Un giallo fa tremare Tangentopoli

Un giallo fa tremare Tangentopoli Agenzia attribuisce a Martelli pesanti accuse a Di Pietro, poi si scopre che è un falso Un giallo fa tremare Tangentopoli Ma i magistrati non hanno mostrato tentennamenti «Sappiamo che ipolitici se potessero ci fermerebbero» MILANO. I 31 minuti che non hanno sconvolto Palazzo di Giustizia. Con i cronisti, intruppati e agitati più del solito, che salgono al quarto piano, ufficio del procuratore capo Francesco Saverio Borrelli, e agitano prima i giornali e poi quel flash dell'agenzia «Ansa». Visto i socialisti, visto che attacco, con Acquaviva e Martelli che dicono a Di Pietro e a tutti voi: «Basta, ora è il momento di finirla»...». Borrelli proprio non si scompone: «Embe'?». Ancora non sa, nessuno sa, che le frasi dell'agenzia saranno tutte smentite. Ma non si stupisce, anzi. Così si scopre che al quarto piano va in scena una riedizione di «Questi fantasmi», da Eduardo De Filippo. E quando l'«Ansa» trasmette rettifica e scuse, la reazione è tutta eduardiana: «Non è vero, ma ci credo...». Dopo il talpone mascalzone che ha diffuso i verbali, siamo al telefonista mascalzone che attribuisce a Martelli, ministro di Grazia e Giustizia, l'intenzione di «controllare questa corporazione», i giudici. E Borrelli, placido: «Certo, nel caso i magistrati fossero sottoposti al potere politico queste inchieste non si farebbero». Sui quotidiani di ieri, con la notizia dell'arresto del segretario del psi lombardo Andrea Parini (unico non sospeso), titoli sulle dichiarazioni di Gennaro Acquaviva, capo della segreteria di via del Corso. Le accuse al giudice Antonio Di Pietro che starebbe esagerando, le proteste per le imputazioni che sarebbero infondate, la denuncia di illegalità. E Borrelli, serafico: «Di illegalità ne abbiamo molte sotto gli occhi, ma si riferiscono ai comportamenti del passato e stanno nelle cose di cui ci stiamo occupando con questa inchiesta». Calma, flemma. Per ogni accusa una risposta. Ricordando il passato e le vecchie polemiche tra psi e giudici di Milano. Si può scegliere: dallo scandalo Icomec, con arresto dell'ex senatore Antonio Natali, alle disgrazie di Roberto Calvi, dall'inchiesta sull'assassinio di Walter Tobagi alle due sentenze per il delitto Calabresi. Ancora Borrelli: «Non ho l'abitudine né il desiderio di polemiche, che credo non debbano trovare spazio nella deontologia del magistrato. Ma mi domando a quale parametro di legalità si riferiscano i nostri critici». Una preoccupazione il procuratore Borrelli non la nasconde. Che tra dichiarazioni vere o inventate, tra cortei e magliette su «Tangentopoli», si finisca con l'individuare nel solo Antonio Di Pietro meriti o demeriti dell'inchiesta. «Non si può mettere in discussione l'equilibrio di chi conduce questa indagine senza ricordare che di essa sono titolari ben tre magistrati, Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo e Antonio Di Pietro coordinati dal procuratore aggiunto Gerardo D'Ambrosio e da me personalmente». Come dire: guardate che siamo ben cinque. Un'altra risposta alle accuse può essere questa: «I nostri provvedimenti, o meglio i provvedimenti del giudice per le indagini preliminari, hanno resistito alle impugnazioni che sono state proposte, e peraltro sono poche». O quest'altra: «Vorrei dei rilievi più precisi e specifici, con riferimenti espliciti a circostanze, persone e fatti». O questa ancora: «Sono curioso di conoscere le illegalità di cui parla il portavoce socialista. Noi ci stiamo occupando di illegalità per colpirla, almeno fino a che la legge penale non sarà caduta in desuetudine». Quando iniziano i 31 minuti, Borrelli ha appena finito queste parole. I cronisti scendono in sala stampa e alle 12,26 arriva il flash del telefonista mascalzone. Dietrofront, tornare dal Capo per il «certo, se fossimo assoggettati al potere politico non si avrebbero queste inchieste». Seguito da un «è un concetto già espresso da alcuni magistrati della procura anche recentemente durante trasmissioni televisive. Siamo qui, attendiamo a pie fermo». Saluti, ridiscesa in sala stampa, ecco il flash delle 12,57 che smentisce, altro dietrofront e risalita. E neppure stavolta Borrelli si turba: «Ho solo fatto delle considerazioni ribadendo dei concetti». Tutto qui. Non cambia niente. E' il non è vero ma ci credo. Armando Spataro, pubblico ministero al processo Tobagi, anche lui alle prese con ricordi di vecchie polemiche, sembra confermare: «Al di là della smentita, da alcuni anni ormai la posizione del psi è quella di sottoporre il pubblico ministero all'esecutivo». E si potrebbero elencare, appunto, non solo le dichiarazioni tv, ma anche assemblee e comunicati delle toghe di Tangentopoli. Con Borrelli e i giudici di Milano si schiera per prima, nell'ordine d'arrivo dei fax, la corrente moderata «Magistratura indipendente». Come i parlamentari pds Franco Bassanini e Cesare Salvi contesta il psi e «la stridente contraddizione tra gli attacchi rivolti ai magistrati che indagano sulle tangenti ed i proclami degli uomini politici che lanciano questa grave accusa sulla esigenza di profondo ed improcrastinabile rinnovamento del Paese». E attende, piuttosto, «di conoscere la loro posizione sulle richieste di autorizzazione a procedere». Tutte dichiarazioni che rispondono a Gennaro Acquaviva. «Desolanti, le sue», secondo Bassanini e Salvi. E pure loro giù duri: «Desolante constatare l'opposta reazione di pds e psi. Il psi non dice una parola, non assume un impegno, non fa autocritica, non cambia una virgola. Al contrario, oltre ad attaccare i giudici, ostacola la concessione dell'autorizzazione a procedere ai parlamentari inquisiti». E concludono: se così è, buoni rapporti pds-psi addio. Sacrificati, anche questi, sul codice penale di Tangentopoli. La capitale morale d'Italia. Giovanni Cerniti Il procuratore di Milano sulle critiche del psi «E' illegale il mondo sul quale indaghiamo» Il procuratore della Repubblica di Milano Francesco Saverio Borrelli che ieri ha replicato alla nota della segreteria psi. A sinistra il giudice Antonio Di Pietro che dirige le indagini sulle tangenti a Milano

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