La tassa-Europa pesa sull'auto di Emanuele Novazio

La tassa-Europa pesa sull'auto Alla vigilia dell'assemblea Fiat, i gruppi tedeschi annunciano investimenti all'estero La tassa-Europa pesa sull'auto Bmw e Volkswagen vanno in Messico La Mercedes guarda al mercato asiatico TORINO. Mentre l'attenzione degli ambienti industriali e finanziari italiani si concentra sull'assemblea Fiat di martedì (nella tabella a fianco si riportano i dati del bilancio '91 su ricavi e investimenti) il settore industriale automobilistico europeo è in fermento. I grandi gruppi tedeschi puntano a nuovi investimenti all'estero, preferibilmente fuori dall'Europa, per limitare i costi di produzione e i sindacati temono una progressiva deindustrializzazione della Germania. I produttori inglesi si sono tirati in casa la concorrenza giapponese, con i transplants di Nissan e Toyota, e ne stanno pagando le prime, salate conseguenze. BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE L'esempio l'ha dato la Bmw annunciando martedì scorso che trasferirà parte della produzione in America, lontano da un mercato del lavoro sul quale pesano oneri sociali troppo alti, una pressione fiscale eccessiva, salari difficili da contenere e una legislazione ambientale troppo vincolante. La spiegazione ufficiale della casa automobilistica bavarese è stata un'altra, più diplomatica: l'«emigrazione» è una conseguenza logica della presenza commerciale oltreatlantico, ha detto il suo presidente Eberhard von Kuenheim. Ma due mesi fa lo stesso von Kuenheim aveva definito la Germania «un luogo di produzione troppo costoso e sovraregolamentato». Quanti seguiranno la Bmw? Molti segni fanno ritenere che un esodo sia prossimo. All'inizio dell'anno il presidente della Mercedes, Edzard Reuter, dichiarava che l'azienda pensa ad assemblare delle auto in Asia, e precisava: «Se dovessi decidere oggi di costruire la nostra fabbrica di Rastatt, non la farei più in Germania». Anche il Comitato d'impresa concorda con l'analisi di Reuter sul vertiginoso aumento dei costi di produzione: per questo ha accettato un piano di ristrutturazione e la soppressione di ventimila posti di lavoro in due anni, ma soprattutto ha suggerito di riuscire a «costruire a minor prezzo». «A parità di qualità, in Corea i motori possono essere fatti a costi dimezzati», ha ammesso il presidente dell'organismo sindacale. Quanto alla Volkswagen, la sua presenza produttiva all'estero sarà rafforzata in Messico, dove da poco è stato costruito il ventunmilionesimo esemplare del «Maggiolino»: a Puebla sono previsti investimenti per un miliardo e mezzo di marchi, ma tre quarti degli investimenti complessivi che il gruppo ha in programma, 82 miliardi di marchi in quattro anni, andranno «all'estero». Oltre al Messico, anche in Cecoslovacchia e in Brasile. Altri settori condividono questo diffuso malumore. Secondo un recente studio dell'Istituto «IW», vicino agli industriali, i costi salariali nella metallurgia tedesca sono superiori del 37 per cento a quelli degli Stati Uniti. E l'orario degli operai tedeschi è fra i più ridotti. Ufficialmente lavorano 1651 ore l'anno, contro le 2175 dei colleghi giapponesi, le 1904 degli americani, le 1768 degli ita¬ liani, le 1754 degli inglesi e le 1755 dei francesi, ma l'assenteismo è un record: 154 ore in media, contro le 36 ore dei giapponesi e le 57 degli americani. Mettendo tutto insieme, in Germania ogni persona viene pagata senza lavorare per due mesi e mezzo l'anno. E l'uso dei macchinari è al livello più basso nella Cee: 53 ore la settimana, tredici in meno della media europea e molto al di sotto dell'Italia (73 ore) o del Belgio, che con 77 ore è al primo posto. Molte aziende dunque hanno già scelto di andarsene, altre lo faranno presto. La Blaupunkt, per esempio, chiuderà alla fine di quest'anno lo stabilimento di Herne e si trasferirà in Malesia, la Bayer ha lasciato alla filiale americana lo sviluppo delle biotecnologie più importanti, la Hoecsht ha rinunciato a co¬ struire in Germania i nuovi impianti per la produzione di materiali sintetici, affidandoli all'americana Celanese. La Siemens produrrà cavi per i sistemi elettrici delle auto in Cecolovacchia, la Basf costruita un nuovo stabilimento in Belgio. Perché «il Paese non è più abbastanza flessibile», lamentano in molti; perché gli operai lavorano poco e il diritto del lavoro è troppo rigido. Ha riassunto il direttore della Confederazione dell'Industria tedesca, Ludorf Heorg von Wartenberg: «Per investire, bisogna che siano favorevoli almeno due dei tre elementi importanti nella scelta del luogo: costi generali, lavoro e vicinanza del mercato». E in Germania il bilancio è «molto negativo» nel settore dei costi e in quello del lavoro. Emanuele Novazio A sinistra l'amministratore delegato della Fiat Cesare Romiti Nella tabella le cifre relative ai ricavi e agli investimenti del gruppo torinese. A confronto i dati del '90 e del '91

Persone citate: Cesare Romiti, Edzard Reuter