« Ora lasciate stare Sciascia »

« Ora lasciate stare Sciascia » NUOVI VELENI IN SICILIA « Ora lasciate stare Sciascia » Scrittori e politici replicano a Borsellino LEONARDO Sciascia aveva parlato chiaro. Dopo la polemica scoppiata nei primi mesi dell'87 per quel suo duro attacco a Falcone che si riassumeva nella definizione carica di accuse «i professionisti dell'antimafia», in un'intervista a «La Stampa» spiegò che si stava cercando di strumentalizzare il suo pensiero: «Fu tutto incredibilmente travisato, io intendevo semplicemente dire che il Csm avrebbe dovuto stabilire regole, non andare discontinuamente, e con un linguaggio a dir poco allarmante, al caso per caso. Il giudice Borsellino ha capito benissimo che non c'era nel mio articolo nulla di personale nei suoi riguardi. Ma non l'hanno capito, o non l'hanno voluto capire, coloro cui piaceva attizzare una polemica vana e insulsa». E invece, cinque anni dopo, Paolo Borsellino riaccende la polemica: «Mi chiedo se, in realtà, non si fosse cominciato a far morire Falcone quando Leonardo Sciascia sul "Corriere della Sera" bollava me come un professionista dell'antimafia e l'amico Leoluca Orlando come professionista dell'antimafia nella politica». Marcelle Padovani, la giornalista che ha scritto con Falcone «Cose di Cosa nostra», è certa che «quelle dello scrittore fossero solo giustificazioni a posteriori: è innegabile che Sciascia intendesse scagliarsi duramente contro il giudice e l'antimafia. In questo sono d'accordo con Borsellino ma, negli ultimi tempi, Falcone stava facendo di tutto per riavvicinarsi a lui. Lo citava spesso, rivendicava un modo comune di pensare, la stessa sicilianità». Contro Sciascia prende posizione Saverio Lodato, giornalista e scrittore palermitano: «Prese un abbaglio. Quella frase la pronunciò dopo l'incontro con un gruppo di magistrati siciliani che gli riferirono della nomina di Borsellino a Marsala. Gli dissero che quella nomina stravolgeva, calpestava principi sacri della magistratura. Probabilmente c'era qualcuno che aveva bisogno di una copertura intellettuale alle proprie lotte di potere». Sciascia, insomma, sarebbe stato «usato» con l'inganno. «E per questo - continua Lodato - fu duramente contestato, dimenticando che Sciascia è stato il primo, in Sicilia, ad aprire gli occhi sul fenomeno mafioso. I suoi romanzi hanno aperto il coperchio su una realtà che gli stessi magistrati volevano nascondere». «E fu proprio questo il senso di quella "uscita" di Sciascia - spiega l'ex sindaco di Palermo, Elda Pucci -. In questa città si è voluto coprire per troppo tempo, con il velo delle dichiarazioni che nulla apportavano alla lotta contro la mafia, una drammatica realtà. E tutto per convenienze politiche. Sciascia capiva bene che era tempo di finirla con le parole, con l'abisso che passava tra le cose che si dicevano e ciò che si faceva». Sulla buona fede dello scrittore, comunque, nemmeno Lodato ha dubbi: «Nei suoi romanzi descrisse l'impegno dei giudici che lottavano davvero contro i clan». Pur mostrando dei limiti: «Certo negli Anni 80 prese qualche abbaglio, non si accorse del movimento che saliva dal basso, non prese in considerazione l'impegno dei magistrati del pool, le manifestazioni di piazza. Senza accorgersi, forse, che quei magistrati e quelle manifestazioni erano figli dei suoi romanzi». «Sciascia era per l'applicazione della legge - riprende Pucci -, era per il garantismo. Diceva: meglio un colpevole fuori che uno den- tro per errore. Sciascia non voleva certo attaccare personalmente Borsellino. Ma quando la magistratura, forse strumentalizzata, forse in prima persona prende posizioni politiche, allora si deve aspettare degli attacchi. A volte anche ingiustificati». Contro la frase di Sciascia si scaglia Pino Arlacchi, sociologo e scrittore: «Era una gravissima offesa a chi dell'antimafia ha fatto un dovere e un rischio, a chi ha pagato con il sangue la sua lotta ai clan. Secon¬ do me non era un infortunio: queste parole riflettevano il pensiero di Sciascia, testimoniato da tutti i suoi libri. I professionisti dell'antimafia, nei suoi romanzi, li ha sempre descritti come gente un po' folle, isolata. O addirittura come mafiosi ombra. Penso invece che la mafia si sconfigga con i professionisti: l'America ne è un esempio concreto». Una assoluzione incondizionata viene dal giornalista Michele Santoro: «Lo assolvo e condanno chi ha utilizzato quella frase per scopi politici. Intervistai Sciascia proprio il giorno di quel suo contestato intervento e me ne spiegò il senso. Voleva dire che il principale problema della Sicilia non era l'antimafia, ma quello di lottare per restituire all'isola una legalità, un senso dello Stato. Mi fece un esempio. A Palermo, per difendere i professionisti dell'antimafia vengono utilizzati centinaia di agenti, lasciando indifesa la gente. Il povero cittadino che si sente attaccato dalla criminalità a chi si rivolge? Ma alla mafia, al l'Antistato. La sua non era una polemica contro i professionisti, chiedeva di andare oltre, di guardare alla Sicilia con più attenzione». Luigi Stigliano Pier Luigi Vercesi Santoro: fustigava il potere perché ricordasse la sua isola Ma Arlacchi lo critica «Ha dimenticato troppi morti» Lo scrittore Leonardo Sciascia e, a destra, Paolo Borsellino. Il giudice ha riacceso la polemica sui «professionisti dell'antimafia» Da sinistra: l'ex sindaco di Palermo Elda Pucci, lo scrittoregiornalista Saverio Lodato e il giornalista Michele Santoro

Luoghi citati: America, Marsala, Palermo, Sicilia