Poker truccato contro HAVEL

Poker truccato contro HAVELLa Slovacchia chiede il «divorzio», ma forse è un bluff: e i vecchi comunisti tornano ai vertici dello Stato Poker truccato contro HAVEL PRAGA DAL NOSTRO INVIATO Tomas Svoboda, giovane democristiano che milita per Havel ed è vicino al nuovo premier ceco Vaclav Klaus, deve andare all'estero, in missione, ma improvvisamente ha paura. Sapeva dall'inizio che Havel non sarebbe stato eletto a primi turni, ma adesso teme per il futuro, si domanda se in fondo non debba restare qui a Praga, e vigilare. «La storia si è rimessa a correre - dice - e nelle prossime settimane può accadere di tutto. La nomenklatura comunista è passata al contrattacco, e usa la carta slovacca per infiltrarsi nello Stato che è ancora unitario. Vlachmir Meciar fa ormai apertamente il doppiogioco, a parole dice di voler la separazione ma nei fatti si preoccupa soprattutto di mettere i propri uomini nei posti chiave del governo e delle istituzioni federali. I suoi fedeli già mandano a dire che per il divorzio non c'è poi questa grande fretta. Quanto a Havel, la sua posizione sarà decisiva nei prossimi mesi, ma nel Parlamento federale non ha più la maggioranza e il suo declino purtroppo è cominciato». Tomas Svoboda spera che il Presidente resista, che usi tutti i poteri che gli restano per far fronte alla controffensiva neocomunista. «Spero che rinunci al suo sogno, che era quello di essere il custode inflessibile dell'unità nazionale, l'erede di Tomas Masaryk. Spero che intuisca dov'è U vero pericolo, per lui e per la democrazia a Praga. Il pericolo che corriamo è una sòrta di colpo di mano comunista: un colpo legale, di velluto; ma pur sempre colpo comunista. Il pensiero del Presidente resta come impigliato nella figura di Masaryk, ma il suo destino sta rapidamente mutando: man mano che passano le ore non è più a Masaryk che rischia d'assomigliare ma a Benes, il Presidente che dovette consegnare la nazione ai comunisti nel golpe del 1948. Capisco Havel, la prospettiva di divenire il Benes della Cecoslovacchia è un incubo. Ma la realtà oggi è questo incubo. E con questa realtà abbiamo a che fare. Più presto lo riconosciamo meglio è, perché Meciar già è riuscito a ottenere molto nei negoziati con Klaus e la Boemia». In effetti Meciar ha ottenuto cose essenziali, finora. E' riuscito a infilare nel governo federale, nella presidenza del Parlamento, nella Corte suprema, i suoi uomini, quasi tutti della nomenklatura. Un generale del regime di Husak ha preso il ministero della Difesa, nonostante l'ostilità di Havel: è Imrich Andrejcak. Un ex comunista, Filkus, dirigerà l'Economia, e anche agli Esteri c'è un meciariano, Moravcik. Meciar ha inoltre ottenuto che nell'attuale «fase transitoria» durante la quale occorrerà preparare il divorzio di ottobre - la Slovacchia sia rappresentata paritariamente in tutti gli organi federali, con potere di veto su ogni legge e atto politi- perché^o J3 «Aspsul fatto che si tratta di Forseè cheunilaun governo transitorio», assicura Klaus. Ma Meciar e il fedelissimo Milan Cic (ex ministro comunista della Giustizia, primo ministro slovacco nel '90, oggi vice primo ministro federale) sono ben più cauti: «Divorzio? Perché parlare con tanta precipitazione di divorzio? Per ora abbiamo ottenuto un accordo soddisfacente per Bratislava, e questo è quel che conta», commenta, con aria sazia, Milan Cic. «Il fattore tempo gioca a favore di Me: ciar, ormai è evidente - mi dicono a Praga - ed è il motivo per cui occorre agire prestissimo, prevedere e precorrere tutte le mosse di Meciar. In altre parole: occorre rompere noi, prima che sia troppo tardi. Occorre che Boemia e Moravia si separino unilateralmente dalla Slovacchia, se non vogliono esser contaminate da quel che accade a Bratislava. Aspettare che Meciar dichiari l'indipendenza è pericolosissimo, perché Meciar sta bluffando su tutta la linea». Che il tempo sia contato, e che sia in corso un poker a carte truccate, è opinione sempre più diffusa in Boemia, non solo fra uomini politici e intellettuali democratici ma anche fra la gente. Ogni giorno aumenta il numero di coloro che vorrebbero farla finita con lo Stato unitario, e chiedono che siano i cechi a far secessione, se Bratislava insiste nel tergiversare, e correre ma solo per finta. Nelle ultime ore, i sondaggi presentano un quadro nuovo rispetto alle elezioni del 5 giugno: il separatismo sta divenendo assai più popolare fra i cechi, che non fra gli slovacchi. «In Slovacchia regna ormai una paura blu - mi dice un esperto di questioni slovacche appena reduce da Bratislava - e se Praga guarda alla separazione con una certa imbaldanzita euforia, a Bratislava ci si prepara all'indipendenza con imo strano, smarrito spaurimento, come se non fosse questo quel che l'elettore voleva il 5 giugno, quando votò VlacUmir Meciar. U voto era piuttosto uno sfogo di rabbia, un Sos lanciato a Praga, una supplica di popoiaziom disorientate, abituate per decenni a esser assistite, e più sfortunate dei boemi perché le industrie più inutili son tutte in Slovacchia. Sulla scheda elettorale la gente ha scritto Meciar ma non intendeva proprio Meciar e ora si trova a svolgere la parte dell'apprendista stregone. Meciar serviva per gridare più forte. Per dire a Praga: Occupatevi di noi, voi che state remando felicemente verso la prosperità occidentale. Non ci lasciate qui nella melma post comunista, non dimenticateci nella vostra grande corsa verso l'Ovest». Nei sondaggi, gli slovacchi lo ripetono con insistenza crescente: che vogliono sì l'interruzione delle riforme economiche e uno Stato più assistenziale, ma non il divorzio, costosissimo, da Boemia e Moravia. E che intendono usare Meciar per incutere paura: perché Meciar ha la voce non vellutata ma rauca e forte, perché sa imporsi e ha la grinta di chi maneggia spudoratamente la politica: ha la grinta del boxeur che fu in gioventù, e del nomenklaturista comunista che è stato tutta la vita. Quando era agente della polizia politica il suo incarico era fra i più delicati: controllare Alexander Du- beek, il comunista della primavera di Praga; stare attento a ogni sua mossa, privata o pubblica. «A ciò si aggiunga che Meciar ha in mano tutti gli archivi dei servizi segreti, che ha trafugato subito dopo la rivoluzione di velluto dell'89 - mi dice Rudolf Kucera, esperto di Europa centrale e di post comunismo all'università di Praga - e con quei documenti può ricattare chi vuole, e contagiare tutto, e tutti». A fianco di Meciar, oggi, sono i vari partiti comunisti che dopo l'89 hanno cambiato nome e si sono riciclati nell'ideologia nazional-comunista. C'è anche la socialdemocrazia di Dubcek, e il partito nazional-slovacco (Sns) e perfino le destre estreme, i nostalgici dello Stato indipendente del vescovo Tiso, protetto da Hitler durante la guerra. Una massa di manovra importante, diretta non solo contro Havel é le riforme ma anche contro l'Ungheria di Antall, già in stato d'allarme per la xenofobia che sta diffondendosi in Slovacchia contro le minoranze ungheresi (600 mila, su cinque milioni di abitanti) oltreché contro gli ebrei, gli tzigani, le minoranze ucraine e polacche. «Il sogno che coltiva Meciar è in fondo chiaro - continua Kucera - quel che vuole è ottenere tutti i vantaggi della separazione, ma senza doversi separare; tutti i vantaggi di una confederazione, ma senza perdere quelli della federazione. Come potrebbe, d'altronde? I suoi programmi mirabolanti di imprese pubbliche, di assistenza sociale, di intervento statale nell'economia sono assolutamente irrealizzabili senza il sostegno finanziario di Praga. I soldi non verranno dall'Ucraina e dalla Russia, con cui Meciar ha relazioni politicomafiose ma finanziariamente sterili». Ma innanzitutto c'è il suo progetto politico centrale: quello di metter fine, subito, all'epurazione appena iniziata. Nel programma elettorale il proposito è stato ribadito più volte: la «lustracia», il divieto per gli ex agenti comunisti di ricoprire importanti cariche pubbliche per un periodo di cinque anni, deve esser bloccato definitivamente, e già lo è in Slovacchia. «In realtà l'epurazione è l'elemento cruciale del gioco di poker, e la demagogia nazional-slovacca, con cui Meciar ha ingannato gli elettori, è un manto che serve a coprire la preoccupazione di una élite neocomunista che non vuol restituire il potere che aveya, o che vuole riprenderselo. Se il bluff non è al più presto chiarito, Boemia e Moravia saranno trascinate nel gorgo, resteranno impantanate in un'mterminabile fase di transizione, e verrà il giorno in cui Havel sarà battuto «Aspettare è pericoloso» Forse la via d'uscita è che Praga «rompa» unilateralmente: Nomenklatura al contrattacco, ora c'è il rischio della paralisi Poker truccato contro HAVEL Nella foto di Alain Volut, montaggio su una finestra di Praga che accosta Havel a Masaryk, primo Presidente cecoslovacco. Sotto, il leader slovacco Meciar e il regista Milos Forman, sostenitore e amico del Presidente. In basso, le votazioni di ieri