Due mostre per litigare

Due mostre per litigare Leonardo a Venezia, Venturi a Roma: si riaccende il conflitto tra le scuole, «longhiani» e «venturiani» Due mostre per litigare j] ROMA suggestivi ritratti di EliI sabetta Catalano che imI mortalano tante celebrità —il odierne, nei due saloni d'apertura; Da Cézanne all'arte astratta, la mostra dedicata a Lionello Venturi, in quelli successivi. La coincidenza delle due mostre che si sono appena aperte alla Galleria Nazionale d'arte moderna è curiosa. L'immagine di Narciso prevale sull'opera d'arte? O la fotografia, in quanto espressione artistica, rientra in quella proposta e difesa della contemporaneità per cui Venturi tanto si batté ? Proveniente da Verona (vedi La Stampa del 2 mmarzo scorso), Da Cézanne all'arte astratta s'è arricchita delle trenta opere che il critico fece acquistare alla Galleria allora diretta da Palma Bucarelli: macchiaioli - tra cui un bel Ritorno di de Monticelli che tanto piaceva a Proust -, Cézanne, Degas, Van Gogh, Monet, Modigliani e infine alcuni quadri di Afro, Turcato, Perilli, Franchina Scialoja che Venturi sostenne in tempi in cui a diverso titolo si era più propensi al realismo. Peccato che, forse per mancanza di fondi, le gigantografie di opere caravaggesche attestanti l'impegno dello studioso che per primo utilizzò in Italia l'indagine radiografica, non siano seguite da altrettanti supporti didattici. Illustrando le sue scelte, ne avrebbero potuto raccontare il rovescio, e cioè la storia di quella contrapposizione con Roberto Longhi che svecchiò i nostri orizzonti ma avvelenò per anni la critica d'arte. I due maestri sono usciti di scena da vent'anni, ma la polemica non pare esaurita. «Mi dicono che all'Università di Roma sia perfino vietato nominare Longhi - afferma Giuliano Briganti, cattedratico a Firenze e critico di Repubblica -. La polemica è endemica, si trascina di padre in figlio come nei clan scozzesi e io mi ci sono sempre trovato in mezzo». Antonello Trombadori, più battagliero, dichiara: «Per un critico, una mostra è la peggiore delle condanne. Se le sue scélte caratterizzano la storia significa che la verità diventa schema, ed è questo il vizio del venturianesimo. Ma il ritorno al neo-figurativo ha dato torto alla pretesa di considerare l'astrattismo come una linea irreversibile di demarcazione...». Da Roma, i venturiani contrattaccano: «Sono loro i fanatici. Come Longhi, seguitano ad essere ancorati all'arte antica, alle expertises e al mercato... Venturi ci ha indicato orizzonti più ampi. La letterarietà di Longhi? La si vanta sempre, ma quanto è stata enfatizzata dal gruppo di Paragone di cui era stato fondatore?... In fondo Longhi, puntando tutto sul sistema di attribuzione, s'è limitato a perfezionarne la metodologia...» e così via. Forse i toni della querelle oggi sono più attutiti. E continua più per ragioni di potere - cattedre e spazi da controllare - che non per i motivi che l'accesero. La mostra curata da Briganti alla fondazione Memmo viene tac- ciata di banalità e Maurizio Calvesi, occupandosi di Caravaggio, demolisce Longhi. A Venezia, la mostra su Leonardo (si concluderà domenica 5 luglio) è accolta dai longhiani con critiche o col silenzio. Eppure, verrà visitata da 200.000 persone, con una media di 2000 al giorno e sono state già vendute 10 mila copie del catalogo e mille videocassette. Ha ragione Calvesi a dire che «Briganti scrive su ciò che gli fa comodo e tace sul resto»? O la critica longhiana è rimasta ferma ai pregiudizi dèi maestro? «Nell'intreccio leonardesco di arte e scienza, Longhi vedeva un mondo difficile da penetrare spiega il "nipotino" di Venturi, Pietro Mar ani, curatore con altri della mostra veneziana -. Era un argomento che toccò di sfuggita, Venturi invece l'ha scandagliato così tanto che il mondo di Leonardo oggi non è più così ostico». Ma Zeri, che molti ritengono l'erede ideale di Longhi, ri- sponde sornionamente: «Venturi... Longhi? C'è una polemica? Beh, io non voglio entrarci. Una volta ho scritto qualcosa sull'argomento e sono stato frainteso. D'altronde, non mi sento allievo di nessuno e riconosco i meriti di entrambi». Però è proprio lui, «l'unico eretico della scuola di Longhi», che in un'intervista ha rivelato la causa prima della competizione tra i due grandi critici. Negli Anni Venti, diventando il consigliere del ricchissimo collezionista torinese Riccardo Guarino, Venturi si sarebbe attirato l'odio dell'antiquario Alessandro Contini Bonacossi e del suo giovane ma già agguerrito consulente Longhi. «La questione resta - dice ridendo Giulio Carlo Argan, che di Venturi fu allievo a Torino nel 1930 -. Ci sono i longhiani e i venturiani seguiti dagli ArganaUti miei allievi. Ma la divergenza è più profonda e meno combattuta di quanto si creda. L'indirizzo longhiano si basa sulla lettura approfondita dell'opera come testo artistico, quello venturiano tende a individuare e spiegare la cultura elaborata attraverso l'immagine... Longhi, a differenza di Venturi, era poco interessato, e in modo non sistematico, all'arte moderna...». Giovanni Macchia, che riconosce meriti a entrambi, conferma e aggiunge: «Longhi aveva un caratteraccio, Venturi era gentile e solitario. La sua grande intuizione è stato il concetto di schiettezza antiformale, primitiva, e soprattutto la sua impostazione internazionale. L'altro, sull'arte moderna ha scritto testi superati». Anche Briganti, pur ritenendo superiore a tutti i meriti di Venturi «la lezione longhiana dello stile e del rapporto vivo con l'opera d'arte», ritiene Longhi un cattivo maestro di arte moderna. Solo Trombadori insorge con romanesca foga: «Ma come! Nel 1914 Longhi s'è occu¬ pato di Boccioni, ha portato avanti tutta l'arte post futurista, e Morandi, Guttuso, Leoncillo!». Già, proprio gli artisti che non convincevano Venturi. Secondo Livia Velarli, curatrice della edizione romana della mostra di Venturi, non gli piacevano o perché il loro futurismo era scivolato in forme troppo aderenti al fascismo o perché peccavano di eccessivo realismo. «A Venturi piaceva molto il De Chirico metafisico - ricorda il pittore Achille Perilli -. E' stato l'argomento della mia tesi, in un periodo, era il 1946, in cui nessuno pensava a rivalutare queDa fase del pittore. Venturi è stato un maestro straordinario, passava da Giotto a Caravaggio agli Impressionisti con la stessa vivacità intuitiva...» Nella polemica con Longhi entravano anche storie di potere e di cattedre: Argan e Calvesi lo confermano. A Longhi, che nel 1946 da Bologna ambiva a una più prestigiosa cattedra a Roma, Venturi preferì Salmi. Dalle scaramucce si passò a una guerra fatta di stroncature al vetriolo e aspre contrapposizioni di campo che coinvolgevano allievi, artisti e addetti ai lavori. La polemica si articolò nei termini di realismoastrattismo. Contrappose l'arte figurativa, legata alla tradizione del naturalismo, all'«astrattoconcreto» con cui Venturi definiva una produzione dove le immagini evocano ma non rappresentano la realtà e neppure sono necessariamente suggerite dall'inconscio. Erano gli anni del dopoguerra. Lionello Venturi, tornava dall'esilio in Europa e negli Usa per non aver voluto giurare nel 1931 fedeltà al regime. Con sé portava tutte le ultime novità in campo artistico e progetti come il Museo-scuola di stampo americano che fu attuato con successo proprio alla Gnam di Roma. A contrastarlo trovava il più giovane e affermatissimo Roberto Longhi, che insieme a Contini Bonacossi aveva battuto Italia e Europa stanando capolavori del passato. «Tutti e due si erano occupati prestissimo di Caravaggio, con impostazioni diverse - spiega il longhiano Briganti -. Poi, mentre uno aderì al fascismo nel periodo del consenso e in seguito non divenne antifascista, l'altro giocò a fare l'esule». La situazione diventò incandescente quando nel novembre del 1948 su Rinascita apparve una nota che stroncava a suon di insulti l'astrattismo delle opere esposte a Bologna in una collettiva organizzata dalle Cooperative. Era firmata «R.» - secondo Trombadori equivalente a Redazione e non a Roderico di Castiglia, solo in seguito pseudonimo di Togliatti. «La scomunica dell'astrattismo da parte di Togliatti vide artisti contrapposti all'interno del partito - dice Maurizio Calvesi -. Paradossalmente i paladini del realismo socialista si trovarono d'accordo con i benpensanti che non capivano cubismo e astrattismo, e con Longhi che restava fermo all'arte figurativa». Quando nel 1953 Venturi organizzò a Roma la mostra su Picasso, fu coperto di stroncature e ci fu addirittura un'interpellanza ministeriale che lamentava lo spreco di soldi per mostrare orrori che - diceva qualcuno le gestanti avrebbero fatto meglio a non guardare! Oggi, nel suo studio di Todi, Piero Dorazio ricorda: «Eravamo dei giovani che attribuivano all'arte una responsabilità sociale e Venturi, che ha sottratto il gruppo degli otto al realismo socialista, pur avendo come parametro la storia, ci ha insegnato che l'arte non è sociologia ma spiritualità...». E dipinge a fosche tinte il panorama odierno: «E' un disastro. Nessuno ha più la serietà e la preparazione di Longhi e di-Venturi. Per-me, .gli unici grandi critici di scuola venturiana sono Paolo Fossati a Torino e Maurizio Fagiolo a Roma. Gli altri sono mondani e corrotti. Mescolano i valori della grande arte con la cultura artistica. Argan e Calvesi sono quelli che più hanno tradito Venturi. Briganti l'arte moderna non sa nemmeno dove comincia. E poi chi c'è? Mica voghamo chiamare critico uno come "Bollito" Oliva! Niente preparazione e tutta protezione. L'ho soprannominato hard boiled, Facciatosta». Calvesi respinge divertito l'accusa di tradimento. Fedele alla lezione del maestro s'è infatti occupato della propria contemporaneità: Burri, Schifano, Kounelhs e poi De Dorninicis, Pisani, Paolini. E aggiunge: «Oggi c'è una stasi dappertutto, anche nella creatività, e la stagione del dibattito è finita perché nessuno fa più la guerra all'arte contemporanea. I metodi si sono omologati. Prevalgono lo spettacolo e il mercantilismo». Insomma, come dice Margherita Abbruzzese, allieva e collaboratrice di Lionello Venturi, ci sono studiosi di valore ma non scuole: «il clima è troppo ideologizzato». Paola Decina Lombardi Divisi sui grandi classici ma anche sull'arte moderna tra silenzi e stroncature. Solo questione di cattedre? Federico Zeri e, sotto, Giovanni Macchia. Nell'immagine grande, un disegno di Leonardo Maurizio Calvesi e, sotto, Antonello Trombadori. Tra critici e storici dell'arte è di nuovo guerra