Jugoslavia, un film dal fronte di Simonetta Robiony

Jugoslavia, un film dal fronte La regista, croata, ha venduto la villa di Hollywood per farlo Jugoslavia, un film dal fronte Lo gira Oja Rodar, la vedova di Welles ROMA. E' il primo film su quello che fu la Jugoslavia. Lo gira Oja Kodar, la vedova di Orson Welles, croata di madre, ungherese di padre, cresciuta a Zagabria dove ha deciso di tornare vendendo la villa di Hollywood. «Non si può solo lamentarsi del proprio Paese: qualche volta occorre pure fare qualcosa». Oja Kodar è ancora una donna bella e forte, con zigomi alti e grandi occhi, spesso pieni di lacrime. Probabilmente uguale, nonostante gli anni, a come apparve la prima volta a Orson Welles il quale, per poterla guardare senza esserne visto, provò inutilmente a nascondere il suo immenso corpo dietro una palma striminzita che adornava il modesto localino dove lei era andata a ballare. E' vestita di rosa, Oja Kodar, con un fiore di plastica bianca a legarle strettissimamente i capelli, come a voler cancellare, con la scelta dell'abito la tragedia dei suoi pensieri. Per vocazione è una artista. Scrive: «Vorrei fare un libro per raccontare Orson come l'ho conosciuto io: il suo amore per i cani, la sua passione per gli spaghetti che cucinava spandendoli per la casa, la sua voglia di ridere. So che sarebbe solo il libro di una donna che gli ha voluto bene, ma forse può andare lo stesso». Scolpisce: «Uso il legno, un legno molto pesante il "coccoboUo" che arriva dal Nicaragua, faticoso da lavorare ma caldo quanto serve a me». Gira film: «Ho aspettato che Orson non ci fosse più per fare il mio primo film. "Jaded", una storia di emarginati ambientata a Venice, in California, l'ho girato in pochi giorni coi soldi di un amico ricco ma non generoso». Adesso ha deciso di misurarsi con la questione balcanica, perché in Croazia ha una sorella e i nipoti, i croati sono la sua gente, i morti per le strade si contano ormai a decine, i profughi sono un milione, e l'Europa, la maledetta Europa, continua a ignorare questa guerra disumana. L'idea però non è sua. La proposta gliel'ha fatta Giancarlo Santalmassi che si occupa di cinema per Raitre. L'aveva conosciuta due anni fa al festival di Venezia dove era giurata e s'è ricordato di lei di fronte alle immagini sbiadite e piatte che trasmettono i telegiornali. Un film, ha pensato Santalmassi, proprio perché racconta emozioni e non notizie può scuotere le coscienze. Oja Kodar ha accettato immediatamente. «Sono tornata a casa, a Sebenico, per parlare con la gente, capire meglio, guardare il paesaggio. E' un mas- sacro. La Serbia ha aggredito la Croazia con tutta la sua potenza militare e la sua crudeltà morale. Le donne sono state violentate, gli uomini squartati». Tutto questo, però, nel film di Oja Kodar, che si intitola «Tempo d'amore» non ci sarà. O se ci sarà farà solo da sfondo alla storia tra una donna croata che vuole seppellire il cadavere del figlio al suo paese e un barbone serbo, un po' poeta un po' ubriacone, che decide di aiutarla e difenderla. Le immagini della guerra saranno quelle autentiche filmate dalle molte televisioni, prima fra tutte quella croata. Tra qualche giorno cominceranno i sopralluoghi: a settembre si gira. In Croazia infatti si continua a lavorare. Il sessantantacinque per cento del Paese è ancora attivo, gli studi della Jadran Film che coproduce il film con Pescarolo e Raitre, a Zagabria sono aperti, anzi le prime armi usate dalla resistenza sono state proprio i fucili di uno dei molti set di film di guerra girati in questi anni dalle produzioni straniere per risparmiare sui costi. «E' un film sulla speranza», spiega l'autrice. «La speranza che tra popoli diversi per storia, religione, cultura possa riprendere un dialogo di parola e non di colpi d'arma da fuoco». Simonetta Robiony La regista Oja Kodar vedova di Orson Welles croata di madre ungherese di padre cresciuta a Zagabria ha deciso di tornare e girare un film sulla tragedia del suo Paese