Torna il clan dei catenesi

Torna il clan dei catenesi Torna il clan dei catenesi Otto arresti per cocadatta Bolivia E' tornato il clan dei catanesi. Sulle ceneri della vecchia gang, smembrata da omicidi e pentimenti, se ne è costituita un'altra: uomini che allora avevano un ruolo di media rilevanza hanno reclutato figli e nipoti. Loro terreno d'azione non è più l'eroina (ora «esclusiva» delle cosche della 'ndrangheta), ma la cocaina. Otto componenti della nuova gang sono stati arrestati dai carabinieri della compagnia San Carlo. Gli arrestati sono quasi tutti nati a Catania. Giuseppe Di Marco, 37 anni, via Usseglio 7, era considerato la mente della banda: soprannominato Pippo Lenticchia faceva parte del «gruppo di fuoco» del vecchio clan; i suoi compagni d'azione erano Epaminonda, Finocchiaro, Garozzo, Mazzei, Orazio Giuffrida. Condannato, aveva progettato in carcere nuovi organigrammi e nuovi obiettivi della rinascente organizzazione malavitosa. Suo braccio destro era Antonino Tommaselli, 50 anni, via Issiglio 17, legatissimo a Nitto Santapaola, un esperto di traffico in¬ ternazionale di stupefa ,onti (già arrestato in Francia quache anno fa). Subito sotto questa coppia di ferro il fratello minore del Di Marco ed il figlio del Tommaselli: Orazio Di Marco, 28 anni, e Alfio Tommaselli, 27 anni, entrambi con ruolo di corrieri. Poi altri personaggi di una certa consistenza: Gesualdo Messina, 40 anni, via Ciriè 35, uno dei complici dell'ex giudice Moschella, coinvolto in una vicenda di ricettazione di preziosi; Giuseppe Patti, 45 anni, corso Regina Margherita 162, uomo di fi- ducia di Tornatore e di Ciccio Miano, con grande esperienza di corriere di droga; Giuseppe Maugeri, 37 anni, via Soana 28, «amico per la pelle» di Patti e trafficante consumato; Antonio La Rossa, 33 anni, corso Grosseto 114, al centro - lo scorso febbraio - di una curiosa vicenda quando fece sparare (forse dal Patti) al padre di una ragazza che lo respingeva. Il traffico di coca si dipanava fra la Bolivia e Torino. Un rapporto dell'Interpol segnalava Tommaselli padre quale abitua- le cliente di una raffineria di cocaina collocata al km. 19 della statale Stramonica-Pereira. La droga (3-4 chilogrammi per volta) veniva trasferita in taxi a Cochabamba, poi in autobus a La Paz. Qui il corriere saliva su un aereo diretto in Perù (di solito a Porto Vhilo), da cui ripartiva per Rio de Janeiro. Poi un volo Brasile-Lisbona confondeva ulteriormente le tracce. Quel passeggero che sbarcava a Linate proveniente dal Portogallo, con volo Tap, non era più sospetto. A Torino la cocaina veniva smerciata sul mercato locale, ma anche trasferita a Milano e Roma. Fulcro del traffico un attrezzato «laboratorio di oreficeria» in corso Emilia 15, intestato al Messina. Con la scusa di proteggere oro e gemme, erano state costruite pesanti blindature che avevano lo scopo reale di tenere lontano occhi indiscreti. Al tenente Paolo Zito ed al sostituto procuratore Auselli non sono sfuggite alcune mosse, e soprattutto un viaggio di Alfio Tommaselli. I carabinieri torinesi e la polizia portoghese l'hanno bloccato a Lisbona, appena sceso dal volo da Rio de Janeiro. Il padre è stato arrestato il giorno dopo a Caselle, con in tasca un biglietto Parigi-Oporto-Rio. Ogni viaggio rendeva alla banda circa 300 milioni. Ogni mese almeno un paio di viaggi. Angelo Conti Giuseppe Di Marco (da sinistra) detto «Pippo Lenticchia» è il capo. Antonino Tommaselli il suo vice