaziz Moulazakki, marocchini trapiantati da anni in Europa. Sono accusati di aver telefonato alla casa sulla collina: «Dateci due milioni e mezzo di dollari». Sabato 22 febbraio un uomo telefona alla redazione della «Nuova Sardegna»: «Siamo stufi di aspettare. Non vogliamo più sentir storie sul blocco dei beni. Preparate gli emissari e non fateli venire a mani vuote, altrimenti faranno la fine di De Angelis». Il messaggio non viene considerato attendibile anche se è il primo accenno al taglio dell'orecchio. Poi, alla «Nuova» arriva una seconda lettera con alcune frasi in sardo. E' silenziosa la parrocchia di San Pietro, a Orgosolo, il giorno di Pasqua. Alla Messa, celebrata da don Sebastiano Sanguinetti, assistono soprattutto le donne e a loro si rivolge Marion Evelyne Bleriot. Sola, disperata. «Per l'amore della vostra bellissima terra, per l'amore di un bambino, mamme della Sardegna, chiedo il vostro aiuto e il vostro sostegno». Ma al di là della solidarietà, le donne non fanno molto e mentre continuano le ricerche alcuni inquirenti ammettono come soltanto un sequestro su dieci ha potuto esser chiuso senza il pagamento del riscatto. Agli arresti e ai processi si penserà dopo la liberazione dell'ostaggio. E c'è un momento in cui, forse, la liberazione appare a portata di mano. La notte fra il 4 e il 5 giugno, alle porte di Arzana, una pattuglia di carabinieri intercetta una Panda bianca: è un'auto rubata, c'è scontro a fuoco e quelli dell'utilitaria riescono a scappare a piedi. Sulla macchina, oltre ad alcune armi, ci sono anche un paio di stivaletti di gomma numero 32. Fin dal primo momento Fateh Kassam, il padre, ripete di non potersi neppure avvicinare alle richieste dei rapitori. Da quando gli hanno preso il figlio, in segno di lutto si è fatto crescere la barba. Più volte ha tentato di rintracciare il bimbo con battute nel Supramonte. Le pretese dei criminali, lievitate a 10 miliardi, si son fermate sui sette. Ma si dice che" «Fateh il duro» non voglia trattare. I banditi se ne convincono e per piegare la resistenza sfregiano il piccolo ostaggio: con un deciso colpo di bisturi gli tagliano una parte di cartilagine di un orecchio. Poi la mandano al padre con una minaccia: «Tra dieci giorni un altro pezzo». Il «postino» scelto dai briganti è don Luigino Monni, parroco di Galanoli, frazione di Orgosolo. Fateh, allora, dichiara: «Siamo in una situazione disperata e la cosa più terribile è che non ci possiamo neanche avvicinare alle loro richieste». [v. tes.] Chiesero dieci miliardi ma il padre: non li ho Eia madre disperata lanciò l'appèllo in chiesa ORE 23,05 CIRCA LIBERATO DALLA POLIZIA NELLA CAMPAGNA DIORGOSOLO Nella foto grande in alto Farouk, il bimbo rimasto in mano ai banditi sardi per 177 giorni. Più a sinistra il padre del piccolo, Fateh Kassam, uomo d'affari di origine libanese, a fianco la piantina della zona e, a destra, la mamma del bambino, Marion Evelyne Bleriot. Farouk ha una sorellina, Nour Marie