Barbiana eroi del'68 o cattivi maestri?

Barbiana, eroi del '68 o cattivi maestri? «Lettera a una professoressa»: a 25 anni dalla morte di don Milani, si riapre la discussione Barbiana, eroi del '68 o cattivi maestri? Quattro pagine su «Cuore» per ricordare quel libro Ma un pedagogista accusa: «Fu sbagliato e dannoso» EROMA ETTERA a una professoressa: una proposta che resiste o un falso mito? Nel 25° anniversario della morte di don Milani, l'ultimo libro, frutto dell'esperienza maturata con gli allievi della scuola di Barbiana, uscito solo un mese prima della sua scomparsa, è oggetto di valutazioni opposte. Lunedì verrà riproposto ai lettori di Cuore in un inserto speciale di quattro pagine. Ma intanto è attaccato violentemente in un volumetto che Roberto Berardi - ex preside di un istituto magistrale e studioso di didattica, in rapporto con don Milani durante la gestazione della Lettera - ha appena pubblicato da Shakespeare fr Company con un titolo significativo: Lettera a una professoressa, un mito degli anni 60: «Un mito che è stato caricato di emotività e irrazionalità in misura tale da farlo diventare un tabù, da creare cioè un'interdizione quasi sacrale a parlarne se non in toni apologetici», spiega l'autore nella prefazione. «Voi dite d'aver bocciato i cretini e gli svogliati. Allora sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri. Ma Dio non fa questi dispetti ai poveri. E' più facile che i dispettosi siate voi». Il celebre passo racchiude il tono e lo spirito della lettera in cui, facendo parlare direttamente i suoi allievi, don Milani si rivolgeva a un'esemplare professoressa per denunciare il carattere classista della scuola di Stato italiana. Testo sacro di una generazione, accanto a Marcuse e Mao, quel libro ha creato un ponte fra cattolici e marxisti e ha messo in subbuglio la Chiesa. Ma Berardi guarda ai molti danni che «l'idea fiabesca della scuola di Barbiana, una volta confluita nel torrente sessantottesco», avrebbe fatto alla scuola italiana. Era un pamphlet, è stato erroneamente preso per un trattato sull'educazione, dice Berardi. E aggiunge che si tratta di un libello occasionale, scritto in quel modo e con quella violenza sull'onda dell'irritazione che don Milani provava perché tre allievi della «sua scuola», per il secondo anno di seguito, erano stati bocciati all'esame del terzo anno delle magistrali. «Un libro sbagliato e dannoso proprio a quei ceti che Milani voleva aiutare», dice l'accusatore. Sbagliato per la predicazione di odio verso i veri e presunti nemici dei poveri. Ma anche per «la cultura antiindustriale che veicola; l'apologia orgogliosa di una civiltà contadina fatta di abilità manuali e conoscenze circoscritte, in via di dissoluzione; l'ignoranza della storia della scuola, i discorsi assurdi sull'arte e i giudizi bizzarri su alcuni scrittori ("quella del Foscolo è una lingua nata morta")». Tutto ciò è unito a «un'ironia astiosa e l'offesa spesso gratuita contro tutti, contro i "borghesi", contro i laureati, contro gli intellettuali di sinistra, contro i comunisti, contro i preti», all'«illiberalismo generale della concezione educativa» e a un «atteggiamento non di rado reazionario». Sotto accusa è la contestazione della matematica che veniva da Barbiana: «Per insegnarla alle elementari - diceva don Mila¬ ni - basta quella delle elementari. La terza media ne ha tre anni di troppo. Nel programma delle magistrali si può abolire». Il culto del presente: «Voi coi greci e coi romani gli avevate fatto odiare tutta la storia». Il disprezzo per il latino: «Da voi la materia più importante è quella che non dovremmo mai insegnare». Berardi ammette che «lo stile rapido, efficace, incalzante fu senza dubbio uno dei motivi del successo, la polemica incessante rende ghiotto qualunque scritto, e la stampa a caratteri grandi con spazi grandi e molti sottotitoli invoglia il lettore pigro». Il resto lo fece il clima culturale dell'epoca. Ma con quali conseguenze nella scuola italiana? L'abolizione dei voti, il voto unico dequalificato e il tutti promossi, per debellare competitività e meritocrazia, furono i primi effetti. Il lavoro di gruppo che di fatto consentiva ai pierin di emergere, mentre i meno istruiti se ne stavano passivi, tenne banco per un decennio. Il «presentismo» resiste ancora. Al vicedirettore di Cuore Paterlini, che ha curato l'inserto, la polemica non interessa. «Il nostro è un giornale di opposizione che non fa solo satira e la nostra intenzione è prima di tutto storica: far conoscere un testo importante ai nostri giovanissimi lettori, in un momento in cui la perdita di memoria è alla radice di tante sconfitte della sinistra. Se il libro è attuale? La critica alla cultura e alla sua non neutralità mi pare più limpida e attuale che mai. Da allora non mi sembra che sia cambiato niente». Gianni Mattioli, deputato ver- de di estrazione cattolica, è d'accordo. Ricorda come la Lettera riuscì a sintetizzare efficamente il legame fra cultura e scontro sociale. «La non neutralità della cultura fu ima delle bandiere del '68 originario, non violento. Quel libro avrebbe potuto far nascere nella scuola una formazione veramente critica. Ma il progetto venne sconfitto e il risultato è l'omogenietà e il conformismo dei giovani di oggi». Gianni Baget Bozzo, sacerdote e eurodeputato socialista, distingue fra don Milani e il suo mito. Salva il primo, ma condanna il secondo. «L'esperienza di don Milani, fu giusta e importante. Voleva dare ai ragazzi di campagna della sua scuola una cultura matura che li aiutasse a essere persone e a procedere liberamente. "Le masse hanno una cultura e hanno bisogno della parola per esprimerla", diceva a quell'epoca. Ma già nel '58 si era chiesto "Noi diamo loro dei biliardini: perché non dargli una formazione?". Era una persona concreta, superiore agli altri. Ma poi il suo discorso, assorbito dal '68, è stato infarcito di retorica. E' nato il donmilanismo, che non mi ha mai interessato». Una posizione non molto lontana da quella di Marco Boato, altro deputato verde di origine cattolico-sessantottina. Sul filo della memoria, Boato ricorda l'impatto emotivo del libro sui militanti di allora, a sinistra come nell'area del dissenso cattolico. «Fu una grande provocazione intellettuale per il modo in cui era scritto. L'approccio dei non cristiani era allora molto ideologico e astratto, mentre don Milani proponeva un rapporto diretto con la realtà concreta. Il discorso sulla cultura di classe, la società di classe, la scuola di classe, sembrava nascere dalle cose. Era un approccio totale, al punto di correre il rischio di diventare a sua volta totalizzante. Come poi è accaduto». Maria Grazia Bruzzone Un pamphlet di Roberto Berardi contro il «falso mito degli Anni 60» Baget Bozzo: «Un'esperienza importante, poi infarcita di retorica» Nell'immagine grande, don Milani con i suoi ragazzi. Sopra, Gianni Baget Bozzo, sotto Marco Boato A fianco Gianni Mattioli, deputato verde di estrazione cattolica: «Fu una delle bandiere del '68 originario, non violento»