II treno per l'Europa arriverà carico di Bot di Mario Salvatorelli

II treno per l'Europa arriverà carico di Bot r II treno per l'Europa arriverà carico di Bot 0N0 uno studente uniV—" versitario di 24 anni, che, lavorando di tanto in tanto, è riuscito a mettere da parte 30 milioni, ora investiti in Bot semestrali. Non vivo certo di rendita, ma almeno mi sentivo - fino a poco tempo fa - le spalle coperte da questo piccolo gruzzolo». Interrompo, per un attimo, la lettera che mi scrive Filippo P., da Susa (Torino), per osservare che se, a 24 anni, lavorando solo «di tanto in tanto», è riuscito a mettere da parte quella somma (che, per giunta, considera un «piccolo gruzzolo»), si dovrebbe sentire, non solo «le spalle coperte», ma completamente corazzato contro ogni rischio che il futuro può riservargli. Invece «da qualche tempo le voci allarmanti si fanno più insistenti, e allora, alla scadenza dei miei Bot (fine agosto), si riproporrà più che mai come attuale l'amletico dilemma: reinvestire o no?». La lettera continua su questo tono e conclude: «Vorrei un consiglio, e, soprattutto, ancora una volta, una giustificazione del fatto che lei rassicura sempre i risparmiatori sui "loro soldi"». Tralascio di commentare le ultime due parole, quasi che Filippo non sapesse che è assai più impegnativo, almeno per le persone oneste, dare consigli quando si tratti di «loro» anziché di «nostri» soldi. Quanto alle voci «sempre più insistenti», lo pregherei di distinguere sempre tra voci, più o meno allarmanti, ma, comunque, sempre di irresponsabili, e le dichiarazioni, più o meno convincenti, ma di esperti, autorità monetarie e politiche, e, in ogni caso, di persone responsabili. E vengo aha «giustificazione che rassicura». , Il trattato di Maastricht, di cui tanto si scrive e si parla di questi tempi, pone cinque condizioni per la partecipazione all'Emù, l'Unione monetaria europea. Condizioni che il nostro Paese (come gli altri) dovrebbe ratificare entro quest'anno e attuare entro il 1996, o al più tardi entro il 1998, per non lasciar partire il treno della nuova Europa senza di noi (salva la possibilità di prendere quel treno in tempi successivi, come ricorda una recentissima analisi di «Previsioni monetarie 1992», della Editrice Lavoro). Ricordiamole: 1) un debito pubblico non superiore al 60% del prodotto interno lordo del 1996, oppure del '98; 2) un deficit pubblico non superiore al 3% del Pil; 3) un tasso d'inflazione che non vada oltre l'I,5% del tasso medio dei tre Paesi con inflazione più bassa; 4) tassi d'interesse con uno scarto massimo del 2%, rispetto alla media dei tre Paesi ove i tassi sono più moderati; 5) non aver svalutato il cambio della propria moneta negli I ultimi due anni prima della 1 partenza dell'Emù (cioè, nel '95 e nel '96, oppure, più probabilmente, nel '97 e nel '98). Si riferiscono a quest'ultima condizione, in particolare, le «voci» alle quali il nostro giovane lettore si riferisce. A questo proposito, a parte che saremmo ancora lontani da quella scadenza, e a parte le ripetute smentite «ufficiali», vorrei ricordare che la svalutazione non sarebbe, poi, la fine del mondo. Essa si riferisce, ripeto, al cambio della lira, mentre all'interno, cioè su risparmio e retribuzioni, non avrebbe conseguenze, salvo un rincaro equivalente su merci e servizi importati, e, quindi, indirettamente, un rincaro, ma assai più ridotto, sul costo della vita (a prescindere dalle speculazioni, da stroncare, però, più abilmente e recisamente di quanto si sia fatto in analoghe occasioni). Non c'è, in quel trattato, neppure un accenno alla possibilità, tanto è considerata inesistente, che uno dei firmatari, una volta ratificato il trattato, attraverso referendum, o, come nel nostro caso, l'approvazione da parte del Parlamento, possa «chiamarsi fuori» dagl'impegni che, con il debito pubblico, si è assunto nei confronti dei creditori. Ogni tipo di «consolidamento» dei titoli di Stato resta escluso, non fosse altro anche per l'importanza ormai assunta da quelli italiani anche sul piano internazionale (il loro mercato è per dimensioni il secondo nel mondo, dopo quello dei titoli del Tesoro Usa, benché per l'80-85% siano in mano al settore privato, in grandissima parte famiglie). Quanto a Maastricht, l'Italia riuscì a farvi iscrivere, per quanto riguarda il debito pubblico, il compromesso che sarebbe stata sufficiente, per il Paese al di sopra del 60% nel rapporto debito pubblico/Pil, la dimostrazione d'una seria e prolungata «tendenza» a ridurlo verso quel tetto. Com'è noto, il nostro rapporto era del 104,2% a fine '91, salirà ad almeno il 107 a fine '92 (cioè a circa 1 milione 620 mila miliardi), e ancora nel 1993. Si tratta, «entro il '94, di rovesciare la dinamica crescente di questo rapporto», come ha detto il governatore Ciampi all'assemblea della Banca d'Italia, riducendo al tempo stesso l'inflazione, ma riportando l'economia e l'occupazione «sul sentiero di sviluppo che il potenziale produttivo consente». E' il compito di questo e degli eventuali, prossimi governi. Difficile, certo, ma non impossibile. Mario Salvatorelli eili |

Persone citate: Ciampi, Filippo P.

Luoghi citati: Europa, Italia, Torino