LA TALPA SVIZZERA

UOMINI E NO A MILANO UOMINI E NO A MILANO 77 sardo e il kenyota diAngioni "jn "'•'E' Rocco e i suoi fra- Ht telli né Miracolo a Ma Milano: ma qualche 9É memoria dei due «fi film, sì, è rimasta tra ■B le righe del romanzo Wg di Giulio Angioni, Uf Una ignota compaHJ gnia, appena pubbli«A. S cato da Feltrinelli. Dal realismo cupo e incombente di Luchino e dal selenitico candore di Zavattini, il cinquantatreenne Angioni, autore di due precedenti romanzi {L'oro di Fraus, 1988, e II sale sulla ferita, 1990), ha tratto come il lontano spunto di una fiaba antieroica, di una canzone di gesta rinnovata e attuale. L'emigrazione da nazionale è diventata extracomunitaria, ma i problemi restano quelli di un'integrazione azzardosa, che lascia dietro di sé morti e feriti. Una Milano succhiatutto, astuzia fatta bestia come nello stemma del biscione, multirazziale ma tenacemente indigena e dialettale. Vite precarie, lavori saltuari, odori rancidi di mense promiscue, di pensioni abitate come covili, il freddo di una città che attraversa i suoi inverni come una battaglia di spade. Sarebbe stato facile cadere nell'apologo edificante della solidarietà o all'opposto nella già troppo vista parabola dei vinti della vita. Qui siamo invece nella sobria decenza di un racconto senza iperboli: un io che narra di sé e di un'amicizia inconsueta, recuperando i frammenti di un passato recentissimo ma già come remoto. I tasselli dell'intera storia si dispongono sulla pagina a poco a poco, per aggiunte e integrazioni continue, poiché «nella memoria niente resta immobile al suo posto». In una pensione di Brugherio si ritrovano il sardo Tore Melis (l'io narratore) e un kenyano che si chiama Warùi, alto quasi due metri, ex seminarista presso i padri della Consolata, poi studente in una high school della boscaglia, aspirante dottore in scienze della terra a Nairobi e infine emigrante a Milano, o meglio a «Mlano», come suona la pronuncia da millentato americano di New York. I due lavorano nella stessa azienda, la «Lucetta Confezioni», cinquanta ragazze mica male che cuciono intimo per signora sotto la guida di un pro¬ prietario chiamato l'Avvoltoio e della moglie, bella, grande, bionda ed efficiente. Al lavoro quotidiano mescolano il footing al Parco Lambro e condiscono le loro conversazioni con uno strano lessico fatto di sardo e di kikuyu, un cocktail ben shakerato di proverbi esotici e nostrani che nel romanzo prende il nome musicale e spiritoso di Baringo Rap. Alle spalle di Warùi c'è anche un soggiorno a San Vittore e la storia con un'avvocatessa, che lo tiene un po' con sé e alla fine 10 licenzia a causa di una pariniana, un po' grottesca storia di cani. Fatti comuni narrati con spigliatezza disegnano un anno, un anno e mezzo di vita. Personaggi curiosi la popolano: 11 tramviere Eligio, la figlia Giuseppina che muore sotto un'auto, la ragazza Simonetta che si perde dietro il campanello di una casa d'appuntamenti, la coloniale Agatinha, portoghese di Maputo, le tante comparse che passano come neiges d'an¬ tan in un catalogo persino minuzioso. Su questo mondo la tragedia incombe e viene un tempo in cui sembra scoppiare, prendere addirittura le forme dell'evento inesorabile e compiuto. Ma non si tratta che di un avviso. Nel mezzo tono di un linguaggio spesso amaro ma anche sottilmente umoristico, fantasiosamente marezzato di meneghino e di swahili, Warùi decide di tornare al suo paese e anche Tore Melis finisce per seguirne l'esempio in una partenza improvvisamente consapevole e matura: «Domani vado via, ritorno a casa anch'io, domani. Eccomi qua, mi sento Sande, già finito, cresciuto ori dalla vecchia pelle». Giovanni Testo Giulio Angioni Una ignota compagnia Feltrinelli pp. 174, L 25.000

Persone citate: Angioni, Giovanni Testo, Giulio Angioni, Tore Melis, Zavattini

Luoghi citati: Brugherio, Feltrinelli, Maputo, Milano, Nairobi, New York