«Vi prego, fatemi morire»

«Vi prego, fatemi morire» Ma i giudici di Londra respingono la richiesta di una sedicenne e la obbligano a curarsi «Vi prego, fatemi morire» Disperato appello di una anoressica LONDRA. Ormai è ridotta a un pugno di ossa: 36 chili e un metro e settanta di altezza. E' una ragazzina di sedici anni, da due anni è anoressica. La sua storia è diventata un caso dopo che «J», così la chiamano i giornali inglesi obbligati da un'ingiunzione della corte d'appello a proteggerne l'identità, aveva rivendicato con un ricorso all'Alta Corte il diritto di decidere se e quando ricominciare a mangiare, non escludendo la scelta di lasciarsi morire, appellandosi a una legge del 1989 che riconosce agli adolescenti sopra i 16 anni il diritto di decidere della propria salute, anche rifiutando cure mediche. In questo modo intendeva sfidare una precedente sentenza della corte d'appello che ne aveva ordinato il ricovero in un ospedale specializzato, viste le drammatiche condizioni di salute di «J». Ma l'Alta Corte ha stabilito che un adolescente anoressico deve essere curato anche contro la sua volontà per impedirgli di lasciarsi morire di fame. E nel caso di «J» dopo un giorno e mezzo di dibattimento la Corte inglese è arrivata alla conclusione che se esiste più di un metodo efficace per curare l'anoressia, lei ha diritto ad esprimere la sua preferenza, ma che in ogni caso non le può essere consentito di lasciarsi morire di fame. «J» ha una storia tragica alle spalle. A cinque anni perde il pa- dre, morto per un tumore al cervello, e la madre muore solo tre anni dopo di cancro. Per «J» si avvia il peregrinare di una serie di affidi familiari non.sempre felici. Poi, due anni fa, scompare anche il nonno, la figura a lei più cara e vicina. E' a questo punto che insorgono i primi sintomi dell'anoressia nervosa, una malattia che colpisce una ragazzina su cento e che spesso si associa alla bulimia, l'altro disturbo così spesso citato a causa di una malata eccellente, la principessa Diana. La storia di «J» ha un andamento comune anche se arriva poi a punte drammatiche; dopo la morte del nonno comincia a perdere peso e dopo che la malattia le viene diagnosticata deve addirittura essere ricoverata in ospedale, presso un'unità di psichiatria infantile dove rimane per gli ultimi 18 mesi. Ma sono gli ultimi otto giorni che vedono precipitare tragicamente la situazione. Il suo peso diminuisce, scende a livelli ancora più allarmanti perché da più di una settimana rifiuta completamente di alimentarsi. Si è al punto che i medici hanno dovuto addirittura ingessarle le braccia per evitare che strappasse i tubi dell'aUmentazione forzata che dovevano tenerla in vita. L'ultimo alimento solido che ha ingurgitato è stata una scodella di cereali nove giorni fa. Da allora solo qualche tazza di tè. Vista la situazione, l'Alta Corte inglese decide che «J» venga trasferita in un ospedale specializzato. Ma è a questo punto che «J» si ribella. Riesce a deporre in tribunale e a dire con forza che non vuole essere trasferita in un reparto specialistico per la cura dei malati di anoressia. Per ora non le interessa guarire, e vuole restare in completo controllo delle proprie decisioni. L'unica cosa che chiede è di essere trasferita presso una famiglia, non è l'ospedale psichiatrico il posto dove vuole decidere se ricominciare a mangiare o lasciarsi morire d'inedia. Ma l'Alta Corte decide che la sedicenne deve vivere, non può lasciarsi morire. Intanto le condizioni fisiche di «J» continuano a peggiorare di giorno in giorno e per scongiurare il pericolo di morte, o quanto meno di irreversibili danni cerebrali o all'apparato riproduttivo, deve essere curata e subito. Il problema è come. L'ospedale specializzato per il trattamento dei disordini alimentari presso il quale doveva essere ricoverata dopo la sentenza ora non ha più letti disponibili. La corte d'appello si è aggiornata a oggi per dare modo, sia all'istituto per minorenni che ospita «J», sia alla stessa giovane, di proporre il trattamento da seguire o comunque individuare un'altra struttura sanitaria adeguata. Marina G. Goldsmrth Carlotta Wittig (qui con il regista Gianni Bongioanni), che nel film «Mia figlia» interpreta la parte di una ragazza malata di anoressia nervosa

Persone citate: Carlotta Wittig, Gianni Bongioanni

Luoghi citati: Londra