KLEE anima e cosmo

KLEE anima e cosmo Antologica a Verona con 300 opere: dai disegni dell'infanzia agli ultimi capolavori KLEE anima e cosmo SVERONA ONO passati più di quarant'anni dopo quella magica saletta senza pre.—Itese alla Biennale di Venezia che impresse però un solco profondo negli spiriti più avvertiti della vecchia e giovane avanguardia italiana (Licini e Novelli, i romani del Gruppo Forma, ma a ben vedere anche Fontana, anche Burri, e Carol Rama, più avanti Tancredi). Giorgio Cortenova presenta ora fino al 2 ottobre a Palazzo Forti la più vasta ed esaustiva mostra italiana di Klee, con 300 opere; direi anche, internazionalmente, la più esaustiva dopo le tre colossali rassegne di vent'anni fa a Monaco, Colonia e Berna per il centenario della nascita. Questa qualità nasce dall'approdo a Verona dei risultati congiunti di una serie di mostre dell'ultimo ventennio, italiane e no, in parte basate sul grande fondo del figlio Felix da poco scomparso. I cinque pannelli decorativi con Vedute del fiume Aure, dimostrativi di una già compiuta intelligenza, pittorica e non solo grafica, del ventunenne Klee pensoso su Mundi ma anche sugli approdi svizzeri dell'arte Nabi, da Vallotton ad Amiet, erano già comparsi a Orsanmichele a Firenze nel 1981 ad una mostra appunto del fondo di Felix Klee. Parecchi mirabili pezzi pittorici e grafici del periodo monacense e di quello centrale al Bauhaus, ad esempio quelli della Fondazione Mazzotta che ha dato preziosa collaborazione alla mostra, ricompaiono qui dopo essere stati esposti alla rassegna dei Klee in collezioni private che tenne a battesimo nel 1986 a Venezia la riapertura del Museo di Ca' Pesaro, già recensita su queste pagine. Così come fu recensita due anni fa queU'impressionante mostra a Mèndrisió sull'ultimo, liberissimo e drammàtico, decennio di vita e d'arte, dell'artista, espulso dalla Germania nazista come persona e nelle opere, invano invocante la cittadinanza dalla troppo prudente Svizzera, murato vivo nella prigione di carne indurita dalla sclerodermia ed eroico furente creatore di 1253 opere nel 1939 e di 366 opere negli ultimi quattro mesi di vita nel 1940. Molte delle opere di Mendrisio ritornano a Verona, e di nuovo, nell'ultimo grande incollaggio di carta da pacco su cui il labirinto di segni allusivi alla vita naturale del ramo e del frutto anticipa e rende ridicolo il «graffitismo» di quarant'anni dopo, mi turba il segreto della frase a matita: «Bisogna che tutto sia conosciuto? Ah, io non credo». L'immensa opera di Klee, 8918 opere pittoriche e grafiche catalogate e numerate da questo non so se ragioniere o entomologo del logos e del sogno, del microcosmo e del macrocosmo, dal 1883, anni quattro, al 1940, significa anche questo: il susseguirsi lucido e fantastico, sarcastico e magico, delle pagine di un diario infinito, entro e fuori lo spazio e il tempo di un secolo che ha sconvolto e rinnovato ogni idea e ogni linguaggio; un diario che meriterebbe un posto d'onore, nella biblioteca di Babele di Borges. Un diario che è anche un monumento nel secolo pari a quelli di Picasso e Matisse, e sia pure nelle limitate proporzioni delle singole pagine in cui il mago Klee, ammiratore di Leonardo, dimostra che nell'accostare lo spettacolo visivo del mondo e del cosmo (l'esteriore e soprattutto l'interiore; è la ragione per cui Breton e Crevel lo ajiuniravano e lo invidiavano) il microscopio e il telescopio, la logica e lo spirito sono tutt'uno. Abbiamo detto dell'ultimo o penultimo foglio, di fronte al mistero della vita e della morte. Il primo qui a Verona, Nido di ci- cogne in montagna, è un disegno del 1889, a dieci anni: l'immagine, la visione, la grafia mentale che guida fra conscio e inconscio la mano sul foglio è già perfettamente compiuta e identificata. E non è dunque un gesto maniacale quello che conduce Klee a tenere sempre aperto, sempre rinnovato, sempre suggestivo l'autorispecchiamento in ciascuno di questi fogli, soprattutto grafici, per ogni giorno lungo cinquantanni. Ne nascono, suscitando la sensazione di una ruota di Mandala sempre nuova e sempre ritornante su se stessa, i labirintici percorsi interni del diario, segreti fino a quando Klee da vivo vi si rispecchiava, oggi leggibili e vivibili. Ecco allora che le forme essenziali di natura, delicatamente acquarellate nello spirito del «Cavaliere azzurro», di Uscita da Schosshaldenholz del 1913, ricompaiono con toni più cupi in una sintesi paesistica dei tardi Anni 20. In un percorso più complesso di alchimie fra immagine e procedure tecniche e materiche tipico del maestro, il linguaggio della serie disegnata nel 1911-12 per illustrare il Candide di Voltaire (i 10 fogli su 26 sono uno dei punti più alti e forti della grafica in mostra) viene riproposto nel foglio litografico II crollo del 1923 che, nell'esemplare in mostra, viene ulteriormente reso magico e sognante dalla delicatissima acquarellatura del 1926 sfumante dal giallino all'arancio al violetto. Parallelo a questi percorsi segreti corre quello storico, soprattutto del pittore gelosissimo della propria autonomia nel dare forma altrettanto sognata quanto logica al più vasto e magico e universale immaginario del secolo (radice di ogni surrealismo quanto di ogni sublimazione informale del segno astratto), ma anche dotato di antenne eccezionali per tutti i moti esteriori e interiori dell'arte del secolo, dallo Jugendstil all'espressionismo astratto. Rispetto alle tante precedenti, grande qualità della mostra è quella di equilibrare al meglio la parte pittorica, con il fascino senza limiti delle sottilissime alchimie a cui, a partire dal terzo decennio, Klee sottopone procedure tecniche e materie e supporti, e la parte grafica, concentrata soprattutto, in alcuni casi con ampiezza senza precedenti, su alcuni nuclei forti. Oltre alla ricordata serie del Candide, un'apposita sala è dedicata alle coeve 37 illustrazioni su carta litografica componenti una sorta di storia onirica fra sublimità e ironia, alla Kubin {Il futuro come peso; U dubbio verso l'alto; Nano furtivo), forse ispirata al Faust di Goethe. Verso la fine della mostra, un'altra sala ospita i 16 grandi fogli a matita di Inferner Park del 1939 dalla Fondazione Klee del Museo di Berna: forse «Giardino dell'Inferno» che rimanda a Dante, forse «Giardino della lontananza» (i Campi Elisi? occupati però da una tragedia classica come l'Orestea letta negli ultimi mesi di vita), più probabilmente l'uno e l'altro. In ciascuno di essi ci abbacina la nuda forma dello spirito, la forma come essenza. E' un sogno, pieno di bellezza e sofferenza, di quella che Klee, rivolto agli allievi del Bauhaus, definiva la «tragedia della spiritualità» dell'uomo fatto «d'impotenza corporea e mobilità psichica». «L'uomo è per metà prigioniero, per metà alato». Marco Rosei Su un collage aveva lasciato una misteriosa scritta a matita: «Bisogna che tutto sia conosciuto? Ah, io non credo» F il diario magico di un secolo che ha rinnovato ogni idea e linguaggio Paul Klee: «Il rustico di Thomas R.» un acquerello dipinto nel 1927 Qui accanto: Qui accanto: «Bambola snodata» del 1935. Sopra: Paul Klee in una fotografìa ... v■ ri