Astor, la voce di una nazione

Astor, la voce di una nazione Astor, la voce di una nazione Cantore della quotidianità, come Gershwin MENO celebre dei Rolling Stones, Astor Piazzolla non ha mai affrontato le folle degli stadi, in tanti anni di carriera. In tanti anni di carriera non ha neppure subito la vergogna di dovere rischiare il supporto di un Vasco Rossi per evitare l'umiliazione del fallimento. Era un musicista e non un clown. Per lui vale la regola sacra alle persone serie: ciò che si fa con la musica deve stare in piedi almeno cent'anni. I Rolling sono «scoppiati» dopo venticinque, Piazzolla invece durerà a lungo, noi non saremo lì a fare da controllori ma abbiamo questa certezza. Anche Piazzolla ha fatto il suo Sessantotto (ma l'aveva iniziato molto tempo prima, senza improvvisazioni, gridolini in piazza e lontano da quella tristezza di ventiquattro ■anni fa, anni di capricci intellettuali e di fallimenti in fabbrica). Piazzolla non fu mai ricco. I miliardi di Mick Jagger, Piazzolla tuttavia non li cercava. A lui dei soldi poco importava. Non inscenò lo scandalo (ma espresse tanta amarezza) neppure quando Bertolucci gli preferì, in extremis, Gato Barbieri per la realizzazione della colonna sonora di «Ultimo tango a Parigi». Una storia romana di intrallazzi (la moglie di Barbieri era collaboratrice di Bertolucci) dai quali Astor si è sempre tenuto lontano. Piazzolla cioè il tango. Quello di Buenos Aires e di tutta quella cultura «malandrà» di una città per metà italiana ma ancora da scoprire quando si parla della sua musica. Sono in pochi quelli che (in tuttto il mondo) sanno suonare il tango che è cosa degli argentini («argentini» in arrivo dal Piemonte, dalla Liguria, dalle Puglie, dalla Campania ma subito argentini), come il jazz è cosa degli americani (afroamericani). Eppure, forse, sono proprio gli italiani rimasti a casa (celebri sportivi del pentagramma) i peggiori suonatori di tango. Il tango infatti non è virtuosismo da balera: è l'anima della balera, è la sublimazione della volgarità. Dietro il tango canta anche l'e- terna voce di Gardeì ma ci sono poi i romanzi di Roberto Arlt e di altri congiurati pazzi (di musica). Piazzolla è tutto questo con qualche cosa in più, l'estro innovatore, con un orecchio attento alla «Histoire du soldat» di Stravinskij. Proprio uno scrittore argentino, Ernesto Sàbato ha detto: «La musica di Piazzolla ha gli occhi, il naso, la bocca di suo nonno, il tango». E già, Piazzolla, il nipotino, che suona i vecchi tanghi sul suo magico bandoneon ma che ha in testa un tarlo che gli ispira un progetto ambizioso, il progetto che gli fa immaginare di diventare il Gershwin dell'Argentina, il progetto di inventare un tango lussurioso ma da eseguire in forma di concerto, un tango da suonare con un complesso da camera (archi: violini, viole e violoncelli, angeli da violentare con quel caldo, avvolgente bandoneon da balera). Strumento complesso il bandoneon: nasce in Europa nella metà dell'Ottocento, in Germania. Ricorda la fisarmonica ma il principio che gli fa produrre i suoni è quello dell'armonica a bocca, in questo caso il movimento del mantice cerca e trova le note insieme con le dita che scorrono i bottoni delle due tastiere. Strumento complesso, ricco di sfumature, sensuale, tristissimo, racchiude ed esprime un mondo notturno, ammalato di vitalità. Piazzolla si nasce, compositori si diventa. Figlio di emigranti, arriva a New York quando ave¬ va tre anni, nel '23 (proprio l'anno successivo Gershwin esegue alla Carnagie Hall la «Rapsody in Blue»). Il suo primo maestro è Bela Wilda, allievo di Rachmaninov. Wilda, anch'egli argentino, aveva trascritto per il bandoneon gran parte delle composizioni del proprio maestro. Il piccolo Astor si trova così tra le mani uno strumento popolare mentre ascolta e tenta di eseguire la grande musica classica di quei tempi. Approfondisce gli studi. Nel '37 ritorna a Buenos Aires. A vent'anni parte per Parigi (come aveva fatto Gershwin) ed entra nel tempio della musica seria: la scuola di Nadia Boulanger, la mitica insegnante di composizione. Madame Boulanger è sincera con Astor (come tale era stato Ravel col jazzistico Gershwin): gli fa suonare alcune sue composizioni al pianoforte e poi gli dice che la sua strada è già pronta, è quella del tango. Che ci lavori sopra perché il più è già fatto. Che studi musica e poi trasferisca tutta quella cultura su un terreno famigliare, autentico. La storia del tango secondo Piazzolla: «E' nato tra i bordelli di Buenos Aires alla fine dell'Ottocento, era la musica dei primi gigolò, dei primi guappi che erano italiani. In quella musica si sentiva la nostalgia dell'emigrante. Era musica sensuale, erotica, primitiva. Il tango è nato dalla "milonga", lo ha detto anche Borges: una musica vicina alla tarantella ma più allegra. Una storia, sempre, di gente che vuole divertirsi, gente che va a donne...». Deluso da Bertolucci ottenne tuttavia la rivincita sul cinema con altri registi e autori («Tangos, l'esilio di Gardel» e «Sur», entrambi diretti Carlos Saura). Poi «Nacked Tango», soggetto di Manuel Puig, regia di Léonard Scharader e interpretato da Mathilda May e Fernando Rey (volti da tango). «Il tango è uno stile di vita... è metafisica» ha scritto Susana Rinaldi, grande diva del tango, e noi, che amiamo Piazzolla, le crediamo. Franco Mondini Celebrato solista fu anche autore Compose le musiche per i film «L'esilio di Gardel» e «Sur» di Saura Memorabile il tour italiano con Milva Qui sopra, Astor Piazzolla insieme con Milva, durante la tournée italiana. Accanto, una scena del film «Tangos, l'esilio di Gardel» di Saura, per il quale Piazzolla scrisse le musiche