Le piccole prostitute muoiono ma Bangkok pensa agli affari di Fernando Mezzetti

Le piccole prostitute muoiono ma Bangkok pensa agli affari IL CASO L'INFERNO IN VENDITA Le piccole prostitute muoiono ma Bangkok pensa agli affari LA denuncia sulle 800 mila prostitute bambine è stata fatta nell'agosto dell'anno scorso a un convegno internazionale sull'Aids svoltosi a Giakarta dal presidente della Fondazione thailandese per l'adolescenza, Phaithoon Manchai: un personaggio che da anni si batte per cercare di convincere le prostitute a imporre l'uso del preservativo a clienti «macho» o più semplicemente stupidi. Le sue campagne si scontrano con gli interessi di tutto il mondo della prostituzione, colossali in un Paese che accanto a esotismo, pagode e belle spiagge, offre soprattutto sesso a buon mercato, specie a Bangkok, città invivibile. La situazione ora è divenuta ancor più tragica: 25 bambineprostitute birmane sono state giustiziate col cianuro perché avevano l'Aids. Il paradiso del sesso in vendita è diventato un inferno per le sue piccole animatrici. «Troverete da noi più cosce tentatrici che in tutti gli altri bar del quartiere messi insieme. Da nessun'altra parte potrete mettere le mani su tante belle cosce come da noi»». Non è la pubblicità di un bordello, ma di un locale per pollo fritto apparsa mesi fa su un giornale di Bangkok, dove evidentemente anche il fastfood per lanciarsi preferisce ricorrere al doppio senso del richiamo al sesso facile. Ma nella Thailandia oppressa da un'immagine di donne dolcissime e stupende si è ormai automaticamente caricata la bomba dell'Aids: un problema di cui pochi sembrano disposti a parlare per non nuocere all'industria del sesso che contribuisce maggiormente all'afflusso di turisti da tutto il mondo, con relativo sviluppo di attività collaterali. Affiancate modeste campagne di prevenzione e sensibilizzazione lanciate da gruppi privati, il governo sembra poi essersi tirato indietro, scegliendo il mutismo sotto la pressione dei vasti interessi legati all'immenso supermercato del sesso che sono Bangkok e le altre città principali. Le associazioni dei tenutari di bordelli, di gestori di locali per massaggi e di bar affollati di ragazze letteralmente nude, disponibili a palpare e farsi palpare mentre il cliente al banco si fa l'aperitivo, hanno protestato contro ogni allarmismo. Tollerante per tradizione verso ogni inclinazione e abitudine sessuale, la Thailandia è piena di tossicomani, omosessuali e ragazze che campano facendo la vita: in molti casi vendute dalle famiglie contadine per una manciata di dollari a aguzzini che corrono le campagne a caccia di belle cosce e bei sorrisi con cui rifornire i bordelli. E che sempre più sconfinano anche in Birmania o in Laos a comprare nuova e più indifesa «merce». Ma la parola d'ordine ufficiale è che i rischi di Aids sono ridotti al minimo. In ciò Bangkok porta all'estremo una strana teoria circolante un po' in tutta l'Asia, secondo la quale questo continente, sarebbe quasi immune dal male che affligge Africa, Europa e Usa. Il gruppo capeggiato da Manchai ha lanciato campagne facendo distribuire gratuitamente contraccettivi nei bar da ragazze vestite con abiti a forma di preservativo, inalberando cartelli con su scritto: «La Thailandia combatte l'Aids». Una delle fighe del re è intervenuta più volte con pubbliche dichiarazioni a condannare la dimensione industriale se non istituzionale della prostituzione, auspicando campagne anti-Aids. Un ministro della Sanità chiese che si stroncasse l'industria del sesso, ammonendo in tv sul rischio di «diffusione mdiscriminata di Aids». L'allarme era basato sui dati delle prime ricerche: a tutto settembre '90 i morti da Aids ufficialmente ammessi erano solo trenta, ma novemila persone, l'85 per cento dei quali tossicomani, erano risultate sieropositive. Ma solo 32 mila dei circa 150 mila tossicodipendenti da eroina erano stati esaminati, e solo centomila su un totale di circa due milioni di prostitute, fra cui 800 mila bambine e un imprecisabile numero di maschietti. Machai ha dato cifre più aggiornate: nell'agosto '91, trenta mila prostitute, in maggioranza adolescenti, risultavano sieropositive. Il governo aveva lanciato test di massa in seno alle forze armate, e campagne radiofoniche e televisive. Ma nulla ha fermato la crescita dei locali di divertimento per tutti i gusti e del relativo afflusso di gente da tutto il mondo. Interi quartieri di Bangkok sembrano zone di città mediorientali, con scritte in arabo ovunque; altri si limitano all'inglese rivolgendosi soprattutto a occidentali. A fine '91, venivano ufficialmente ammessi 91 morti da Aids, con la salita dei sieropositivi a 14.116. Malgrado questo sviluppo, che secondo Machai e altri esperti internazionali è molto inferiore alla realtà, dopo l'iniziale allarme, si è messa la sordina a ogni campagna di prevenzione. Da Chiang Mai, maggior centro del Nord del Paese, vengono notizie allarmanti: in questa sola città trentamila sarebbero i sieropositivi secondo ricercatori privati. Il governo minimizza dicendo che le ragazze riscontrate malate a Bangkok vengono rimandate a casa nel Nord, da dove in genere provengono, e nel cui capoluogo continuano a fare l'unica cosa che sanno fare. Adesso si espellono le incolpevoli sventurate comprate dai loschi avventurieri in Birmania: dove i generali senza scrupoli nel far stragi e nell'impestare il mondo con la droga, ne hanno ancor meno eliminandole. Il primo ministro thailandese, nell'autunno '90, si rifiutò di partecipare a un convegno sull'Aids, e sempre più molte iniziative per pubblicizzare il problema sembrano ostacolate. Da una parte una sorta di malinteso orgoglio nazionale; dall'altra gli immensi interessi dell'industria del sesso. Nel Sud-est asiatico, afflitto da immagini e miti di dolcezza, calamita di esotismo per occidentali stremati, la vita sembra valere ben poco. Fernando Mezzetti La prostituzione nei Paesi orientali è un business, pochi clienti usano il profilattico

Persone citate: Chiang Mai