IL MITO NAZIONE

IL MITO NAZIONE IL MITO NAZIONE Sangue, simboli e battaglie nel libro dell'inglese Anthony Smith La forza enigmatica delle etnie nelle crisi dell'Europa senza imperi TBR VEL 1989 u presidente Ini serbo, Slobodan MiloE^h sevic- pronunciò nel I M Kosovo un infuocato I M discorso patriottico I kb per celebrare il quin90 to centenario della Wffl sfortunata battaglia I iH con cui i serbi aveva.JL Vi no inutilmente cercato di arrestare l'avanzata delle truppe turche lungo la penisola balcanica. Quella retorica rievocazione di un passato lontano nascondeva un preciso programma politico. Con essa Milosevic mise in soffitta la storia jugoslava, rimise in auge la storia serba e impresse una brusca svolta agli avvenimenti politici del suo Paese. Un esercizio politico-letterario su un lontano fatto d'armi si rivelò in realtà un manifesto nazionale, destinato ad avviare una tragica sequenza di assedi, bombardamenti, eccidi e «purificazioni etniche». Ma sino a che punto i fatti storici di cui parlò Milosevic nel suo discorso del 1989 possono considerarsi rilevanti per una regione abitata oggi da due milioni di albanesi che conducono sotto il dominio di Belgrado una vita culturale pressoché clandestina? E perché mai i serbi dovrebbero brandire minacciosamente il loro passato quando il nemico di allora l'impero Ottomano - è scomparso dalla faccia della storia? E infine: quale reale rapporto di sangue esiste fra i serbi d'oggi e quelli di cinquecento anni fa? Ecco alcune delle domande che vengono spontanee alla lettura di un libro pubblicato dal Mulino sulle origini etniche delle nazioni. L'autore. Anthony D. Smith, studioso della London School of Economie and Politicai Science, dedica una larga parte del suo lavoro al modo in cui le élite politiche e intellettuali hanno «manipolato» il passato delle loro nazioni. I gonnellini e i tartan dei clan scozzesi - egli ricorda - furono inventati verso la metà del '700 «sull'onda delle ribellioni dei giacobiti». Le «antiche» tradizioni dell'incoronazione britannica risalgono al XIX secolo. La fondazione dell'Ungheria cade nell'896 d. C. perché così fu deciso dai patrioti ungheresi del secolo scorso e così afferma il monumento al Millenario, eretto a Budapest nel 1896. Altrettanto potrebbe dirsi della fondazione di Roma, il 21 aprile del 753 a. C, o del battesimo collettivo, nel 988, con cui Vladimiro, principe di Kiev, convertì il suo popolo al cristianesimo. Altrettanto difficile, per certi aspetti, è la definizione di etnia. La parola greca «ethnos» ricorda Smith - significa, a seconda dei casi, banda, schiera, sciame, stormo, razza, popolo, nazione, casta, tribù, sesso. Se accettiamo il suo significato corrente - un popolo distinto da tratti comuni e da un forte senso di identità -iutto ci appare, a prima vista, semplice e chiaro. Ma tutto diventa, a uno sguardo più attento, spaventosamente complicato. In alcuni casi il tratto comune è rappresentato dalla lingua, in altri dalla religione, in altri ancora dalla permanenza delle istituzioni o dal sentimento di una patria perduta. Gli scozzesi hanno smarrito il ricordo della loro lingua, ma conservano all'interno della nazione britannica, una forte individualità giuridica. Gli abitanti meridionali e settentrionali del Giura parlano la stessa lingua (il francese), ma i giurassiani del Sud scolsero il cantone di Berna piuttosto che la Francia perché ai bernesi erano legati da affinità religiose. I serbi e i croati parlano praticamente la stessa lingua, ma il confine che li divide è la frontiera secolare fra la Chiesa d'Oriente e quella d'Occidente. La riesumazione dell'ebraico risale all'opera di un grande linguista, Eliezer Ben-Yehudah, fra il 1881 e il 1918. Ma il pluralismo linguistico degli ebrei nei secoli precedenti non ha mai rotto i loro vincoli di comunanza spirituale e solidarietà umana. Smith non ritiene tuttavia che le manipolazioni storiche, le ambiguità semantiche e la difficile individuazione di un tratto comune permettano d'ignorare o trascurare le profonde radici che legano le etnie alla loro terra e al loro passato. Fra coloro per cui etnie o nazioni sono soltanto una epifania del- la storia e coloro che credono alla loro immutabilità, egli pende, con qualche attenuazione e distinzione, per la seconda ipotesi. E non è certo stupito quindi dalla loro impetuosa rinascita nel corso degli ultimi anni. Il suo libro non parla di ciò che è accaduto in Europa centroorientale dopo la fine della guerra fredda e il collasso dell'impero sovietico, ma è un eccellente prologo ai fatti del nostro tempo. Anche Smith tuttavia, se avesse spinto la propria indagine sino all'attualità, non avrebbe mancato di constatare con sorpresa che la vita dei gruppi etnici o nazionali obbedisce a imperativi imprevedibili e mal decifrabili, che una nazionalità addormentata e un conflitto latente possono improvvisamente ridestarsi con inattesa violenza. Sappiamo quanto sia stata difficile nella storia la convivenza di armeni e azeri, georgiani e osseti, cechi e slovacchi, ucraini e polacchi, russi e romeni, serbi e croati, ungheresi e romeni. Ma soltanto lo studio dei grandi imperi - dinastici, territoriali o ideologici - può dirci perché la coabitazione delle etnie divenga d'un tratto impossibile, perché la morte di un grande progetto unificatore risvegli coscienze etniche che si erano lungamente assopite. Per chi voglia passare dalle analisi storiche dello studioso inglese alla complessità delle vicende contemporanee un'utile guida è rappresentata dal libro di Massimo S. Baistrocchi sulla dissoluzione dell'Unione Sovietica (Ex Urss. La questione delle nazionalità in Unione Sovietica da Lenin alla Csi), pubblicato ora da Mursia. E' la prima opera apparsa in Italia in cui il lettore possa trovare la descrizione dei protagonisti con i necessari dati statistici e demografici, qualche cenno sulla loro storia e soprattutto la cronaca degli avvenimenti che hanno accompagnato negli ultimi mesi, a Mosca e nelle capitali delle singole Repubbliche, la disgregazione dello Stato sovietico. Il libro di Smith e quello di Baistrocchi stanno l'uno all'altro come il diritto e il verso di un arazzo: da un lato le etnie e le nazioni, ritratte nella loro nascita e trasformazione; dall'altro l'intricata trama dei conflitti, vecchi e nuovi, che la morte del comunismo ha risvegliato dal sonno della storia. Su piani diversi e con diversa prospettiva, due buone introduzioni al mondo d'oggi e, purtroppo, a quello di domani. Sergio Romano Anthony D. Smith Le origini etniche delle nazioni Il Mulino, pp. 512, L 52.000 Una manifestazione contro Slolwdan Milosevic