SCUGNIZZI D'AFRICA di Giovanni Bogliolo

SCUGNIZZI D'AFRICA SCUGNIZZI D'AFRICA "HE "VEGLI ultimi tempi, {■& J sulla scia dei romanzi H I di Tahar Ben Jelloun, I R& 1 Sii editori italiani han- I fiSa I no scoperto la lettera- I snl tura maghrebina: Co- tRJ sta & Nolan ha pub- \ Wt blicato La statua di 1 ni sa^e' ^ romanzo che mi quarantanni fa, auspice Camus, segnò il fortunato debutto del tunisino Albert Memmi; le Edizioni Lavoro hanno tradotto Nascita all'alba del marocchino Driss Chraibi; Mondadori e Zanzibar hanno privilegiato gli scrittori algerini, il primo proponendo La tribù felice di Rachid Mimouni, l'altro inaugurando ima sua bella collana con La lumaca testarda di Rachid Boudjedra. Theoria, che già aveva rivelato al pubblico italiano II pane nudo di Mohamed Choukri, presenta ora una nuova, non meno sconvolgente testimonianza: I ragazzi dei vìcoli, secondo romanzo di uno scrittore marocchino quarantenne, Abdelhak Serhane, che nell'83 aveva esordito, come Choukri, con un libro di aspra ribellione contro il padre. Anche qui c'è, incombente, la figura di un padre padrone che calpesta con noncuranza i figli e che, in cambio di improbabili favori, non esita a gettare la figlia quattordicenne tra le braccia di un sordido affarista. Ma è come relegata su uno sfondo di universale, tetra fatalità, simbolo e annuncio di un mondo popolato di maestri di scuola violenti, di presidi vendicativi, di poliziotti torturatori: di funzionari corrotti. In primo piano balzano invece coralmente i giovani del villaggio di Azrou: Amina, la figlia, che, per la vergogna e il ribrezzo, si uccide col veleno dei poveri, la varechina, e viene sepolta lontano dai cadaveri dei veri musulmani, là dove è andato a cadere il bastone che l'imam ha scagliato nel maledirla; Rahou, il figlio, che, prima di trovare la salvezza nello studio e nell'emigrazione, tocca il fondo della miseria, dell'ozio, della disperazione; la folla anonima dei «ragazzi dei vicoli», tutti segnati dalla stessa infanzia di fame e di vessazioni, che, in attesa del miracolo sempre rimandato della fuga in Europa, consumano il loro interminabile presente in chiac- chiere oziose, qualche rara fumata di kif, una squallida spedizione teppistica. Le loro storie si avvicendano e s'intrecciano, scandite e insieme sottolineate da animatissimi quadri di vita quotidiana: un viaggio in un treno sovraffollato tra le angherie di un bigliettaio, le smargiassate di un soldato e le povere confidenze dei passeggeri; gli estenuanti andirivieni al ministero delle Finanze, le umiliazioni, le mance, per ottenere un documento che sarà comunque negato; i discorsi e i lazzi della piccola folla che segue un corteo nuziale o di quella che si accalca attorno al cantastorie; la patetica follia del fachiro che ha perso il dono della poesia e balbetta in un improbabile francese il suo amore per la bella bottegaia. All'intreccio delle storie e all'avvicendarsi dei quadri si somma l'alternarsi dei toni che ravvivano e completano quello dominante della cupa, disperata testimonianza: quello favoloso della parola incantata del narratore pubblico che ha il potere di «cicatrizzare il dolore e di precipitare nell'assenza degli uomini senza storia»; quello ispirato della parola di verità del pazzo che è capace di «dire le ferite della Terra» e nominare il dolore e sa «aprire le piaghe e agitare la melma delle coscienze» che si trincerano dietro l'irrisione e la falsa indulgenza; quello fiero e sereno del fornaio che ha combattuto per l'indipendenza del Paese e si rifiuta di sentirsi in credito; quello indignato del narratore-testimone che a tratti interrompe il suo racconto per dar libero sfogo alla denuncia e all'imprecazione. E', quest'ultimo, il tono dominante, quello stilisticamente più originale (il suo racconto adotta la più rara e difficile delle persone narrative, la seconda), ma è anche quello che, qua e là, nella sottolineatura enfatica di miserie e ingiustizie già di per sé fin troppo eloquenti, trova qualche nota falsa. Per questo intersecarsi di storie, quadri e voci che ne caratterizzano l'elaborata struttura, Ben Jelloun ha paragonato il romanzo di Serhane a una casa araba; per la sua rappresentazione di una gioventù senza gioia e senza speranza, segnata per la vita dai traumi precoci della miseria e della violenza, i lettori italiani, magari guidati dalle assonanze del titolo, lo accosteranno a Ragazzi di vita. Giovanni Bogliolo Abdelhak Serhane I ragazzi dei vicoli trad. di Aldo Pasquali Theoria, pp. 204. L. 26.000

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