«SI', E' FINITO L'OCCIDENTE»

«SI', E' FINITO L'OCCIDENTE» «SI', E' FINITO L'OCCIDENTE» CIO' che sorprende maggiormente nelle diverse reazioni al libro di Asor Rosa Fuori dall'Occidente è l'assoluta incomprensione del problema centrale che il testo vorrebbe proporre. Si rimuove in partenza o si minimizza l'annuncio più inquietante e scandaloso: la denuncia del compimento catastrofico di un intero ciclo storico, chiamato Occidente: «.Questa parte della storia è conclusa per sempre». Se non si sperimenta nella propria carne questa situazione di esaurimento nervoso universale, che si presenta «oggi per la prima volta nella storia», è chiaro che il discorso di Asor Rosa possa essere facilmente banalizzato e liquidato. Lo si annienta però senza prenderlo in seria considerazione: lo si annienta interpretandolo all'interno di quelle categorie, filosofiche o politiche, dell'Occidente, che invece il libro dà per esaurite. Cade in questo trabocchetto sia chi concordi con Asor Rosa sulla scia di un orientamento politico anti-occidentalista «di sinistra», sia chi dissenta da lui in nome delle libertà individuali comunque conquistate in Occidente, o più semplicemente in nome di una generica ragionevolezza antiapocalittica. Su quest'ultima linea mi sembra emblematica la posizione espressa da Bobbio su Tuttolibri. Bobbio ci invita alla prudenza, dice no ai profeti di apocalissi, ci ricorda che l'ineluttabile, mille volte già annunciato, non è poi mai accaduto. Ma è veramente così? Siamo sicuri che in un certo senso l'inelettuabile non sia già accaduto? Questa ragionevolezza che si ostina a decretare «né speranza né disperazione» non è già di per sé un sintomo grave dell'ineluttabile tramonto in cui sta sprofondando l'Occidente? E' possibile che Bobbio non si sia accorto che l'apparente bonarietà della sua ragionevolezza «senza speranze» è già di per sé il nichilismo realizzato? No, il libro di Asor Rosa deve essere letto molto più radicalmente per ciò che è: il testamento di una cultura che, finendo, sa però ancora sperare, tentare, lanciarsi in avanti. La forma stessa del libro è un tentativo di saltar fuori dalle demarcazioni del sapere occidentali, da tutti questi recinti asfittici. Fuoti dall'Occidente infatti non è né un saggio politico né un'esegesi biblica, né niente di definibile: è uno sforzo di parlare ancora, ai limiti di un'era, custodendo la memoria di un senso. Non comprendere questo rivolgimento linguistico, questo deragliamento dai binari ormai morti dei sin¬ goli saperi, significa ignorare il travaglio creativo di tutto il Novecento. In tal senso proporrei per il libro di Asor Rosa una lettura poetica, ed è per questo che mi sono sentito spinto a intervenire. Una lettura poetica non implica né una riduzione letteraria né un abbandono del terreno concreto della storia. Una lettura poetica dà invece peso storico e politico alla forma del libro prima che ai suoi contenuti concettuali. E la forma di Fuori dall'Occidente, la sua «follia», l'assurdità di comparare la Guerra del Golfo con le visioni apocalittiche di Giovanni, ci indica più di tutti gli argomenti interni che la civiltà occidentale, nelle sue espressioni culturali più avvertite, è arrivata ad un compimento irreversibile. E' la fedeltà alle nostre stesse radici occidentali, alla fame di giustizia e di verità che pure ha animato l'Occidente, che ora ci costringe a tentare nuove vie. Ed è qui che interviene il risvolto profetico. La parola profetica, nel buio del transito, nelle più violente contraddizioni dei grandi rivolgimenti, ricorda all'uomo che c'è un senso: grida «che la storia ha un senso» e nel suo grido, quasi inconsapevolmente, lo indica. Ci sono momenti storici, come il nostro, in cui davvero non basta dire che la storia «è un intreccio di bene e di male», come fa Bobbio; ci sono momenti in cui l'estrema radicalità del giudizio, che condanna innanzitutto le nostre identità rattrappite, costituisce l'unico gesto di vera umiltà; ci sono momenti come questo che stiamo vivendo in cui il rischio della faccia e della stessa vita è l'unica scelta veramente prudente. I poeti lo sanno da tempo. Tutto il '900 rimbomba delle loro grida inascoltate. Nel '22 Eliot ci disse che la terra era già desola¬ ta; nel '33 un ragazzo di 19 anni, di nome Dylan Thomas, gridava: «La civiltà è un'assassina. Noi, con la croce di un Salvatore castrato incisa sui sopraccigli, affondiamo sempre e sempre più profondamente con il passare dei giorni nel pozzo dell'Occidente». Sei anni dopo l'Europa degli uomini «ragionevoli» avrebbe affrontato una nuova e tenibile verifica della propria ineluttabile follia. Noi siamo molto oltre. La speranza comunista è come se avesse rinviato per settantanni la resa dei conti finale dell'Occidente con se stesso. Ora non abbiamo più «nemici interni». Ora l'Occidente, e cioè ciascuno di noi, deve fissare negli occhi la propria anima, per scoprire se lì ci sia ancora un'energia capace di rigenerarci. E anche qui Asor Rosa coglie nel segno: «Si può uscire dall'Occidente, solo passando attraverso la propria anima». L'Anima, d'altronde, non è la grande esclusa dall'Occidente? L'Anima che canta, intendo, che soffre e che vede non è stata fin dall'inizio ridotta al silenzio e asservita dalla mente dialettica che sa solo calcolare? Forse la nostra Anima, la nostra Donna ha tutta una nuova storia da raccontarci. Forse dobbiamo soltanto imparare ad ascoltarla, a lasciarla parlare in noi e a rispondere delle parole che ascoltandola pronunceremo. Ecco perché prima ancora di un'etica della risposta, della responsabilità, mi sembra indispensabile rianimare una poetica dell'ascolto. Ci lasci la follia della speranza, professor Bobbio. L'uomo si nutre di questa follia, o crepa. Non lo vede intorno a sé? Ringrazio perciò Asor Rosa che non ha avuto paura di mostrarsi un po' folle, un po' vivo, e gli dedico, per finire, questo grido di speranza di Dylan Thomas, che dopo 60 anni vale ancora per noi: «Chiediamo soltanto che l'attuale Disordine, questa macchina medioevale che sta macinando in polvere le ossa e le viscere della generazione post-bellica, venga spezzata in due, e che tutto ciò che v'è in noi di religiosità e di forza, di felicità e di genio, possa esultare al Sole». Marco Guzzi Marco Guzzi, filosofo e poeta, interviene nel dibattito aperto da Norberto Bobbio («Tuttolibri», n. 807) sul libro di Asor Rosa Fuori dall'Occidente (Einaudi). A Bobbio, nello scorso numero di «Tuttolibri», ha risposto Asor Rosa («La mia Apocalissi»). Marco Guzzi ha di recente curato (Marietti) un colloquio con Enzo Bianchi: R/'com/nciare nell'anima, nella chiesa, nel mondo. e nel uttolill'Oco nu Rosa

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