A pranzo con lo Zar italiano di Enrico Benedetto

A pranzo con lo Zar italiano L'erede dei Romanov racconta la contesa in famiglia e la sua vita a Roma A pranzo con lo Zar italiano E' a Parigi per un weekend con i suoi fratelli e cugini «Non chiedo il trono, ma se il popolo russo mi chiama...» PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «Ma allora è vero che hanno fatto ministro Ronchey? Bella notizia. Andreotti fuori? Sul serio?». A tavola, lo zar in pectore di tutte le Russie Nicolas Romanovitch smarrisce per qualche attimo l'aplomb impostosi nella conferenza stampa. E tira fuori un inatteso passaporto italiano. «Sono da 8 mesi cittadino a pieno titolo del vostro Paese» racconta divertito. Ma come, Altezza, proprio ora che i souvenir monarchici guadagnano terreno nell'ex Unione Sovietica? Beh, ero stufo d'essere un apolide, costretto a domandare il visto ogni volta desiderassi recarmi a Montecarlo. Ho una moglie italiana, la contessa Sveva della Gherardesca, passo almeno sei mesi l'anno nella mia casa di Roma. Non basta? Ma torno volentieri in Russia a ogni occasione, ora che posso farlo liberamente E come zar? Non mi sembra una questione d'attualità. Temo che le nostalgie imperiali possano nascondere un sentimento regressivo, quasi il ritorno a una spensierata infanzia nazionale. Ma se glielo chiedessero? Bisogna rispettare la volontà del popolo, qualunque essa sia. Ma, ripeto, mettere avanti candidature o pretese dinastiche esula dai nostri fini. Non è un plurale majestatis. Come lui la pensano altri sei tra fratelli e cugini, che riconoscono in Nicolas il numero 1, quindi l'eventuale aspirante al trono: Dimitri lo storico, Michel il cineasta, Nikita lo scrittore, André il consigliere artistico, Alexandre l'amministratore di società, Rostislav banchiere. Assenti giustificati un Michel australiano e il secondo Nicolas, che vive in Usa. Sette principi Romanov doc (la prima generazione dell'esilio), rigorosamente maschi, uno persino in jeans e pedule, che dietro al tavolo - tra stucchi, ori, lampadari d'antan - ascoltano in religioso silenzio lo «zar italiano» raccontare il perché di questa rimpatriata, mentre le cineprese frullano e la Cnn si spazientisce a non vederlo sguainare la sciabola annunciando: «Sono il nuovo imperatore». Perché questo meeting? E' dal '38 che la famiglia non si riuniva. Abbiamo trascorso insieme il weekend, in pieno accordo. Ma l'obiettivo? Posso annunciare che daremo vita a una Fondazione Romanov, extrapolitica e senz'alcun fine lucrativo. Interverremo, tra gli altri, nel settore alimentare e sanitario. L'uditorio scalpita. Attendeva dal consesso una candidatura regale, ora che l'erede Vladimir è morto, lasciando nell'incertezza per la successione. Sempre da Parigi, la figlia Maria non cela che vorrebbe prenderne il posto. L'iniziativa di Nicolas & C. vuole sbarrarle la strada, lo si ammetta o meno. I Romanov non hanno una Legge Salica, suscettibile di lasciar fuori inesorabilmente le donne. Ma affinché la giovane Maria possa essere una nuova Caterina di Russia, i Magnifici Sette opinano che dovrebbero essere morti. A pranzo, lontano dai microfoni, Nicolas Romanovitch spiega: «Avrò 70 anni a settembre, ma nella mia vita l'ho vista una sola volta. Ci scriviamo, questo sì. Ero a San Pietroburgo, per caso, il giorno che inumarono suo padre, ma non ci andai. Senza invito, poteva pa¬ rere una provocazione». Che cosa vi separa? Storie vecchie, roba da bisnonni. Come quelle faide in Sardegna ove tutto inizia dal niente, tipo una pecora scomparsa, e poi si complica. In quale modo giudica il suo passo, l'autocandidarsi? Mi rincresce l'abbia compiuto. Ma allora perché non le si oppone apertamente? Lei dice che la sua casata preferisce mostrarsi acefala: in tal caso, qual è il suo ruolo? La Russia non ha bisogno di annunci su cui possano innestarsi controversie. Deve essere la gente a dire la sua, e noi intendiamo servirla. Ciò detto, sono il primo. Le regolamentazioni dinastiche parlano chiaro. Apro io il corteo, gli altri dietro, in fila indiana come le galline. Scusi l'immagine: sa, ho fatto il produttore agricolo in Toscana. Ma, ecco, espri¬ mere questo in termini decisi già adombra un voler mettere le mani sul regno. Che non è la mia intenzione. Alessandro di Jugoslavia vola a Belgrado per offrire li suoi servigi: non l'attira fare altrettanto con Mosca? Sono un uomo prudente. Le piace Eltsin? Ha grande coraggio. Mi rammenta De Gasperi. Un suo ricordo italiano, lei che approdò a Roma fin dal '36? Otto settembre '43. Ero a Villa Savoia con i miei. Vedo Vittorio Emanuele III avvicinarsi a nonna, sorella maggiore della Regina Elena, per accomiatarsi. "C'est seulment pour quelques jours" le dice con forte accento piemontese. Non doveva più tornare. Enrico Benedetto