Coca-Cola, il miracolo della bevanda globale

Coca-Cola, il miracolo della bevanda globale Arte, costume, politica e cimeli in una mostra a Padova. Intervista con l'estetologo Gillo Dorfles Coca-Cola, il miracolo della bevanda globale MILANO DAL NOSTRO INVIATO Bevanda planetaria, intreccio di simboli, prodotto che sradica i nostri costumi. Mito della Coca-Cola. Il modesto farmacista di Atlanta che nel 1886 scopri la formula del suo sciroppo (ancora oggi segreta) non immaginava certo che lo avrebbero ordinato in 155 Paesi 200 milioni di volte al giorno. Che sarebbe finito nei quadri pop. Che avrebbe rappresentato per molti l'«essenza dell'America» suscitando anche rifiuti, come tra i sessantottini, o slogan politici terzomondisti: «Non lasciatevi cocacolonizzare». A Padova si è aperta ieri una mostra che raccoglie cimeli di collezionisti e racconta un secolo di storia. Attorno alla bottiglietta, o lattina, da tempo si spremono il cervello sociologi e studiosi del gusto. Piero Camporesi, abituato a esplorare l'impasto quotidiano della Storia, ci dice: «E' una bevanda artificiale, che esula dal regno della natura, tipica di un Paese che ha sempre coltivato il mito dell'industrializzazione. E' una commistione che all'origine aveva anche sostanze allucinogene come dice il suo nome. Ambigua, misteriosa, oscura. Nasce in condizioni stregonesche, poi si depura e diventa la bibita degli adolescenti, un diavoletto addomesticato». Ma quali significati si diffondono da quella bottiglietta che richiama sinuosità femminili e falliche erezioni? Che la leggenda vuole ispirata alle curve di Mae West? Siamo nel salotto di Gillo: Dorfles, dorante di estetica, indagatore di mode e feticci. Fuori c'è,una piazza con qualche albero e ragazzi che bevono la bibita frizzante. Spiega Dorfles: «La bottiglia, più ancora che la lattina, ma anche la scritta sono ormai diventate simboli del nostro tempo. L'arrivo degli americani alla fine della guerra voleva dire anche Coca-Cola. Io mi trovavo allora in Toscana. Insieme alle Philip Morris e alle Lucky Strike c'era la Coca-Cola che molti trovavano decisamente disgustosa mentre poi si obbligarono a considerarla una bevanda deliziosa. Io stesso devo riconoscere che la prima sensazione che mi ha provocato, e ancor oggi mi provoca, è qualcosa di leggermente sgradevole. Eppure è diventata una bevanda insostituibile. Oggi poi, passata una generazione, per molti giovani la Coca-Cola è un must. E mi pare che il neologismo si adatti molto bene all'uso di questa bevanda». Che simboli vi scorge? «Un simbolo soprattutto giovanile. I ragazzi non si peritano di pasteggiare con la Coca-Cola, il che per noi è abominevole. Oltre alla bevanda, la bottiglietta ha acquistato valore di emblema. La sua forma leggermente liberty, il vetro di quella particolare censi- stenza, l'hanno fatta entrare di prepotenza nell'arte pop, soprattutto per merito di Warhol e di Jasper Johns». L'irresistibile avanzata delle bollicine in tutto il mondo per molti è diventata metafora del1'«imperialismo americano». Che ne dice Dorfles? «Ricordo di aver pubblicato su un mio libro l'immagine di un bambino cinese con in mano la bottiglietta della Coca-Cola perché dimostrava che anche la Repubblica cinese, allora ancora maoista, non si era sottratta all'invasione dei miti americani. Una delle grandi ambasciatrici della civiltà (o dell'inciviltà) statunitense è stata proprio la Coca-Cola». Vittoria dei consumi di massa e piallamento dei gusti? «In un certo senso sì. Al posto della società senza classi ipotizzata e decantata, dal marxismo la CocaCola 4 un segno della massificazione dei'gusti resa possibile più dal capitalismo che dal comunismo (per il bene e per il male)». E' stato anche un trionfo del messaggio pubblicitario? «La pubblicità ha avuto un'importanza enorme. Tant'è vero che i tentativi della Pepsi Cola di conquistare dei mercati strappandoli alla Coca-Cola a suo tempo erano falliti per l'insufficienza pubblicitaria. E non certo per la diversità del prodotto». Che armi usa questa pubblicità? «Si basa soprattutto sul logotipo, cioè la scritta, la forma della bottiglia, e naturalmente il color rosso della lattina. Elementi che poi si sposano all'immagine femminile, alla campagna balneare o alla marcia nel deserto. Non bisogna sottovalutare il temùne Coca, che se non corrisponde più a una vera presenza della foglia malefica in misura pericolosa, continua a esprimere il fascino della droga proibita». Sono state fatte analisi chimiche per svelare la formula: si parla di caffeina, diversi estratti vegetali, acido fosforico e caramello. Ma il mistero resta. E' un richiamo? «Sì. E' l'inimitabilità del prodotto dovuta alla suppo- sta presenza di qualche elemento sconosciuto». Che rapporto c'è tra la Coca-Cola e le diverse generazioni? «Ormai ha una continuità che credo inarrestabile. Anzi direi che deve mantenere l'aggancio con il passato perché qualsiasi modificazione del modello minerebbe il suo fascino». Come giudica questa affermazione mondiale, che è un misto di merce e immagine? «Rientra nella mitologia contemporanea come alcuni grandi divi del cinema, alcune grandi macchine sportive. La Coca-Cola è l'equivalente di un'epoca che è quella del consumismo e della massificazione. D'altro canto dimostra come attingendo a motivi così popolareschi e perfino triviali un artista possa trasformarli in creazioni estetiche». Togliendola dalle sue funzioni Warhol ha fatto della bottiglietta quasi un'idea pura c Wesselmann una prota¬ gonista del banale. E il ragazzo italiano di oggi che beve Coca-Cola? «Il giovane di ieri esprimeva la volontà di americanizzazione, una sudditanza ai modi di essere transoceanici, quindi il rifiuto del tradizionale bicchiere di vino o della bibita analcolica. Oggi è un consumo acquisito: e basta». Analisi lucida che lascia tuttavìa un che di inafferrabile. Studiosi hanno cercato di smontare il mito dietro la bottiglietta: giovinezza, modernità, gioia di vivere, benessere, conformismo. Ma è un'ideologia evanescente, si approda a luoghi comuni che accompagnano tanti altri prodotti. E allora? Il sociologo svizzero Jean-Pierre Keller, autore del saggio II mito Coca-Cola sentenzia: è un totem planetario, beviamo un'immagine. Emesto Gagliano sanrzoocauna i di colo lietCocdel Gioventù, bellezza, malizia in una vecchia immagine pubblicitaria della Coca-Cola. Nella foto in basso: il distributore automatico. La mostra dà ampio spazio al viaggio nella promozione La storica bottiglietta in un'opera di Warhol. Nelle foto sotto. Renato Nicolini: «La bevo col Bacardi» Sabina Guzzanti: «Ci facevamo gli esperimenti a scuola» Bonvi: «Dà assuefazione. Preferisco gli alcolici»

Luoghi citati: Atlanta, Milano, Padova, Toscana