La rivincita del corsaro nero
La rivincita del corsaro nero OMAGGIO ... ^tt * IL NEMICO GIURATO La rivincita del corsaro nero Staiti di Cuddia gioisce dopo 10 anni di battaglie ROMA. Guarda lassù: il corsaro nero ride. E quasi levita per la felicità il barone Tomaso Staiti di Cuddia delle Chiuse, nel Transatlantico di Montecitorio, il giorno della doppia tegola in testa a Goria. L'occhione azzurro dell'ex deputato play-boy è più vispo del solito, l'aria ancora più furbetta. Da buon pirata del Palazzo, Tom sa che in questi frangenti varrebbe la pena di esibire una silenziosa compostezza, o al massimo un mutismo tipo «Io l'avevo detto>>. Però, onestamente, non ci riesce. Tant'è che è proprio lui - e chi altri sennò a diffondere gioiosamente alla Camera la notizia dell'autorizzazione a procedere contro il ministro delle Finanze. E magari sarà anche per via dello sciopero della fame che l'ex parlamentare del msi sta facendo in favore di Adriano Sofri. Però questa sua sostenibilissima leggerezza, questa specie di estatico appagamento si spiegano col fatto che per lui, Staiti, Goria è ormai da una decina d'anni qualcosa di più di un semplice nemico. Una scommessa, un puntiglio, una ragione esistenziale, forse perfino un elemento di self-promotion. Nel bene e nel male è davvero un personaggio, il barone. Nato a Vercelli. 59 anni orsono, cresciuto a Milano, figlio di un epurato e fornito di un'inopinata laurea in scienze geologiche. Uno che concepisce la vita «come avventura umana ed intellettuale che sfugga alla routine quotidiana, grigia e anonima». Perciò non gli bastavano il poker, la guida spericolata, le belle donne, i locali notturni, i lanci col paracadute, le conversazioni con i giudici con il registratore addosso, o, peggio, Je rivolte nel msi di Almirante (che lo chiamava correntemente «il rompiballe»), Rauti e Fini. 0, più tardi, l'effimera (due mesi) presidenza della Lega delle Leghe di Delle Chiaie, l'«impannellamento» e la distruzione, con martello pneumatico, di un monumento a Pertini («E' brutto»). No, per sfuggire a questo non proprio malinconico trantran Tomaso - non Tommaso ha voluto dedicarsi con impegno alla caccia a Goria. Gli esiti del safari, almeno fino a ieri, erano racchiusi in un ponderoso mattone di 572 pagine intitolato, appunto, «Davide e Goria». Vera e propria Bibbia per gli eventuali (volonterosi) lettori che avessero voluto documentarsi sui misteri della Cassa di Risparmio di Asti. 0 anche, più modestamente, ripercorrere le fasi salienti dell'impietoso inseguimento di Staiti al barbuto ministro (e presidente del Consiglio) de. A risfogliarla adesso, sia pure dopo un'inevitabile sensazione da capogiro, l'opera suscita un solo (retorico) interrogativo: cosa non ha fatto Staiti contro Goria. Perché nulla, in pratica, ha tralasciato di fare, il corsaro nero: interrogazioni, esposti, lettere a Cossiga, volantinaggi ad Asti. Una conferenza stampa che recava questa semplice domandina: «Cassa di Asti: una banca di truffatori o una banda di truffatori?». Pure uomo-sandwich, davanti alla Camera, s'era improvvisato Tom nel luglio 1989. Il cartellone portava scritto: «Goria è bancarottiere? Peculatore? Falsario?». E poco dopo proprio con questi tre epiteti, in verità senza punto interrogativo e per giunta rinforzati da «massone» e «verme», si era scagliato sul povero Goria (che pure aveva già richiamato l'ospedale psichiatrico), schiaffeggiandolo in pieno Transatlantico. Non senza essersi prima tolto - e qui c'è tutto il personaggio, comunque lesto di mano - «1 anello gentilizio». E sospirando, dopo: «In altri tempi avrei mandato i famigli a bastonarlo». Che, anche se Goria fosse colpevole, non è mica una cosa tanto carina; Filippo Ceccarelli Il barone Tomaso Staiti di Cuddia delle Chiuse, nemico storico di Giovanni Goria sul quale ha raccolto un dossier dal titolo «Davide e Goria»
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