Un pittore in gran segreto
Un pittore in gran segreto La scoperta di Renato Paresce Un pittore in gran segreto \ FIRENZE ELLE pieghe della storia si nasconde sempre qualcosa o qualcuno che merita di essere cono¬ sciuto e che proprio il sistema attuale delle comunicazioni di massa, con la sua insistenza su pochi fatti emblematici, su pochi nomi, contribuisce a mantenere nell'ombra. E' successo così che, anche nel campo dell'arte, personalità di rilievo come quella di Renato Paresce, a pieno titolo membro del gruppo degli «Italiani di Parigi» che operò dal 1928 al 1934, siano rimaste escluse dal giro della critica oltre che da quello del mercato. Meritevole appare dunque la mostra antologica curata da Stefano De Rosa alla Palazzina Mangani per il Comune di Fiesole con la collaborazione della Fondazione Primo Conti: resterà aperta fino al 20 settembre per trasferirsi poi a Rovereto e a Roma. Con più di 80 opere - olii su tela e disegni a penna e matita la rassegna ripercorre il tormentato cammino pittorico di Paresce: il primo quadro esposto è del 1917 - una scomposizione analitica di impianto cubista - quando già l'artista viveva a Parigi e aveva contatti con Braque e Picasso le cui influenze si rivelano nella «Veduta di Parigi» dell'anno seguente. Ma è l'incontro con De Chirico, Savinio, Campigli, Tozzi, De Pisis, Severini, i cosiddetti «Italiani di Parigi» che segna il momento in cui Paresce, attraverso un rapporto personalissimo con la metafisica, si esprime al meglio: sono di grande penetrazione le sue immagini marine, i suoi giochi di aperture e chiusure, le sue figure femminili senza volto, le cosmologie, i paesaggi, le nature morte. Nel corso della sua vita - era nato in Svizzera nel 1886 da un'aristocratica russa e da un nobiluomo siciliano, si era formato a Firenze nell'ambiente vicino a Papini, e morì a Parigi nel 1937 - Paresce non volle vendere nemmeno un solo quadro, anche se partecipò più volte alla Biennale e a numerose mostre parigine. In pittura era un autodidatta e non fu uno sperimentatore dal punto di vista tecnico. «Il vero sapere è l'arte», sosteneva con Bergson, e per l'arte lasciò la fisica, materia nella quale si era laureato con una tesi d'avanguardia. Ma non voleva vivere dell'arte. Preferì fare il giornalista, iniziando il mestiere con servizi da Versailles durante i negoziati per il trattato di pace. Fu corrispondente da Londra de La Stampa in due riprese, fece il notista politico ma si occupò anche di costume: fondamentali i suoi articoli su Gandhi, i primi a far conoscere in Italia il movimento della non violenza, e il suo reportage sul giro del mondo che fece a bordo di un cargo olandese, dal quale nacque anche un libro, «L'altra America». Teneva fermamente separate le sue due attività, tanto che i più non sapevano che il pittore e il giornalista fossero la stessa persona. Un giorno Margherita Sarfatti, in visita a Londra, gli chiese - lei critica d'arte - se fosse parente del pittore Paresce: «Siamo intimi», le rispose. Dopo la sua morte i quadri passarono in eredità alla moglie, Ella Klatcko, una pianista russa che faceva parte della Quarta Internazionale e che seguì Trotszki nell'esilio messicano, e alla sorella Natalia che aveva invece simpatie nazifasciste. Anche queste circostanze contribuirono a bloccare l'opera di Paresce che solo dopo la morte delle due donne ebbe una certa circolazione. Nelle accurate riproduzioni del catalogo delle Mcs Edizioni, che si avvale anche del contributo critico di Renato Barilli, rivive adesso la parabola artistica e umana di un esponente a torto trascurato della pittura del nostro secolo. Loia Gatteschi Un disegno di Renato Paresce: «Il faro» (1932) La rassegna alla palazzina Mangani di Fiesole comprende 80 opere e ripercorre il tormentato cammino dell'artista
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