Guggenheim, multina2ionale dell'arte di Furio Colombo

Guggenheim, multina2ionale dell'arte Completato il restauro del celebre museo a New York: ora è esattamente come lo volle Lloyd Wright Guggenheim, multina2ionale dell'arte Le battaglie di Tom Krens, il direttore finanziere Nasce un «impero» tra Mósca, l'Austria e Venezia NEW YORK I è sempre detto che in New York vi sono solo due edifici che si imprimono per sempre nella mente del visitatore. Uno è l'Empire State Building e l'altro è la costruzione di Frank Lloyd Wright, il Museo Guggenheim. Forse negli anni l'immagine dell'Empire State è stata sbiadita da torri più alte, strutture più aggressive, dimensioni inimmaginabili fino a uno o due decenni fa. Adesso i turisti ricordano più facilmente le torri gemelle del Financial Center oppure i 78 piani messi per traverso, nella Cinquantasettesima Strada, della Metropolitan Tower. Ma nessuno ha mai cancellato l'edificio di Lloyd Wright. Il fabbricato rotondo, che si allarga verso l'alto e che deliberatamente ignora storia e struttura di Manhattan, continua a essere una sorpresa e una provocazione. Adesso è stato rifatto da capo a piedi, due anni di restauro e anzi una specie di smontaggio e montaggio, di revisione sulla base dei disegni originali, di meticolosa ricerca e ricostruzione dei dettagli. Sono stati rintracciati gli artigiani italiani che avevano realizzato i pavimenti, le luci e le finestre. Il lavoro era stato eseguito nel 1956, ma qualcuno è stato ancora in grado di ricordare l'impresa e di indicare artigiani più giovani che avrebbero potuto rifare quei dettagli. Le finestre, soprattutto. Subito dopo il completamento dell'edificio erano state chiuse, prima con pannelli di legno e poi murate. Il rapporto dentrofuori-del più insolito palazzo di New York, il contributo della luce naturale a quella struttura interna a spirale, unica al mondo, era stato alterato per decenni. Qrja le finestre, lunghe feritoie orizzontali che si aprono sul lato. Ovest della città, sono state scrupolosamente tagliate nel muro, seguendo i disegni originali del maestro americano. L'effetto - lame di luce azzurre al mattino, bianche nel primo pomeriggio e intensamente arancione verso sera, che penetrano attraverso tutti i piani del nuovo edificio - è intensamente spettacolare. Al punto che ha ispirato lo scultore Dan Flavin, al quale è toccato il compito di preparare il Museo per l'inaugurazione formale, la sera del 23 giugno. Ha messo al centro della rotonda una colonna di luce arancione. E, lungo la spirale orizzontale di ciascun piano, una serie di tubi al neon colorati che tendevano a riprodurre, nel cuore della notte, le strisce di luce del giorno. In mezzo a quella luce si ergeva, alquanto più alto della media degli invitati newyorkesi, Tom Krens, direttore del Museo. La sua testa pallida al di sopra della folla attira attenzione. Ma più ancora, a New York, attira attenzione la tenacia accanita, senza esitazioni e tentennamenti, con cui quest'uomo ha preso in mano il museo più piccolo e finanziariamente più gracile di New York e ne sta facendo un gigante. Nello stesso mese sono quasi completati, a New York, altri due Guggenheim: un grande edificio in Soho per le esposizioni «giovani» e un secondo, nel Central Park West, che sarà dedicato al restauro e a base logistica di questo disco volante, stranamente atterrato su Manhattan. Intanto Krens sta lavorando a una sede austriaca, a una a Mosca, e al potenziamento di quella di Venezia. Il Guggenheim.è la prima multinazionale che abbia l'arte come scopo e prodotto. Ma Tom Krens parla poco. Ha parlato poco (nonostante il comprensibile compiacimento) persino la sera dell'inaugurazione, pronunciando brevi cenni statistici e brevi ringraziamenti. Un solo riferimento, sia pure con parsimonia di spiegazioni, alla «dura lotta» per la realizzazione di questo museo. A che cosa si riferiva? Per capirlo bisogna uscire dalla rotonda, attraversare il vasto marciapiede che fronteggia il Museo e guardare indietro verso Est, alle spalle della struttura originale. In quel punto sorge un parallelepipedo bianco, dell'altezza di otto piani. Il lato largo ha solo due finestre orizzontali, dalla parte del parco; il lato conto.è sulla 89*. strada. ![bua>: E' la parte.nuova del Museo, una serie di gallerie che possono adesso ospitare stabilmente alcune delle collezioni permanenti che sono i «gioielli della corona» (per esempio la collezione Tannhauser) oppure essere dedicate a mostre diverse, qualcosa che è sempre stato impossibile a New York, salvo sotto le immense volte del Metropolitan Museum. Ebbene, quel parallelepipedo, rappresenta «la grande lotta» di Tom Krens. Contro i critici. Contro gli architetti. Contro gli esperti d'arte dei maggiori giornali. Contro gli abitanti della ricca casa adiacente cui il nuovo edificio ha murato tutte le finestre che davano sul parco. Intanto si era aperto un terzo fronte, quello economico. Come riuscire, partendo da una fondazione di famiglia e da un museo di dimensioni limitate, a raccogliere i capitali necessari? Qui sembra che l'uomo di finanza, applicato alla moltiplicazione dello spazio e della ricchezza nel mondo dell'arte, abbia realizzato il suo capolavoro. Fondandosi quasi solo sulla sua ossessione Tom Krens ha trovato risorse per parare ogni nuova ondata di problemi. Ha raggiunto un livello di prestiti e di sostegni bancari che nessuno sarebbe mai stato in grado di predire. Strana cosa il successo. Da quando sono state tolte le impalcature e si possono vedere i due oggetti che sono adesso, nell'insieme, un museo alquanto più grande e più agibile del celebre MoMa (il Mu- seum of Modem Art) non ci sono che applausi. Ma quel che si vede è brutto o bello? Ci sono due criteri di giudizio, in una ambientazione urbana di un nuovo edificio. Il primo è il rapporto con la città. Il secondo è il rapporto con l'uso, in questo caso un museo. L'arrivo di un edificio nuovo in una città è come l'arrivo di una persona in un gruppo già costituito. Può creare nuova armonia o tensione, antipatia o ac¬ cettazione. Manhattan ha accettato il nuovo venuto (parlo di questa immagine complessiva, la torre rigida e angolosa alle spalle dell'edificio rotondo) con un entusiasmo che ci dice qualcosa sul saper combattere e saper vincere. L'ostinazione di Krens ha letteralmente rovesciato l'opinione comune newyorkese. L'ostilità che ha continuato a circondarlo finché ci sono stati teloni e impalcature è caduta di colpo quando il nuovo complesso è stato svelato, in una notte d'estate, dai riflettori che ne annunciavano l'esistenza. La prepotenza del nuovo arrivato ha avuto la meglio sulle esitazioni estetiche, filologiche, storiche, critiche. Poi c'è l'uso. Questo museo è infinitamente più agibile di.tutti gli altri della città. Vi si entra da un marciapiede largo che funziona come un imbonitore e un invito, un ingresso facile, al li¬ vello stradale, senza barriere od ostacoli visibili. Si viene subito attratti verso l'interno e verso l'alto dalla struttura a spirale, così chiara, ora che la luce naturale circola ai vari piani secondo le ore e le stagioni. E si è completamente liberati dalla lieve claustrofobia del vecchio Guggenheim, che non permetteva di uscire dallo spazio rotondo. Adesso si può accedere alle gallerie rettangolari, visitare le collezioni permanenti, o la¬ sciarsi attirare dalle diverse mostre che ci sono e ci saranno ai diversi piani. Dove c'era uno spazio di magazzino, adesso c'è uno studio ristorante che sarà presto uno dei più cercati di New York. Dove c'era un teatrino bomboniera, due piani sotto terra, adesso c'è un grande cinema teatro che può diventare studio Tv, con regìa e telecamere già pronte, e l'accesso diretto dalla strada, che permette di organizzare programmi indipendenti dalla vita del Museo. Il nuovo arrivato ha avuto il suo benvenuto e - come accade a New York con ciò che ha successo - ora il nuovo Guggenheim è piantato nel cuore di Manhattan come se fosse sempre esistito. Dopo anni di chiusura, è di nuovo un riferimento naturale, come un lago o un fiume. Furio Colombo Rintracciati gli artigiani italiani che lavorarono nel 56, riaperte le celebri «finestre» volute dal grande architetto: torna la luce nella «spirale» La cupola interna del Guggenheim e sopra il grande architetto Frank Lloyd Wright. Sulla destra, il direttore del museo, Tom Krens