«Così ho convinto mio marito a vivere con un rene del figlio» di Fabio Pozzo

«Così ho convinto mio marito a vivere con un rene del figlioGenova, parla la mamma del ragazzo di 16 anni che con la sua morte ha salvato il padre «Così ho convinto mio marito a vivere con un rene del figlio GENOVA. «L'ho convinto io ad accettare il rene di nostro figlio. Lui non voleva. Piangevamo insieme. Ho cercato di spiegargli che, così, avrebbe portato dentro di se, per tutta la vita, una parte di Marco. Ne avevamo parlato già prima, quando ci hanno chiesto se acconsentivamo alla donazione. Ho detto a mio marito che la morte di nostro figlio poteva servire a far nascere nuove vite. Avevamo pensato, però, a persone lontane, a noi sconosciute». Mirella Raggi, bionda, minuta, è la madre di un ragazzino di 16 anni, Marco Fontana, che domenica scorsa ha avuto un grave incidente in motorino, tanto grave che gli è costato la vita. Un rene di quel suo figlio sfortunato vivrà ora nel corpo del padre, Luigi Fontana, 40 anni, autista d'autobus, da un anno in dialisi. L'uomo tornerà a vita normale, senza l'incubo della macchina per «pulire» il sangue, portando dentro di sè una parte di Marco, cui aveva dato la vita sedici anni fa. E' stato il computer a riunirli, li caso si è fatto impulso, ha viaggiato a cavallo delle fibre ottiche e ha estrapolato dal sistema informatico del Nord Italian Transplant (Nit), l'organizzazione interregionale per i trapianti, i nomi del donatore e del perfetto ricevente. Marco e Luigi Fontana, padre e figlio. E' la storia di un miracolo che ormai al Centro regionale tra- pianti dell'ospedale San Martino di Genova si rinnova circa 40 volte in un anno, solo per i trapianti di reni. Ma questa volta, si è trattato di un caso «drammaticamente eccezionale», come l'ha definito il professore Umberto Valente, primario del Centro. Non dal punto di vista medico, perché questo tipo di interventi rientra ormai nella routine, ma per le implicazioni umane che ne hanno accompagnato l'esito. Tutto ha avuto inizio domenica scorsa. Marco Fontana, 16 anni ancora da compiere, studente di un centro di formazione professionale di S. Salvatore di Cogorno, vicino a Chiavari, dove viveva assieme ai genitori, si è schiantato con il suo motorino contro un'auto ferma ad un incrocio. Stava tornando a casa. Non era protetto dal casco. Un'ambulanza lo ha trasportato all'ospedale di Lavagna e poi al San Martino di Genova. Le sue condizioni erano gravissime. Marco è stato operato, ma non c'è stato nulla da fare. Lunedì mattina i medici ne hanno registrato la morte celebrale. Il ragazzo è stato tenuto in vita 12 ore, con le macchine, come prescrive la legge. Il suo cuore ha continuato a battere, ma il suo cervello era privo di ogni attività elettrica. I genitori hanno acconsentito alla donazione. Si è così messo in moto il sistema di ricerca del possibile rice- vente. Dei possibili, perchè da Marco i medici hanno prelevato il cuore, il fegato, le cornee e i due reni. La segnalazione relativa al donatore parte da uno dei Centri specializzati delle regioni che fanno parte del «Nit» - Liguria, Lombardia, Marche, Veneto, Trentino e Venezia Giulia - e arriva al computer della sede centrale di Milano. Da qui parte la ricerca. Sul video del terminale scorrono tanti nomi, quelli delle persone che attendono, anche da anni, un organo in dono. Viene verificata la migliore compatibilità tra donatore e ricevente. Sul terminale del Centro genovese sono apparsi i nomi dei prescelti. Il cuore di Marco è stato trasportato in aereo a Bergamo, il fegato in auto all'Istituto tumori di Milano. Le cornee sono rimaste in Liguria. E così anche i reni. Uno è andato a una bambina di 12 anni, Ilaria, dell'Aquila, in dialisi da un anno. Il secondo al padre di Marco. «Identificato il ricevente, lo abbiamo fatto chiamare - racconta il professore Valente. Per noi era un paziente come tutti gli altri. Abbiamo capito solo dopo che si chiamava Fontana, come il donatore. E che era il padre». Un padre cui il destino ha riservato ore terribili. Il professore Valente e la sua équipe hanno iniziato l'intervento di espianto «multi-orga- no», lunedì sera, poco prima delle 23. Poi sono passati ai trapianti: il primo rene di Marco al padre, il secondo a Ilaria. Hanno terminato quando si era già fatto giorno. «Gli interventi sono tutti riusciti», ha detto il chirurgo. Ieri pomeriggio, al quarto piano del Monoblocco del San Martino, dove è situato il Centro trapianti, il padre di Marco era sveglio, sul lettino di una delle camere dell'area di rianimazione e le sue condizioni erano buone. Anche Ilaria s'era svegliata: da un vetro, la coccolava con lunghi sguardi la madre. «Se non sorgono complicazioni, entro una quindicina di giorni tornano a casa», ha spiegato il primario. Lungo questi corridoi i medici e gli infermieri camminano veloci. Calzano zoccoli di gomma, verdi. Portano indumenti sterilizzati, mascherine sulla bocca. Al di là della porta che protegge il reparto, che si apre solo su comando, ci sono le camere per la degenza di coloro che hanno già subito un trapianto. Il professor Valente chiama tutti per nome. Per esempio Enzo, un ragazzone che ha avuto in dono un fegato. Tra pochi giorni si trasferirà qui anche il padre di Marco. Presto la ferita sul fianco gli si rimarginerà. Non così quella al cuore, per la morte del figlio. Fabio Pozzo «Lui non voleva accettare il trapianto Al medico abbiamo detto di sì tra le lacrime» professor Umberto Valente e Luigi Fontana, il donatore di 16 anni

Persone citate: Fontana, Luigi Fontana, Marco Fontana, Umberto Valente