Pochi ministeri, la dc in difficoltà di Augusto Minzolini

Pochi ministeri, la dc in difficoltà La proposta verrà sottoposta ad Amato e agli alleati. Tentativo di pensionare Andreotti? Pochi ministeri, la dc in difficoltà Forlani: chi va al governo si dimetta da parlamentare ROMA. «Ne accennano, ne parlano sottovoce, ma nessuno finora ha avuto il coraggio di proporre in direzione il criterio che esclude dal governo coloro che hanno fatto i ministri per cinque anni consecutivi: la verità è che tutti vorrebbero Giulio Andreotti fuori, ma nessuno è tanto spavaldo da dirglielo in faccia». Sono le 17 di ieri pomeriggio e davanti a palazzo Cenci-Bolognetti, sede della de, Adriano Biasutti, uno dei 40 ribelli democristiani, svela l'imbarazzo della de davanti al «caso Andreotti». Quattro ore dopo, proprio per superare il complesso dilemma, Arnaldo Forlani e Ciriaco De Mita hanno lanciato una proposta rivoluzionaria: fissare un'incompatibilità tra incarico parlamentare e incarico di governo, cioè i senatori e i deputati che vorranno fare i ministri dovranno lasciare il Parlamento. Dopo un dibattito vivace, la direzione de ha deciso di rimettere la decisione al presidente incaricato e agli altri partiti. E' proprio vero: scelto il presidente del Consiglio, trovata la maggioranza, concordato il programma sono arrivate le dolenti note per Giuliano Amato, costretto a districarsi tra le voglie ministeriali dei partiti di governo. Per lui è molto più difficile che per i suoi predecessori, visto che nell'epoca di «tangentopoli» forse quello che conta di più di fronte all'opinione pubblica sono i nomi dei nuovi ministri: e allora è tornato di moda, se mai 10 è stato, l'art. 92 che, almeno sulla carta, lascia per intero al Capo del governo il potere di scelta dei ministri. A questa complicazione se ne aggiunge un'altra: questa volta anche il Capo dello Stato vuole dire la sua sui ministri e Scalfaro, che è arrivato a negare l'incarico a Bettino Craxi, difficilmente accetterà che nel governo ci siano «uomini chiacchierati». Risultato, il presidente incaricato è alle prese con i tanti casi dei ministri del precedente gabinetto che rischiano di diventare degli esclusi: dal «caso Andreotti» al «caso Martelli», dal «caso Scotti» ai «casi Prandini, Paolo Cirino Pomicino, Ruffolo» (Craxi al suo posto vuole Carlo Ripa di Meana) e via dicendo. Il problema più delicato, ovviamente, è quello del «divo Giulio» che, persa la corsa per la presidenza della Repubblica, mancato il passaggio alla presidenza del Senato, ora, per rimanere a galla, vorrebbe tornare in quello che per tanti anni è stato 11 suo rifugio: la Farnesina. Ma nella de non tutti vogliono accordargli questa pensione d'oro: si dice che su Andreotti ministro degli Esteri, storcerebbero il naso Antonio Gava, De Mita e forse lo stesso Forlani. Di certo c'è che i dorotei ammettono apertamente l'esistenza di un «caso Andreotti». «Io dice il doroteo Remo Gaspari - al ministero degli Esteri ci metterei Ciriaco De Mita che, secondo me, ci andrebbe volentieri. Andreotti? Beh, c'è stato tanto tempo nel governo...». Nino Pisic- chio, forzanovista «doc», alla Farnesina ci vede, invece, Arnaldo Forlani, dando voce in questo modo ad un'ipotesi che trova mólto credito nella de. Mentre un'interpretazione completamente diversa del «caso Andreotti», la offre un altro doroteo, il sottosegretario Giovanni Zarro. «la verità - spiega - è che i peggiori nemici di un ritorno di Andreotti al ministero degli Esteri sono i suoi fedelissimi: un dicastero di prestigio al "divo Giulio", infatti, metterebbe sulla strada Paolo Cirino Pomicino e Nino Cristofori». Infine c'è un problema delicato, che molti sussurrano a bassa voce. Un Andreotti al governo renderebbe impossibile per chiunque motivare con la classica frase «è stato troppo in un ministero», le esclusioni di quei ministri che per diverse ragioni Scalfaro non vorrebbe confermare: i vari Prandini, Paolo Cirino Pomicino, Bernini, di fatto finirebbero per fare la figura dei ministri «bocciati» per dare un'immagine migliore al nuovo governo. Un «vero schiaffo» che difficilmente i suddetti potrebbero accettare, tanto che molti di loro hanno deciso di fare resistenza al grido: «Se usciamo adesso dal governo, non ci rientriamo più». Per tutte queste ragioni, quindi, la de - sembra incredibile - potrebbe violare un vecchio «tabù» che vuole Andreotti a tutti i costi ministro. E il «vertice» de per raggiungere questo scopo potrebbe arrivare ad inserire l'obbligo delle dimissioni dal mandato parlamenta: o per i senatori e i deputati che vorranno andare al governo (un ostacolo insormontabile per Andreotti che è senatore a vita). Un epilogo al quale, però, non tutti credono: «Malgrado i tentavi e le speranze di molti - ha confidato ieri in direzione Vito Bonsignore, andreottiano di sicura fede anche questa volta sarà Giulio a decidere il proprio destino». Se il «caso Andreotti» rischia di divampare ora, i «casi Martelli & Scotti» hanno caratterizzato i «pourparlers» riservati dei giorni scorsi. L'altra sera i due interessati sono riusciti a scambiare quattro chiacchiere ed entrambi si sono mostrati fiduciosi di rimanere nei rispettivi posti anche nel prossimo governo: il primo al ministero della Giustizia e l'altro a quello dell'Interno. Tutti e due, comunque, hanno rischiato e forse continuano a rischiare. Martelli ha dovuto fare i conti addirittura con il Presidente della Repubblica in persona. «Scalfaro - è arrivato ad ammettere lo stesso Scotti - voleva un altro ministro della Giustizia per rasserenare i rapporti con la magistratura». Il capo dello Stato però queste valutazioni a viso aperto a Martelli non le ha mai fatte. Anzi. In questi 20 giorni di crisi Scalfaro ha sottoposto il ministro della Giustizia ad una lunga serie di lusinghe. Addirittura, davanti allo stesso Scotti, in un colloquio di due settimane fa, il capo dello Stato aveva detto di preferire Martelli nella rosa dei nomi socialisti che avrebbero potuto sostituire Craxi, in questo momento impossibilitato, nella guida del governo. E proprio quelle affermazioni del Presidente sono state alla base della rottura tra il segretario del psi e Martelli. La scorsa settimana, invece, alle lodi sono subentrate le «riserve» di Scalfaro su di un ritorno di Martelli alla Giustizia: tre giorni fa Giuliano Amato è arrivato a proporre il ruolo di «guardasigilli» a Mino Martinazzoli che ha rifiutato. Quando, però, l'altro ieri è stata siglata la «tregua» tra Craxi e Martelli, il presidente incaricato si è preso l'impegno di convincere il capo dello Stato a riconfermare l'attuale ministro della Giustizia. Solo che adesso Martelli con i suoi intimi si chiede «qual è lo Scalfaro vero: quello decantato da Marco Pannella, o quell'altro...» Scotti, invece, ha temuto di diventare la vittima degli equilibri de: tra l'altro Nicola Mancino nei giorni scorsi, per entrare al governo e lasciare il ruolo di capogruppo dei senatori a Gava, aveva chiesto per sé proprio il ministero dell'Interno. Poi, anche lui si era tranquillizzato, fino a ieri sera quando anche Scotti ha avuto paura di dover mollare per colpa del marchingegno escogitato da Forlani per superare il problema Andreotti. Augusto Minzolini

Luoghi citati: Meana, Roma