«Ha belle protesi, niente indennizzo»

«Ha belle protesi, niente indennizzo» ISRAELE Costretto a togliere una bandiera palestinese dall'alta tensione, ha perso le braccia «Ha belle protesi, niente indennizzo» Scandalo per il ricorso del giudice contro un arabo TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO Infuria la polemica in Israele per il ricorso presentato dalla magistratura alla Corte Suprema contro l'indennizzo di un arabo rimasto mutilato di entrambe le braccia da una potente scarica elettrica mentre, su ordine di soldati israeliani, tentava di togliere una bandiera palestinese da un filo della luce. All'origine della vicenda c'è un personaggio controverso: Plia Albeck, la direttrice della sezione affari civili della magistratura. Nel novembre scorso era già venuta alla ribalta quando sostenne che un palestinese, Saleiman Jarjun, la cui moglie era stata uccisa da soldati sulla porta di casa, non aveva diritto ad alcun indennizzo. «Non dovendo più mantenere la donna sostenne la Albeck - il suo danno pecuniario è stato, al massimo, nullo». Oggi come allora, da sinistra si sono levate alte le voci che hanno chiesto un licenziamento immediato della Albeck. «Questa donna - ha detto Shulamit Alloni, leader del "Meretz" (il fronte unito della sinistra sionista) - è non solo razzista ma anche comprovatamente disumana. Che raccolga le sue scartoffie e, finalmente, se ne vada». Trovatasi per la quinta volta in meno di un anno sotto il fuoco incrociato dei mass media e della sinistra, la funzionaria si è giustificata sostenendo che la base legale delle sue argomentazioni è solida, mentre i suoi denigratori - ha aggiunto - accreditano eventi mai avvenuti. A quanto ha stabilito il tribunale distrettuale di Gerusalemme, il 25 gennaio 1989 Jihad Ghanem, 25 anni, residente a Hebron, tentò con un palo di abbassare una bandiera palestinese impigliata su un cavo della luce, rimase folgorato, perse le braccia e fu dichiarato invalido al 100%. Per Ghanem, rimasto privo di capacità di sostentamento, il giudice di Gerusalemme ha stabilito un indennizzo di 800 mila shekel, oltre 300 mila dollari. «Ho deciso di ricorrere alla Corte Suprema - ha spiegato ieri la Albeck - perché quel giudice ha ignorato gravi contraddizioni emerse durante il dibattito». Innanzi tutto, non a lui ma a suo zio i soldati avevano intimato di abbassare la bandiera. Ghanem inoltre ha dato prova di «colpevole negligenza» quando - in assenza dei soldati - ha deciso di aiutarsi con il palo. Continuando sul filo delle argomentazioni, la Albeck ha sostenuto ancora che l'ordine di rimozione della bandiera era un legittimo atto di guerra e ha concluso che Ghanem, che adesso dispone di «ottime protesi tedesche», ha diritto ad un unico compenso: il risarcimento del salario che dovrà corrispondere a un ragazzo che lo aiuti a vendere il «falafel», le polpette arabe. Le precisazioni della Albeck hanno rinvigorito la polemica. «Le sue argomentazioni - ha commentato Amnon Rubinstein, dirigente del "Meretz" e docente di diritto - gettano una luce sinistra sullo Stato d'Israele. Ho fiducia tuttavia nei nostri tribunali, che sapranno fare vera giustizia». Il commentatore Moshe Negby ha ricordato che anni fa il procuratore generale dello Stato Yitzhak Zamir invitò la magistratura a meditare sulla differenza che corre nel rappresentare un cliente privato o le strutture statali. Nel secondo caso, disse Zamir, non basta che il legale agisca sulla base delle leggi. «Egli - precisò - dovrà anche farsi guidare da un normale senso di onestà, in modo da creare la sensazione di correttezza ed equanimità». Una sensazione che nel «caso Ghanem», a giudizio di molti, è del tutto assente. AldoBaquis

Persone citate: Amnon Rubinstein, Ghanem, Moshe Negby, Shulamit Alloni, Yitzhak Zamir, Zamir

Luoghi citati: Gerusalemme, Israele, Tel Aviv