LA TIGRE CHE SPOSO' MAO di Gabriella Bosco

LA TIGRE CHE SPOSO' MAO LA TIGRE CHE SPOSO' MAO Il sinologo Bodard racconta la scalata di una diabolica attrice tht "yr parigi N romanzo straripante e tumultuoso come lo Yang Tse Kiang, una scrittura che sembra non debba fermarsi mai e racconta la storia come V un'enorme follia: ec- col diecimila gradini di Lucien Bodard, biografia fantasiosa di Jiang Qing, la terribile vedova di Mao (il libro uscirà presto in Italia da Baldini & Castoldi, tr. di G. Guadalupi, pp. 384, L. 30.000). In Cina Bodard è nato, nel 1914, e ha trascorso tutta l'infanzia. Suo padre era console di Francia, a Chung King. Il destino volle che vi tornasse da adulto, divenuto giornalista. Cominciò allora a fare il corrispondente di guerra per France Soir: dall'Indocina, dal Vietnam, dall'Algeria. In seguito, fu a lungo inviato speciale a Hong Kong. Firmò migliaia di articoli, noto come «Lulu il Cinese», immagine tipica del reporter come veniva rappresentato nei film di una volta: senza paura, bevitore e fumatore incallito, presente dappertutto. Sino a dieci anni fa, quando un corpo molto appesantito e l'insorgere di un'atavica pigrizia fisica gli hanno fatto scoprire la passione per il romanzo. Abbandonati i viaggi ma non la stessa eterna macchina per scrivere, vecchissima e minuscola sotto le sue mani da gigante, ha vinto il Goncourt: nel 1982, con AnneMarie, romanzo dedicato all'infelicità della madre. Non c'è da stupirsi che Bertolucci l'abbia voluto ne L'ultimo imperatore per fargli impersonare l'alto dignitario, con i campanellini in testa, addobbato come un albero di Natale. Oggi, a 78 anni, è una via di mezzo tra un vecchio mandarino e un Budda panciuto. Ha una faccia che è una maschera di fissità ma anche tutta borse e rughe. Non guarda l'interlocutore, ma davanti a sé come se vedesse tutt'altro'che il salottino borghese del suo appartamento nella borghesissima Rue de l'Université, stranamente arredato con bauli e paraventi cinesi misti a porcellane di Sèvres. Ha una voce lenta, una specie di brontolio ruminato che sembra venire da molto lontano, pause lunghissime e riprese repentine, un sigaro che non finisce mai. Che persona era la signora Mao? Figlia di una puttana, ambiziosa, cinica, vendicativa. Nata con niente, è arrivata alle soglie del potere assoluto. Qualcuno di eccezionale. Ma era folle, come a un certo punto del romanzo un personaggio dice di lei? No, non era folle. E' pazzesco quello che ha fatto, il godimento nel perpetrare i aimini, la voglia di vendetta per le sue sofferenze trasformata in politica. Ma folle, lei, no. Intelligente? Intelligente, sì, molto. Nella manipolazione degli uomini, nella teatralità delle situazioni. Capiva rapidamente quello che acca¬ deva, e lo piegava ai suoi fini. Aveva un'oculatissima arte di piacere, ereditata dalla madre. Non si può dire che nel romanzo lei sia tenero con Jiang Qing, però si sente che il personaggio la affascina molto. Il tema, più ancora del personaggio. Donne e potere. Già lo trattai in un altro romanzo, La valle delle rose, in cui raccontai la storia dell'imperatrice Tseu-Hi: arrivata, e poi rimastaci sessant'anni, dove Jiang Qing non riuscì nonostante tutto ad arrivare. Era stata per lei anzi un modello, e per entrambe l'imperatrice Wu, altra concubina che nella Cina medievale riuscì a impadronirsi del potere facendo uccidere tutti coloro che le stavano intorno. La dittatura delle donne può essere dura e sangui- nosa come quella dell'uomo, e anche di più. Come ha fatto Jiang Qing, da attricetta che era, a diventare moglie di Mao? L'ha aiutata il destino, nella persona di Kang Sheng, suo precettore e fin da prestissimo amante. E' lui, l'arcangelo diabolico del comunismo, che l'ha fatta andare a Shanghai, le ha trovato lavoro e poi via via - restando sempre amante nell'ombra - l'ha portata di tappa in tappa sino all'incontro fatale, a Hunan, dove Mao arrivò con i superstiti della Lunga Marcia. Lui, che condannava i sentimenti personali, era anche un gran sensuale, si innamorò e volle sposarla nonostante tutto il partito le fosse contro. Bisogna dire che poi il partito fece in modo di tenerla lontana per più di trent'anni dalla politica. Mao la mandò in Russia. Ma quando anche Mao cadde in disgrazia ed escogitò l'arma della Rivoluzione culturale, ebbe in lei una grande alleata. Questo però ne I diecimila gradini non c'è, è nel libro che sto scrivendo adesso, il seguito. I diecimila gradini, con le sue 384 pagine, arriva solo all'incontro di Hunan, al momento in cui Jiang Qing ebbe l'impressione che Mao la stesse guardando. E' il racconto della scala lunghissima che aveva dovuto salire per arrivare a quel punto. Comincia dalla fine della storia: l'interminabile agonia di Mao. E l'inversione è una trovata di grande effetto. Il primo centinaio di pagine racconta di quel settembre del '76 in cui il Gran Timoniere non finiva mai di morire. Rivoltante nel suo corpo disfatto, ma conscio della rapacità che lo circondava. Avvoltoi in attesa del passaggio di potere tanto lei - Jiang Qing - con la sua Banda, quanto Hua Kuo Feng e Deng Xiao Ping. La signora Mao era sicura che sarebbe stata lei la designata? Ne era certa, e aspettava avida quella parola che lui non pronunciò, costringendola a ridiscendere rovinosamente i diecimila scalini della sua ambizione. Che cosa pensa della fine reale della sua eroina? Del suicidio in carcere? L'ha fatto per dare un compimento simbolico alla sua storia. In Cina ci si suicida sempre contro qualcuno. Jiang Qing si è suicidata contro Deng Xiao Ping. Come vede il futuro della Cina? Ci sono tornato quattro anni fa, ho trovato una Cina molto meno dura e meno pericolosa di quella che ho conosciuto io. Poi c'è stato il massacro di Tien An Men, ma non ha fermato il processo di modernizzazione, lo sviluppo economico appoggiato sugli stranieri. Certo, è l'ultimo comunismo. Che ne sarà, morto Deng Xiao Ping, non si può sapere. Gabriella Bosco Lucien Bodard autore del romanzo «I diecimila gradini» Jiang Qing, la moglie di Mao