Soffici dopo il silenzio di Ernesto Gagliano
Soffici dopo il silenzio Antologica ad Acqui Terme, si ristampano i suoi libri Soffici dopo il silenzio Parigi, il fulgore creativo, il regime AACQUI TERME RDENG0 Soffici dimenticato? Non proprio. Sul pittore-scrittore (1879 J1964) era sceso un lungo silenzio, lo avevano anche radiato dalle antologie scolastiche, ma poi è riapparso in qualche mostra, studiosi hanno riesplorato senza preconcetti l'opera di questo «futurista, interventista, fascista» al quale Morandi diceva: «Sei un grande spalancatore di finestre, senza di te non avremmo dipinto come abbiamo dipinto». C'è perfino un ritorno sulla scena editoriale: la Giostra dei sensi pubblicata dal Melangolo, il carteggio con Papini uscito nelle edizioni della Fondazione Conti. E sono lettere da meditare perché aprono squarci illuminanti sugli umori di un'epoca. Luigi Cavallo, storico dell'arte che ha dedicato anni di studi a Soffici e frugato negli archivi di famiglia, ammette: «Era stato sepolto con il fascismo. Nel dopoguerra verso di lui c'era una specie di ostracismo che veniva dalla cultura marxista. Il ghiaccio si è rotto nel 1975 quando Franco Russoli, intellettuale di sinistra, allora direttore della Pinacoteca di Brera, ha promosso una grande rassegna alla Villa Medicea di Poggio a Caiano, il paese dove l'artista ha vissuto per molti anni». Una riscoperta, il senso della storia che prevale. Su Ardengo Soffici ora punta anche Acqui Terme per dare smalto alla sua estate culturale: sabato si apre al Palazzo Liceo Saracco un'antologica con 60 opere (fino al 13 settembre). Appuntamento che ha mobilitato notevoli risorse (Comune, Regione, sponsor Italgas, organizzatori Aurelio Repetto e Fortunato Massucco, catalogo Mazzotta) e richiesto due anni di grandi manovre. Risultato? Il curatore, Luigi Cavallo, propone una scelta di quadri assai rara dove si riassumono i passi di un artista che confidava scherzando: «Concedetemi le mie 24 contraddizioni quotidiane». La metà delle opere sono dipinti fino al 1916, periodo del fulgore innovativo. Soffici, toscano, figlio di contadini, con esperienze pittoriche di stampo macchiaiolo, approda a Parigi nel 1900 a ventun anni e vi rimane, con qualche vacanza casalinga, fino al 1907. Senza soldi, avido di novità, per campare disegna vignette umoristiche, ma riesce a entrare nel giro delle avanguardie artistico-letterarie e si lega a Picasso, Braque, Apollinare. Quell'aria cosmopolita lo trasforma, fa di lui uno degli artisti più aperti ai nuovi fermenti, lo spinge ad agitare certe acque paludose della nostra cultura. Fecondo è l'incontro con Papini e Prezzolini che lo scopre scrittore, un vento ribelle è la sua collaborazione alla «Voce» e poi a «Lacerba». Più che critico Soffici è pittore e poeta. Ma comunica i suoi entusiasmi per Medardo Rosso, organizza a Firenze nel 1910 la prima mostra degli impressionisti, scrive una monografia su Rimbaud (che Vallecchi ripubblicherà l'anno prossimo), elogia Picasso e Braque, disserta su Rousseau il doganiere. E nel 1912 si misura anche nel romanzo, Lemmonio Borea, dov'è protagonista un «arcitaliano» spavaldo e beffardo con l'inclinazione a raddrizzare i torti: e piacerà ai fascisti. Il rapporto con i futuristi è tormentato, l'esordio è una rissa con Boccioni e Marinetti, calati da Milano per vendicarsi di una stroncatura. Volano pugni, finirà in un idillio: «Picchiarsi per argomenti di cultura è sempre un'impresa nobile». Ma lui, Soffici, sembra preferire il linguaggio cubista come documentano alcuni quadri in mostra (spiccano I mendicanti un olio del 1911 che segna il passaggio dall'impressionismo e Scomposizione di piani plastici del 1912). E' un cubismo che poi si sposa a radici popolari, magari insegne di venditori di angurie o di «bruciate», o di gelaterie. Nelle nature morte compaiono anche i collages. Spiega Cavallo: «Sono capostipiti della pittura italiana. Avranno seguito immediato nelle opere di Carrà, Rosai, Magnelli e anche Morandi per il senso inedito, freschissimo, che acquista il colore». Certi cosiddetti «trofeini» (come Forme in libertà 1914, Vaso e pera 1915)rivelano equilibrio, assoluta semplicità, autentico lirismo. Ma esplode la guerra che spazza via ogni certezza e restituisce un Soffici totalmente cambiato (è andato volontario, è rimasto ferito): «Sono uscito un altro uomo». Si ritira nella casa rustica di Poggio a Caiano, una ventina di chilometri da Firenze, ricusa le avanguardie, di Picasso scrive: «Fenomeno d'eclettismo morboso? Di dilettantismo?». Sente il bisogno di un «ritorno all'ordine», aderisce al fascismo. Diventerà accademico d'Italia, sarà amico di Mussolini anche ai tempi della Repubblica di Salò, pur avendo talvolta usato parole di fronda verso il regime. La sua pittura si ispira a un «realismo sintetico», affonda le radici nella toscanità contadina, si riempie di campi, casolari, strade assolate, silenziose spiagge della Versilia, segue le stagioni, spia guizzi di luce. La geometria cubista cede il passo a un mondo composto, essenziale, classico. Lui guardava a Paolo Uccello e Masaccio, preferiva Orazio a Gide. Di questo celebrato periodo figurano in mostra marine tirreniche assorte nella luce, un autoritratto del 1930 solenne come un'erma classica e alcune nature morte. Il soggetto si appoggia alla realtà, torna leggibile, ma come pretesto per composizioni misurate, atmosfere, vibrazioni cromatiche. E con una freschezza che vive fin negli ultimi acquerelli. Involuzione? Provincialismo? Dice Cavallo: «Non c'è momento di Soffici, anche negli sbagli, che non sia motivato da schietto bisogno di espressione e verità. Ho letto quasi tutte le lettere che gli hanno inviato: gli viene sempre riconosciuta questa dirittura straordinaria, questa grande disponibilità...». E l'avventura letteraria? Nel catalogo c'è un'acuta analisi di Giorgio Bàrberi Squarotti che soppesa racconti, diari, poesie. Spicca tra gli altri questo netto giudizio sulla raccolta di versi Chimismi lirici: «E' uno dei grandi libri poetici del primo Novecento, di gran lunga, nella sua brevità, il maggiore che l'avanguardia futurista abbia offerto». Che ci sia ancora da rovistare in quella «gemale fucina»? Ernesto Gagliano Sopra: un paesaggio dipinto nel 1907 da Ardengo Soffici Qui accanto: «Autoritratto» olio su tela del 1930 Sotto: «Forme in libertà» tempera e collage su cartone (1914)
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