Spoleto: un «Duca d'Alba» come volle Visconti di Giorgio Pestelli
Spoleto: un «Duca d'Alba» come volle Visconti L'opera iUDonizetti apre la 35a edizione del Festival dei Due Mondi, direttore Alberto Maria Giuri Spoleto: un «Duca d'Alba» come volle Visconti Il giovane cast sotto la regia di Sanjust, bravo il baritono Alan Titus SPOLETO. P«- inaugurare la sua 35a edizic ìe il Festival dei Due Mondi hi scelto di celebrare se stesi ), estraendo dai suoi annali e ripresentandolo come storico documento quel «Duca d'Albai di Donizetti che allestito nel 1359 sotto la direzione di Thorras Schippers e di Luchino Visconti aveva sollevato generala entusiasmo e ottimistiche pevisioni sul suo cammino futiro. Donizetti jerisse «Il Duca d'Alba» per ffirigi nel 1839 ma quando si rise conto che la rappresentaaone non sarebbe andata in poto, lasciò l'opera incompiuta, ne tirò fuori due o tre cose che gli servivano, e se ne dimentica; non così il librettista, Eigène Scribe, che qualche anii'dopo cambiò nomi e paesi e titto zitto presentò come nuovdil libretto a Verdi per i «Vesjri siciliani». Nel 1882 Mattel Salvi, un allievo di Donizettijcompletò il lavoro del maestro sulla base di appunti e frammenti e l'opera fu battezzata al glorioso Teatro Apollo di Roma con le scene di Carlo Ferrario: scene che, ritrovate in un magazzino teatrale, furono riallestite già nell'edizione spoletina del 1959 e tornano oggi a documentare lo stile del più famoso scenografo lirico italiano del tardo Ottocento. La regia di Visconti è stata ripresa da Filippo Sanjust, che nel '59 era a fianco di Luchino come assistente; sul podio non c'è più Schippers (che aveva anche riveduto l'opera sull'autografo), ma un giovane direttore romano, Alberto Maria Giuri: molto bravo, ricco di qualità musicali e teatrali e fedele, nello slancio e nella tensione animatrice, proprio alla indimenticata lezione di Schippers. Essendosi probabilmente perduti gli interventi del direttore americano sulla partitura nell'edizione '59, per questa riprésa inaugurale si è tornati all'edizione Salvi del 1882: quindi non si sente la romanza «Spirto gentil» che Donizetti aveva scritto per il «Duca» e poi trasferito alla «Favorita» e la strumentazione, specie nelle ultime scene, sembra colorirsi di tinte «Anni Ottanta», verdiane e un po' massicce rispetto al peso dell'orchestra maneggiata da Donizetti quaranta anni prima. Non per questo il senso e l'importanza del «Duca d'Alba» si colgono con meno immediatezza: Donizetti, il delicato cantore dell'anima femminile, qui punta al dramma con inconsueto vigore, annuncia l'impeto di melodie «risorgimentali», rappresenta congiure e giuramenti, penetra la psicologia di un potente in conflitto fra la ragion di stato e l'amore filiale. In altre parole, tutto ciò vuol dire un anticipo impressionante di temi verdia¬ ni; e davvero all'apertura del terzo atto quando Alba solo nel suo studio cova i suoi patemi con il figlio Marcello, ci si aspetta che apra bocca per cantale: «Ella (Egli) giammai m'amò». Ma, meriti storici a parte, l'opera è poi ricca di pagine e paginette che interessano di per sé: due spunti sono originalissimi, una sorta di corale protestante dei congiurati e una ronda notturna: cui il pubblico non assiste perché fuori scena, ma se la «vede» sbalzata al vivo nella descrizione fattane da un delizioso, quasi bizetiano terzetto. Né manca, benché contenuta, la nota lan¬ guida e amorosa, nei duetti e nelle arie di Marcello e di Amelia figlia di Egmont: la quale vibra di fresca ingenuità cantando «Ombra bella a me perdona» quando sente il dolore per la morte del padre intenerirsi di un nuovo amore. Secondo la coraggiosa e tradizionale abitudine del Festi- vai di Spoleto le parti vocali sono affidate a cantanti giovani, talvolta appena emersi nei concorsi di canto che oggi abbondano; ma all'anteprima destinata alla stampa, a parte la prova già elogiata del direttore, solo il baritono Alan Titus è parso del tutto a suo agio nella difficile parte del protagonista. Agli altri è stata forse data troppa fiducia rispetto all'attuale maturità: Michela Sburlati, messasi in luce in parti pucciniane, e il tenore Cesar Hernandez («Goya» di Menotti l'anno passato) hanno voci ancora troppo emotive per la classica emissione donizettiana: che è ancora quella del «bel canto», malgrado le intenzioni drammatiche qui presenti. Bel timbro di basso Robert Mime nella parte del birraio Daniele; bravo il coro di Westminster diretto da Donald Nally. Giorgio Pestelli Nella foto accanto il baritono Alan Titus grande protagonista. A sinistra: una scena corale dell'opera di Donizetti presentata a Spoleto
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