Cee e Onu doppio ultimatum alla Serbia di Aldo Rizzo

E il Club debutta come grande potenza AUT-AUT A BELGRADO E il Club debutta come grande potenza LISBONA UTTO come previsto. Il vertice si è chiuso con la decisione di andare avanti comunque verso l'Unione europea: sperabilmente con la Danimarca, eventualmente senza, e si vedrà in che modo. In ogni caso, più democrazia e trasparenza, nella costruzione europea. E disponibilità a nuove candidature, ma senza che ne risentano le regole del «club». Cioè dopo che sarà entrato in vigore il trattato di Maastricht. Al solito, molte cose (tra cui il bilancio finanziario) passano al prossimo vertice, che sarà a dicembre a Edimburgo. Vedremo. Ma intanto questa «Europa di transizione» (tra il balzo in avanti di Maastricht e la possibilità di realizzarlo nei fatti), quest'Europa che scopre il problema di farsi capire e apprezzare dai suoi stessi popoli, ha voluto lanciare un segnale forte proprio nel campo in cui è sempre stata più debole: quello della politica estera. Succede a volte anche ai singoli Stati, che, quando versano in gravi difficoltà interne, cercano di rifarsi un'immagine sul piano internazionale. Ma non sottilizziamo. Il segnale che la Cee lancia da Lisbona riguarda la crisi, anzi la tragedia jugoslava, e più esattamente quella di Sarajevo, la martoriata capitale della Bosnia. Su iniziativa soprattutto italiana, e anche francese, i Dodici hanno detto che è giunto il momento di agire concretamente, eventualmente anche sul piano militare. Naturalmente, non si tratta di spedire truppe europee in Bosnia per liberare l'aeroporto di Sarajevo e tanto meno per fermare la più generale aggressione dei serbi ai croati e ai musulmani. Tutto avverrà, se e quando avverrà, dopo un'adeguata risoluzione dell'Onu e nel suo ambito. Ma per la prima volta gli europei dicono di «essere pronti». Resta un po' incerto il colleI gamento col ruolo dell'AmeriI ca. Secondo alcuni, la Cee si è mossa dopo che a Washington si era fatto capire che non era più possibile restare impassibili e inerti. E si sa che, per molto tempo, gli Stati Uniti avevano delegato alla Cee la «gestione» della crisi jugoslava. In ogni caso, un eventuale intervento non potrebbe prescindere da una presenza americana, hanno detto inglesi e olandesi. Sempre sotto l'ombrello dell'Onu. Da mesi e mesi la Cee è sotto accusa per i fatti jugoslavi. Avrebbe dovuto riconoscere subito Slovenia e Croazia e dare un «alt» alla Serbia? Ha sbagliato, all'inizio, a pensare che fosse salvabile un qualche legame «confederale» tra i pezzi dell'ex Paese di Tito? In realtà la crisi era terribilmente complessa e ogni mossa aveva le sue controindicazioni. Se non la Serbia ufficiale, i serbi irregolari si sarebbero forse mossi comunque, in quello che si è rivelato un atavico, ancestrale regolamento di conti. Ma è vero che qualche debolezza c'è stata verso Belgrado, prima di accorgersi che la situazione era ormai fuori controllo. Ora la Cee riconosce che un qualche controllo bisogna riprenderlo, almeno in chiave umanitaria; ma di un umanitarismo affidato, se gli altri mezzi fallissero, alla forza delle armi. Sarà una novità tardiva, e sottoposta a varie condizioni, ma è una novità. Così finisce il vertice di Lisbona, aspettando quello di Edimburgo. Problemi interni, immagine esterna, e una tragedia alle porte. C'è di che lavorare, per i Dodici, se ne hanno voglia. Mitterrand ha subito dimostrato, col suo viaggio clamoroso, che, per quanto lo riguarda, la voglia c'è. Aldo Rizzo tzo^J

Persone citate: Mitterrand