Papi lascia il carcere dopo due mesi di Susanna Marzolla

Papi lascia il carcere dopo due mesi Concessi gli arresti domiciliari all'ex amministratore delegato della Cogefar-Impresit Papi lascia il carcere dopo due mesi Si costituisce altro manager MILANO. Anche Enzo Papi, in, carcere dal 6 maggio, è tornato a casa. Ieri sera le porte di San Vittore si sono aperte e un'auto di scorta ha portato ì'ex amministratore delegato di Cogefar-Impresit nella villetta di Valle Ceppi, presso Torino. Papi deve restare infatti agli arresti domiciliari, che gli sono stati concessi nella forma più rigida: nessun contatto con l'esterno, neanche per telefono; rapporti consentiti solo con i suoi familiari e gli avvocati. Papi, che si è sempre avvalso della facoltà di non rispondere, lascia forse San Vittore perché ha cambiato atteggiamento? No. E allora che cosa ha convinto i giudici a cambiare opinione? «Non so - risponde uno dei suoi legali, l'avvocato Moro Visconti -, è una decisione che ha sorpreso anche noi». Gli arresti domiciliari, concessi dal gip Italo Ghitti, sono stati infatti sollecitati dalla stessa procura: la difesa aveva chiesto la scarcerazione per l'ultimo episodio (quello dell'ospedale di Pavia); Di Pietro, ha scritto che Papi poteva lasciare il carcere anche rispetto alle altre due accuse. E così è stato. Fine del braccio di ferro, dunque? L'avvocato Vittorio Chiusano, che ha saputo la notizia mentre era in corso l'assemblea Fiat, non nasconde la sua soddisfazione: «Si è realizzato - dice - il risultato di mesi di istanze e battaglie legali. Si è posto termine a un ingiusta sofferenza provocata solo da un'aspettativa dell'accusa». L'aspettativa che Papi rispondesse alle domande, che «collaborasse» come si usa dire. «Maia detenzione-- sottolinea Chiassano - non può essere finalizzata ad ottenere una confessione». Visto che questa «aspettativa» è andata delusa, perché il permesso di lasciare la cella? «Si sono accorti che era un'illegalità tenere ancora in carcere Papi», risponde. La decisione di concedere gli arresti domiciliari al manager del gruppo Fiat è di lunedì sera. E infatti allora è stato detto a Papi di prepararsi per tornare a casa. Ha raccolto le sue cose e si è presentato alla «rotonda» di San Vittore, dove si raccolgono i detenuti in arrivo e in partenza. Un'ora di attesa poi il contrordine: non si era trovata la scorta per accompagnarlo. E così Papi ha passato un'altra notte in cella. Ieri mattina, invece, la notizia è stata ufficializzata e Papi ha ricevuto con animo più sereno i sostituti Colombo, Davigo e Di Pietro arrivati tutti e tre in carcere per un nuovo interrogatorio. Stavolta ha risposto. «Papi parla», è stata la voce che ha fatto accorrere i cronisti davanti a San Vittore. Ma l'avvocato Moro Visconti, con un sorriso, ha smontato le attese di clamorose confessioni: «Gli sono state poste domande su questioni che non riguardano le sue imputazioni. E' stato sentito in pratica come testimone». Però qualcosa, dopo la concessione degli arresti domiciliari, può cambiare. Dice ancora il legale: «Papi in carcere si sentiva vittima di una coazione che non accettava. Adesso è possibile che possa dare alcune spiegazioni. Del resto - aggiunge - lui dirige la Cogefar da due anni, mentre l'azienda esiste da quaranta e non penso voglia tenersi sulla gobba fatti che non lo riguardano». Gli appalti sotto inchiesta sono stati infatti sottoscritti prima dell'acquisizione di Cogefar da parte dell'Impresìt e quindi del gruppo Fiat. Le imputazioni contro Papi riguardano tre episodi: una tangente per il passante ferroviario pagata al vertice della Metropolitana milanese; un finanziamento che Maurizio Prada (de) ex presidente dell'Atm sostiene di aver ricevuto per la costruzione di un parcheggio; un'altra tangente per le sale operatorie del San Matteo di Pavia. Per quest'ultimo episodio Papi è già stato rinviato a giudizio (processo il 16 settembre); per gli altri due dovrà de¬ cidere la Cassazione. Nel frattempo - secondo la stessa procura - sono caduti il «pericolo di fuga» e la «pericolosità sociale» ufficialmente invocati in precedenza per tenere Papi in carcere quasi due mesi. Assai più breve la «detenzione» di Ottavio Pisante, presidente della società Emit. Colpito da mandato di cattura venerdì, non ha interrotto il suo lungo week-end. Solo ieri mattina si è presentato al gip; ha ammesso di aver pagato cento milioni al de Luigi Martinelli: «Non erano una tangente - ha detto - ma un contributo volontario per la campagna elettorale del '92». Poi è stato lasciato libero col solo obbligo di firma: a San Vittore c'è stato giusto il tempo di sbrigare le pratiche burocratiche. L'Emit ha avuto in concessione la discarica di Castelleone (Cremona) una delle tante su cui stanno indagando i magistrati. Chi collabora con gli inquirenti su questo argomento è proprio Martinelli che dopo i confronti con i socialisti Farini e Lodigiani stamattina dovrà incontrare un suo (ex) compagno di partito: il conte Radice Fossati, il «gran moralizzatore» de che ha pagato un miliardo di tangente. «Costretto» o «consapevole»? Un confronto tutt'altro che scontato. Susanna Marzolla Ma il dirigente non ha detto nulla ai magistrati Scortato a casa dai carabinieri può parlare solo con i legali Qui a fianco il giudice per le indagini preliminari Italo Ghitti a sinistra il sostituto procuratore della Repubblica Gherardo Colombo e, sotto, l'avvocato Vittorio Chiusano

Luoghi citati: Castelleone, Cremona, Milano, Pavia, Torino