MONTAIGNE Uomo d'oggi

MONTAIGNE Uomo d'oggi MONTAIGNE Uomo d'oggi Michel Bufar MI INUMIDISCE MA SONO COME LUI: COMBATTIAMO OCN1 FANATISMO GLUCINGES RANDE scrittore, ex nouveau romancier, Michel Butor vive oggi al confine tra la Francia e la Svizzera, in cima a un paesino di montagna fatto di una chiesa e di una scuola. «In disparte» (A l'écart): così si chiama la sua abitazione tutta bianca e tutta in altezza, come una torre. Autore nel 1968 di un libro intitolato Saggi sui Saggi di Montaigne (Gallimard) che all'epoca destò innumerevoli contestazioni, ora Butor fa il Montaigne del ventesimo secolo. Veste comodamente (curioso indumento che inizia in gilet e finisce tutt'uno in pantalone, ampio e con capienti tasche), e vive tranquillo nel suo ritiro dove ci riceve: nello studio in cima alla torre, non circolare come quello di Montaigne, ma come il suo con deambulatorio e tappezzato di libri. Non è stupito che a tanti anni di distanza gli chiediamo di parlare dei Saggi sui Saggi perché, mentre il contrasto con le posizioni ufficiali è rimasto tale e quale, le somiglianze individuabili tra Butor e Montaigne si sono - ci spiega ulteriormente accentuate. Come schizzerebbe un ritratto in parallelo? In tre pannelli. Stesso atteggiamento di interesse per il mondo contemporaneo ma con l'esigenza di tenersi ai margini per poter riflettere su quanto accade, diffidenza per l'incolonnamento dell'opinione pubblica. Stesso uso della scrittura come istanza di resistenza nei confronti di passioni e capricci vari: della folla, delle istituzioni. Stesso ricorso alle citazioni non per fare sfoggio di una certa cultura classica, ma per rianimarla: frasi di un autore non messe lì a far bella mostra, ma fatte proprie, usate per dire ciò che in un dato momento si ha da dire (il che è, anche, porsi come intermediario tra l'autore classico e il lettore). C'è insomma grande familiarità tra Michel Butor e Michel de Montaigne. Ciò non toglie che io provi contemporaneamente un grande rispetto che mi ha sempre intimidito nei suoi confronti. All'Università di Ginevra ho tenuto corsi su una quantità di autori - Rabelais, Molière, Balzac, Hugo... -, su Montaigne non ho mai osato. E' troppo sfuggente, impossibile circoscriverlo. Per lui era una strategia, come ho detto, di resistenza: contro chi intendeva all'epoca censurarlo, ad esempio la Chièsa. E insieme protezione contro chi vuole anche oggi, come allora, fargli dire cose diverse da quelle che dice nei Saggi. Lo stesso faccio io nei confronti delle autorità che non smettono di cercare di mettermi al passo. Alla fine del XVI secolo come adesso alla fine del XX, il grande rischio è quello, terribile, dei fanatismi. Generati allora, e oggi è lo stesso, da splendide aspettative andate clamorosamente deluse. Vede somiglianze tra le due epoche? Fortissime. Montaigne fu il testimone di una disillusione colossale su tanti piani. La scoperta dell'America, la Riforma, un nuovo atteggiamento da parte degli intellettuali nel modo di guardare all'antichità classica e al cristianesimo: altrettante speranze all'inizio del secolo, che sfociarono in disastri. Le nuove terre appena scoperte vennero distrutte, il rinnovo della cultura antica si risolse nella nascita di una nuova scolastica, il rinnovamento del cristianesimo non evitò le atroci guerre di religione. Per noi è uguale. Le immense speranze di inizio secolo non si sono realizzate. I sogni per cui tanta gente ha sacrificato la vita, li abbiamo visti finire malamente. Montaigne dovette elaborare un sistema di scrittura che opponesse resistenza alle strumentalizzazioni. Io anche. In che modo Montaigne applicò il sistema nei Sàggi? Basta considerarne lo schema, per capire. Al centro il testo di La Boétie (centro in absentia perché poi alla fine, a furia di costruire intorno, Montaigne lo soppresse). Tutt'intorno l'opera montata en anneau, in ghirlanda, con percorsi che si torcono, all'interno dei quali non si finisce mai di perdersi. Lei vede i Saggi come un labirinto? Proprio così. E' impossibile trovare dove Montaigne parla di una certa cosa. I titoli, che di per sé sono molto importanti, non aiutano per niente in questo senso. E' un testo sviluppato in labirinto circolare, con digressioni che si moltiplicano su loro stesse. Montaigne vuole che quando cerchiamo, troviamo anche altro. Per due ragioni: da un lato perché non vuole che si lasci il suo libro, vuole che si abbia bisogno di tornarci, una struttura di seduzione; dall'altro per ingannare i malvagi che a loro volta ingannano accusandolo di essere blasfemo, protestante e tante altre cose: dopo che si è perso, il malvagio non sa più cosa pensare di Montaigne, ma neanche di se stesso. Il che equivale alla vittoria di Montaigne. Montaigne ha vinto? In che modo? La strategia che ho descritto si è rivelata vincente perché ha protetto Montaigne e insieme ha affascinato molte persone obbligandole a cambiare modo di vedere. Pascal e Descartes, per esempio: la lettura di Montaigne li ha sconvolti. Non ne hanno adottato le posizioni, ma sono stati costretti a cambiare profondamente le loro. Montaigne ha obbligato alla ricerca di un nuovo modo di fondare il sapere, di un fondamento più sicuro. Descartes l'ha trovato nella scienza. Pascal ha indagato più a fondo nella fede cattolica. La sua lettura «politica» dei Saggi è stata accusata di machiavellismo. Un'accusa assurda. Anche nella scelta del termine. Machiavelli scrisse un'apologia del doppio gioco il cui scopo era di fortificare il potere del principe. In Montaigne il gioco non solo non è doppio, bensì multiplo, ma soprattutto è volto non già a rafforzare bensì al contrario a sfidare le autorità (prìncipi, Chiesa). E poi, comunque, nell'accusa non si è tenuto in alcun conto il ruolo che io accordo - fondamentale nei Saggi - al caso; Ma non ha parlato invece di strategia? Sì, e dico che questa non esclude quello. Nel pensiero di Montaigne il caso è molto importante. E' parte di una disciplina mentale molto diversa da quella che si usava nella scuola laddove si insegnava a non divagare, a non cedere alle sollecitazioni improvvise dettate appunto dal caso nel corso di un ragionamento. Montaigne invece era ben contento di cedere, perché a furia di fare détours uno dopo l'altro arrivava a scoprire cose che seguendo la via maestra non avrebbe neanche sospettato. Questa pratica era ritenuta molto pericolosa dalle autorità, perché finiva per dare accesso al proibito. Chi sono gli eredi moderni di Montaigne? Nella prima metà del nostro secolo Gide, nella seconda Roland Barthes. E io stesso, che quando ho scritto i Saggi sui Saggi volevo parlare di Montaigne, mentre quel che ho fatto è stato più che altro imparare molte cose su di me. Gabriella Bosco PARIGI L 13 settembre 1592, a un secolo quasi esatto dalla scoperta dell'America, Michel de Montaigne spi- i i , v ,,,. , g spS f '4kjSS1: rava cinquantanovenne assisten- tf x v^i d° a una Messa. Era il momento dell'Elevazione. W . Nel quarto centenario della morte, l'autore dei Saggi sarà celebrato in molti Paesi con iniziative e convegni. Da noi sono usciti il Montaigne di Gide tradotto da Fausta Garavini e la riedizione dei Sagdtejf i' 9i a cura della stessa studiosa (entrambi Adelphi), * manifestazioni varie sono annunciate in Italia come in Scozia, in Canada, negli Stati Uniti e anche in Giappone. Non è da meno la Francia, dove, molto più che altrove, i pareri su Montaigne continuano a divergere spettacolarmente. Non c'è grande del passato che continui a essere letto in maniere tanto diverse e contrastanti. Prerogativa rara: Montaigne è in grado di accoglierle tutte. Non in quanto principe della contraddizione, ma per una forma di impareggiabile camaleontismo resa da lui, filosoficamente, virtù. Siamo andati a provocare i portavoce dei due «montaignismi» più apparentemente inconciliabili. [g. b.] MONTAIGNE Uomo d'oggi Il grande filosofo francese a quattro secoli dalla morte: libri, incontri, scoperte dagli Stati Uniti al Giappone Qui sopra, Michel de Montaigne; a fianco, la torre dove il filosofo scrisse, i «Saggi». Sotto, a sinistra, Michel Butor Robert Aulolte CI 11A LASCIATO UNA LEZIONE: IL DOVÉRE DI ESSERE FELICI GSORBONA RANDE amico di Montaigne, oltre che cattedratico all'Università di Parigi ed eminente cinquecentista, è il professor Robert Aulotte. Molto disponibile, benché membro di una «setta», il suo Montaigne - afferma è il meno settario che ci sia. E' davvero una «setta» la Società degli Amici di Montaigne? E' nata come tale, nel 1910. Il primo presidente fu Anatole France, grande scettico. Allora era la stagione della laicità francese, la Società era molto chiusa e ristretta a una dozzina di persone che dovevano essere profondamente atee. Si riunivano per provare l'anticristianità di Montaigne. I passi dei Saggi in cui parlava delle sue pratiche religiose, imbarazzanti per loro, li spiegavano dicendo che era da parte sua una simulazione per proteggersi dalla censura. Per molto tempo, chiunque volesse diventare membro della Società, cosa difficile, doveva venir presentato da due padrini che garantissero la sua assoluta antireligione. Era una sorta di massoneria. Ma poi le cose sono cambiate. Se io, che sono molto cattolico, sono diventato presidente nel 1986, è proprio perché adesso la Società è tutt'altra. La trasformazione è avvenuta quando gli specialisti l'hanno colonizzata facendola passare sotto l'egida della Sorbona. Così Montaigne ha smesso di essere anticristiano? Io personalmente ho una visione globale dello scrittore. Prendo le distanze da tutti i frazionismi vecchi ormai di quattro secoli. A chi si riferisce? Pascal che aveva in orrore lo scetticismo, rese Montaigne cristiano. I rivoluzionari ne fecero un rivoluzionario. Due interpretazioni valide entrambe ma parziali. Per lo più, non si è letto Montaigne ma si è scelto in lui quello che più pareva congeniale: a un'epoca, a un pensiero. Poi c'è stato anche chi si è servito di Montaigne per dare una certa immagine di sé. Penso a Gide, al suo libro su Montaigne: un libro bello ma disonesto, perché Gide ha confiscato Montaigne, ha parlato di sé invece che di lui. Tutte letture che io chiamo monoblocco, univoche e tendenziose. il Montaigne globale com'è? Nel 1908 Pierre Villey ha scritto