Il robot Courier è andato in tilt

Il robot Courier è andato in tilt Il n. 1 battuto da Olhovskiy Il robot Courier è andato in tilt LONDRA DAL NOSTRO INVIATO Insomma, diciamoci la verità. Non ne potevamo più. Eravamo stanchi di vedere quei riccioli rossi, quel cappellino bianco, quella faccia da contadino furbo che ci raccontava come e perché aveva vinto, in che modo aveva spazzato via dal campo il povero avversario di turno prendendolo a pallate, tutto facile, perbacco, basta credere in se stessi e nel fato per aprire le porte del. cielo. Dopo 25 successi consecutivi, seguiti da 25 conferenze stampa tutte uguali, nelle quali il pragmatismo del duro si sposava alla filosofia dell'ovvio, un'anima buona, con rispetto parlando, ha pensato bene di toglierci di torno almeno per un po' questo campione onnivoro, il numero 1 del mondo, Jimmy Courier insomma, proprio lui, il pretendente al trono del Grande Slam. Jimmy aveva detto, dopo i trionfi di Parigi, che i campi in erba avevano le stesse dimensioni di quelli in terra, lasciando intendere con questo, e non era una battuta, che il nostro eroe non poneva limiti a se stesso e alla provvidenza. Vero, hanno le stesse dimensioni. Però ieri nel primo pomeriggio il centrale sembrava troppo grande quando giocava l'altro, troppo piccolo quando giocava lui. E l'erba del tempio pareva cicuta, e l'applauso della gente suonava come un coro di scherno al suo cuore gonfio e ferito. Però ci è anche sembrato, benché non siamo disposti a giurarlo, che qualcosa di simile a un sorriso abbia segnato il latteo volto di Jimmy alla fine della corsa, come se la sua anima fosse in qualche modo liberata da un peso insostenibile persino per lui, la macchina da punti, il robot della racchetta, l'uomo dai nervi d'acciaio, in una parola il superman del tennis. A toglierci il fastidio, se così possiamo esprimerci, con ironia, è stato un giovanotto di 26 anni dal passato opaco e dal futuro incerto. Andrei Olhovskiy, nato a Mosca, ottimo doppista (in coppia con l'americano Adams è stato finalista quest'anno a Parigi, sconfitto dagli svizzeri Hlasek e Rosset) ma solo numero 193 nelle classifiche Atp, una vita trascorsa fra tornei Challenger e qualificazioni, il pane salato, l'altra faccia del tennis. Ma Andrei, qui a Wimbledon, ha sempre giocato bene. Ha raggiunto il terzo turno l'anno scorso battuto da Becker, gli ottavi nell'88 fermato da Cash, possiede i colpi fondamentali dell'erba, il servizio, la risposta, la volée. Courier, forse per fargli un complimento, o magari solo per lenire la ferita, ha detto che il giovanotto gli ricorda Gattone Mecir. Oddio, Jimmy è stato un po' prodigo, ma dobbiamo ammettere che ieri Andrei, elegante e distaccato come un ufficiale zarista, il conte Olhovskiy, ha lavorato di fioretto mostrando nello stesso tempo di avere mente sgombra e nervi saldi. Ha vinto la partita più importante della sua vita dopo quattro set e poco più di due ore e mezzo di gioco. «La differenza fra i migliori del mondo e quelli che sono attorno al numero 200 sta solo nella testa», ha detto dopo il match. Anche lui è stato generoso con se stesso, avrebbe dovuto ricordare di aver vinto nelle qualificazioni per 9-7 al quinto set contro il cubano Tabares, pensate un po', o di aver perso in aprile ad Atlanta contro Claudio Pistoiesi, sulla terra però. Insomma Andrei l'ha fatta troppo facile: ma era in piacevole confusione mentale, ci è parso, e davanti alle telecamere, ai taccuini, ai microfoni che assorbivano con voluttà le sensazioni forse irripetibili della sua giornata di gloria, l'uomo di Mosca, infine, non è riuscito a tenere a freno le sue passioni, i suoi rimpianti e persino i suoi rancori. «In pratica ho cominciato a giocare solo un anno fa, da quando cioè ho potuto mettermi per conto mio invece di dipendere dalle scelte del ministero dello Sport», ha spiegato. Scelte che naturalmente non condivideva. Il conte Olhovskiy è sposato con Natalya e ha un figlio di due anni, che si chiama Andrei come il padre. Ha cominciato con il tennis da ragazzino, nel club del Cska che oltre ai campi in terra poteva disporre di due impianti con superfici diverse, plastica e legno. «Il gioco è velocissimo, più veloce che sull'erba. Ecco perché, in fin dei conti, l'incontro con Courier mi è sembrato più lento di quanto credessi. E pensare che ero reduce da un periodo intenso di impegni, le qualificazioni, il doppio. Insomma mi sentivo un po' stanco. Io comunque ho giocato bene, ho servito e risposto benissimo. Aver battuto il migliore del mondo non mi fa né caldo né freddo». Una bugia, sicuro, ma una bugia venduta bene, come se i fatti della vita, sovente molto complicati, fossero i pezzi di una vasta scacchiera. In verità tutto quadra. Andrei è un giocatore di scacchi di buon livello, e nel suo club qualche tempo fa andava a distendere i nervi con la racchetta anche il grande Karpov. Ti piacerebbe giocare con lui?, gli ha chiesto qualcuno. E lui, sorridendo: «Certo. Ma solo a tennis». Carlo Coscia I russo Olhovskiy, n. 193, vincitore a sorpresa su Courier a Wimbledon

Luoghi citati: Atlanta, Londra, Mosca, Parigi