Presidente senza maggioranza

Presidente senza maggioranza Presidente senza maggioranza Ieri bocciato due volte dal Parlamento definitivamente in Parlamento, dovrà ritirarsi in ottobre e saremo governati "ad interim" da una presidenza del Parlamento infiltrata dalla nomenklatura. In tal caso finiremo come la Poloma, che è rimasta impigliata negli accordi della tavola rotonda con Jaruzelski, che non smette di essere in debito verso i comunisti, e che non riuscirà forse più a debolscevizzarsi». Eppure la Cecoslovacchia era partita bene, infinitamente meglio di tanti Stati d'Europa centrale. Con efficace tempestività aveva ottenuto il ritiro delle truppe sovietiche («Bastava rinviare di qualche settimana e i russi sarebbero restati», spiega Kucera). Con rigore ha cominciato a decomunistizzare lo Stato e l'amministrazione. E la speranza resta forte, anche in Havel che segue tutta questa orribile commedia degli errori e cerca, con fatica, una via d'uscita. Fino all'ultimo, il Presidente ha creduto di poter evitare il grande strappo nazionale, di poter convincere le popolazioni slovacche che non è possibile avere al tempo stesso i vantaggi del comunismo (la protezione arcigna dello Stato padrino, le industrie che garantiscono l'occupazione ma che sul mercato non valgono nulla) e i vantaggi della democrazia (che sono costosi, che implicano sacrifici e nuove assunzioni di responsabilità individuali). Un amico del Presidente, il regista Milos Forman, lo ha detto in termini brutali, in un articolo sdii'Herald Tribune. Bratislava deve decidersi - ha scritto - o entra coraggiosamente nel «mondo della giungla» capitalista - dove hai la libertà ma devi anche apprendere la solitudine, e la responsabilità -; o torni nello «zoo comunista», dove sei rifocillato, confortato in un'eterna adolescenza, ma dietro le sbarre resti. Negli ultimi giorni Havel sta ripensando le sue speranze, le sue scommesse. Strada facendo ha scoperto che la commedia non è certo tragica come in Jugoslavia, che è piuttosto una farsa, un teatro dell'assurdo - come dice su Le Monde - ma che è pur sempre un'assai sporca commedia. Neppure lui, che è uomo di teatro oltre che uomo di Stato, può dirigerla tirando troppo per le lunghe, rinviando la scena finale, e sperando di uscire incontaminato dalla rappresentazione. Nel dramma cecoslovacco Havel voleva essere Tomas Masaryk, che nel ' 18 unì cechi e slovacchi. Ora sa che l'ombra di Edvard Benes sta per raggiungere la propria ombra. E che occorre vincere presto, salvare almeno una parte della nazione, non correre il rischio di fallire due volte: nelle vesti di Masaryk custode della nazione, e di Benes custode della democrazia. Barbara Spinelli IERI mattina, mentre lo speaker del Parlamento snocciolava i no alla sua candidatura, Vaclav Ha I vel deve aver ripensato a quel giorno di tre anni prima. Era il 29 dicembre dell'89: l'Assemblea lo aveva acclamato primo Presidente della Repubblica cecoslovacca, nella cattedrale di San Vito avevano cantato il Te Deum in suo onore. Dal 1° ottobre Vaclav Havel, forse, non abiterà più il Castello di Praga. L'uomo simbolo della caduta del comunismo in Cecoslovacchia non è stato rieletto Presidente. Non è una sorpresa: sarebbe stato il capo di un Paese che ha davanti appena un'estate di vita. E' solo l'ultimo segno del «divorzio di velluto», la secessione della Slovacchia da Boemia e Moravia, l'addio di Bratislava a Praga e Brno. Ieri in Parlamento il drammaturgo, l'ex dissidente, era l'unico candidato. Eppure è stato bocciato: gli hanno sbarrato il passo i rappresentanti della Slovacchia ribelle. Alla prima votazione serviva una maggioranza qualificata, i tre quinti dell'assemblea. Havel si è fermato a 148 voti su 300. Le modalità dell'elezione sono rimaste le stesse dell'era totalitaria: il nome stampato sulla scheda. Ma la maggior parte dei votanti l'ha cancellato. Il Presidente è andato bene solo nel ramo ceco della Camera delle Nazioni, ma nel ramo slovacco ha avuto ventidue voti su 75. Male anche nell'altra Camera del Parlamento, quella del Popolo. La seconda votazione è stata ancora peggiore per lui. Era sufficiente la maggioranza assoluta: tre «Havel» in più rispetto alla prima, e il poeta di Praga avrebbe riconquistato il Castello. Invece è stato bloccato a quota 143. Nella Camera ceca c'è la maggioranza - risicata, a dimostrazione che l'immagine del leader è offuscata -, ma c'è: 45 voti su 75. Via libera per un soffio anche dalla Camera del Popolo. Ma gli slovacchi hanno detto un altro no, appena diciotto voti. Per loro Vaclav è già un leader straniero. E' lo stesso verdetto delle elezioni del mese scorso. Cechi a destra, slovacchi a sinistra. Da una parte le riforme, la pri¬ vatizzazione dei Kombinate, l'economia di mercato. E' la linea del nuovo primo ministro Vaclav Klaus, il Tedesco, l'ex ministro delle Finanze. Dall'altra lo statalismo, la rincorsa al passato comunista di Vladimir Meciar, il fondatore del Movimento per la Slovacchia democratica. Impauriti dalla disoccupazione e dal crollo della corona, rassicurati da un apparato produttivo tecnologicamente arretrato, ma proprio per questo avido di manodopera, infatuati dal sogno nazionalista, gli slovacchi hanno imboccato la via dell'indipendenza. I tecnocrati di Praga non hanno pianto: liberata dalla zavorra delle province orientali, Boemia e Moravia, agganciate alla locomotiva tedesca, avrebbero aumentato il passo dello sviluppo economico. In piazza San Venceslao i ragazzi della Rivoluzione di velluto ora lanciano slogan contro la Cecoslovacchia unita. Vaclav Havel era rimasto l'ultimo a difendere la Repubblica nata tre anni fa. Ogni domenica, nel consueto messaggio alla tv, ripeteva il suo appello all'unità. Ma dentro non ci credeva neppure più lui. L'ultima illusione gliel'ha tolta l'incontro con Meciar, due settimane fa. Una notte di colloqui, poi l'annuncio: il 30 settembre la Cecoslovacchia non esisterà più. Ora cosa sarà di Havel? Lui l'ha presa bene. «Non ho mai voluto fare il dissidente o il politico di professione - ha sempre detto -. Sono solo uno scrittore che scrive quel che vuole e non quel che vorrebbero gli altri». Il 16 luglio all'esame del Parlamento andranno altri candidati. Se anche loro, come probabile, saranno respinti, Vaclav potrà riprovare. Se anche vincerà, gli verrà dato un Paese diverso da quello che ha guidato per tre anni. Ma il drammaturgo finirà per non stupirsi più di tanto. «Ho sempre avuto presente l'assurdità dell'esistenza», dice. E con lui la vita è stata davvero assurda. Quando, nell'83, il regime lo liberò dopo tre anni di carcere, era così prostrato che chiese di passare un'altra notte in cella. Gli dissero no, e riuscì a stento a trascinarsi nel più vicino ospedale. [a. e]