Belgrado urla 150 mila no a Milosevic

Belgrado urla 150 mila no a Milosevic Belgrado urla 150 mila no a Milosevic In piazza anche il Patriarca, la guerra è colpa nostra ZAGABRIA NOSTRO SERVIZIO Studenti, accademici, sindacalisti, sacerdoti ortodossi. Tutti insieme, circa 150 mila persone, a protestare contro il presidente della Serbia Slobodan Milosevic. Se le autorità non avessero bloccato le principali vie d'accesso a Belgrado, la folla al raduno sarebbe stata probabilmente ancora più imponente. «Slobo, Saddam, vattene», «Via la banda rossa», «Vogliamo il re». Tra gli striscioni dominano quelli con la richiesta delle dimissioni immediate di Milosevic. Moltissime le fotografie del principe Aleksandar Karageorgevic, l'erede al trono della monarchia abolita durante la Seconda guerra mondiale, e quelle di Vuk Draskovic, il principale leader dell'opposizione. Davanti al palazzo del Parlamento federale la manifestazione inizia con il canto dell'inno tradizionale serbo «Boze Pravde» (Dio della giustizia). La commozione è grande quando sul palco sale il principe Aleksandar, giunto appositamente da Londra per partecipare a questa grande assemblea del Vidovdan, la giornata di San Vito, simbolo storico della Serbia. «Non sono felice per quello che sta vivendo il mio popolo. I serbi hanno dimostrato di saper morire, ma ne hanno abbastanza della morte» dice l'erede al trono pronto a rimanere nella terra dei suoi avi sino a quando lo richiederà la situazione. In una recente intervista alla Bbc il principe Karageorgevic si è dichiarato disposto a prendere in mano le redini del Paese. «Con la mia formazione e la mia esperienza occidentali potrei essere l'uomo giusto per sanare la crisi jugoslava, per far ritornare la pace tra i popoli che adesso stanno pagando il prezzo della lunga oppressione comunista». Anche il patriarca della Chiesa ortodossa Pavle si è rivolto alla folla, accusando Milosevic di aver scatenato la guerra. Ed è stata la prima volta che la Chiesa ammette la responsabilità della parte serba nel feroce conflitto che sta insanguinando le ex Repubbliche jugoslave. «Per Belgrado il Vidovdan odierno può essere più importante di quello della battaglia di Gazimestan, perché oggi possiamo perdere molto di più di quello che abbiamo perso 600 anni fa nel Kosovo» dichiara lo scrittore Ma- tija Beckovic, parlando a nome del Depos, il movimento democratico serbo fondato recentemente da un gruppo di intellettuali di Belgrado. E' stata poi riletta la petizione dei 70 accademici serbi che chiedono le dimissioni di Milosevic. «Questo raduno deve durare finché non otterremo il nostro scopo». A condividere la loro proposta sono anche gli studenti di Belgrado decisi a continuare lo sciopero finché non cadrà il regime del presidente serbo, «l'ultimo leader comunista al potere in Europa». Infine è lo stesso Vuk Draskovic, il carismatico presidente del partito del rinnovamento serbo, ad invitare i manifestanti a rimanere in piazza finché Milosevic non se ne andrà. Draskovic chiede l'immediata costituzione di un governo di transizione, un compromesso politico tra i partiti al potere e l'opposizione in cui dovrebbero partecipare anche i rappresentanti delle minoranze ungherese, albanese e musulmana. Della grave crisi nella ex Jugoslavia Bush ha parlato ieri per telefono con il presidente russo Eltsin, con il premier canadese Mulroney e quello britannico Major. E il candidato democratico alla Casa Bianca Bill Clinton si è detto favorevole a un intervento militare multilaterale a Sarajevo. Ingrid Badurìna Un gruppo di monarchici alla grande manifestazione di Belgrado A lato, il gesto volgare del principe Karageorgevic rivolto a una fotografia di TitO (FOTO AP]