Tangentopoli nel Golfo

Tangentopoli nel Golfo Miliardi per propagandare l'intervento, ma lui si teneva i soldi Tangentopoli nel Golfo Il Kuwait pagava un diplomatico Usa NEW YORK NOSTRO SERVIZIO Hanno preso soldi dal governo del Kuwait per organizzare il consenso attorno alla Guerra del Golfo, ma hanno tenuto per sé qualcosa come il 70 per cento, una tangente di fronte alla quale anche i fasti della metropolitana di Milano risultano tutto sommato modesti. I numeri esatti riguardanti questa operazione condotta dall'ex ambasciatore americano nel Barhein Sani Zakhem, dal proprietario e dal direttore di un giornale adesso chiuso, William Kennedy e Scott Stanley, sono 7 milioni e 700.000 dollari incassati e di due milioni effettivamente spesi. Ora, tutti e tre sono stati incriminati, e fra le accuse di cui devono rispondere ci sono anche l'evasione fiscale e la mancata «notifica» di essere al servizio di un governo straniero. E' noto che l'emiro del Kuwait, durante i mesi precedenti la Guerra del Golfo, mentre Washington stava lavorando per costruire la coalizione mondiale contro l'occupazione irachena, non badava a spese per ottenere la liberazione del suo Paese e poter tornare sul trono. Si sa per esempio che il suo ambasciatore negli Stati Uniti assunse un'importante società di pubbliche relazioni per curare la propria immagine presso i giornali, che quell'ingaggio costò dai 20 ai 22 milioni di dollari e che il capolavoro dell'operazione fu la drammatica testimonianza di una bambina davanti alla commissione Difesa della Camera, in cui nacque la famosa storia dei bambini kuwaitiani che gli iracheni avevano buttato fuori dalle incubatrici. Poi si scoprì che quella bambina era la figlia dello stesso am¬ basciatore e che quando gli iracheni erano arrivati a Kuwait City lei era a a Washington. Ora però si scopre che oltre a quello con la società di pubbliche relazioni il Kuwait fece altri investimenti «laterali», come appunto i 7,7 milioni di dollari pagati all'ex ambasciatore Zakhem e ai due «mediamen», perché lavorassero più direttamente nei confronti del pubblico (con spot televisivi, distribuzione di magliette con la scritta «Free Kuwait», annunci sui giornali, eccetera), nonché nei confronti dei parlamentari che prima o poi si sarebbero trovati ad autorizzare l'uso della forza contro Saddam Hussein, come infatti poi avvenne in un dibattito che commosse tutti e che fu visto come una delle prove più alte della democrazia americana. Ebbene, il Kuwait aveva pensato bene di orientarlo, quel dibattito, attraverso qualche contributo elettorale di cui i parlamentari americani sono sempre famelici. Ma - almeno in questo caso - si rivolse alle persone sbagliate. Il trio appena incriminato, infatti, spese solo un quarto dei soldi ricevuti e tenne gli altri per sé. Le accuse contro l'ex ambasciatore e gli altri due erano già state preparate - si è saputo - alcune settimane fa, ma soltanto l'altro ieri sono diventate pub- buche. Come mai? Perché il loro arresto era complicato dal fatto che i tre si trovavano in Stati diversi (in Colorado Zakhem, in California Kennedy e in Massachusetts Stanley) e c'è voluto tempo per organizzare le cose in modo che le manette scattassero contemporaneamente nei tre luoghi, affinché gli incriminati non potessero distruggere le prove. Comunque, l'ex ambasciatore Zakhem Uri era già libero, dopo avere pagato una cauzione decisamente modesta: 20.000 dollari. Da parte del Kuwait non ci sono stati commenti a questa vicenda, il che porta a pensare che l'accusa principale contro costoro, cioè quella di avere «truffato» l'emiro destinando gran parte del denaro ricevuto ai loro conti in banca piuttosto che alla causa della liberazione del Kuwait, non è destinata ad essere sostenuta anche dalla «parte lesa». Ma per questi signori ci sono altre accuse che riguardano direttamente le leggi federali. Una è quella di evasione fiscale. Su quei quasi sei milioni di dollari che loro hanno intascato, infatti, non sono state pagate le tasse e questo, da Al Capone in poi, è notoriamente una buona via per condannare la gente. Un'altra è la violazione della legge del 1939 che impone a coloro che operano nel territorio americano per conto di un governo straniero di «notificare» la cosa alle autorità. L'opera di «lobby» che Zakhem e gli altri dovevano fare nei confronti dei parlamentari, insomma, poteva anche essere legittima, ma non essendosi registrati come agenti stranieri, hanno violato la legge. Rischiano fino a trenta anni di prigione. Franco Patita re!! a

Persone citate: Al Capone, Saddam Hussein, Scott Stanley, William Kennedy