La notte amara di Shamir E' finita la mia carriera

La notte amara di Shamir «E' finita la mia carriera» La notte amara di Shamir «E' finita la mia carriera» TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO Alle tre di mattina di mercoledì, quando ormai dalle urne affluivano dati incontrovertibili sulla pesante sconfitta del Likud, il premier Yitzhak Shamir, 77 anni, si è amabilmente seduto con due giornalisti della televisione israeliana accanto a un tavolino e, mentre una telecamera lo riprendeva, ha lanciato una piccola bomba la cui eco potrebbe sconvolgere i rapporti di forza nel Likud. «Come ho più volte detto in passato - ha dichiarato, simulando noncuranza - sono alla fine della mia carriera politica». Dietro le sue spalle, almeno cinque aspiranti alla successione non attendono che una conferma ufficiale di questa constatazione, vaga e condita di fatalismo, per dare avvio alla lotta per la leadership del Likud. Nei prossimi mesi potrebbe essere anche convocato il Comitato Centrale del partito, ma nel frattempo Shamir non ha dato ulteriori indicazioni di voler davvero passare la mano. E anche gli editorialisti israeliani convengono che sarebbe prematuro stilare il suo elogio finale: «Quest'uomo - ha scritto uno di essi - ha una straordinaria capacità di resistere, ricorda una voce insistente». Ma se davvero si è trattato di un commiato, la sua ultima esibizione, davanti a pochi fedelissimi del partito e a molte sedie vuote, è stata memorabile. Pur ridimensionato dagli elettori, Shamir non si è dato per vinto. «Nella storia - ha spiegato - non c'è necessariamente giustizia. Può accadere che una persona degna sia travolta, e che un'altra, molto più modesta, si aggiudichi posizioni di spicco». Man mano che la posizione del suo partito appariva sempre più compromessa, l'anziano leader ha indurito il tono. Ha ricordato «le denigrazioni e le persecuzioni» patite da Zeev Jabotinsky, l'ideologo della destra israeliana, inviso ai laboristi. Ha menzionato anche i 27 anni di amara opposizione parlamentare di Menachem Begin, sfociati nella conquista del potere, nel 1977. «Siamo fatti di acciaio - ha esclamato - gli attacchi dei nostri rivali ci temprano». Al manipolo di fedelissimi rimasti nel primo mattino attorno a lui nella «Fortezza Zeev», la sede centrale del Likud, ha lanciato un messaggio di speranza: «Abbiamo fatto grandi cose per il Paese. Non dimenticatelo mai e siatene fieri. Innalzate con orgoglio le vostre bandiere». •■' Secondo il commentatore politico Doron Rosenblum, il discorso pronunciato alla «Fortezza Zeev» è tipico della «forma mentis» del leader uscente. «In contrasto totale con la sua dottrina estremista, che sacrifica sull'altare dell'integrità territoriale perfino la speranza di pace e di benessere - ha scritto - proprio durante i governi Shamir il paese ha perso parte della sua forza interiore». Lo dimostrano, a suo avviso, le scene di violenta isteria seguite il mese scorso a un attentato palestinese a Bat Yam, presso Tel Aviv. «L'Israele di Shamir - ha concluso Rosenblum - si esprimeva in modo rozzo e deciso, ma è divenuto flaccido e viziato». Per Meir Shitrit, un eminente membro del Likud, Shamir ha colpevolmente dimenticato che non i temi politici, ma quelli sociali, portarono il partito al potere nel 1977. «Anch'io amo la terra d'Israele - ha detto - ma Shamir, attorno ad essa, ha montato una vera e propria religione che ci ha mandato a picco». Ieri, comunqe, nella Fortezza Zeev c'era un clima di attesa, nell'incertezza sia del futuro politico del leader sia di un pur ventilato «governo di unità nazionale», con il Likud in posizione subalterna rispetto ai laboristi. Ma, secondo la televisione israeliana, i principali pretendenti al trono stanno già affilando le lame. Primo fra tutti il superfalco Ariel Sharon, secondo cui «un governo delle sinistre costituisce un pericolo esistenziale per lo Stato d'Israele». In un discorso molto militante, Sharon ha ricordato di aver dovuto affrontare, nel suo passato di combattente, situazioni altrettanto difficili come l'attuale sconfitta elettorale e si è impegnato a difendere gli insediamenti ebraici nei Territori. In assenza di un delfino universalmente riconosciuto, il ministro della Difesa Moshe Arens si considera erede naturale di Shamir, ma è vivamente contestato dal ministro degli Esteri David Levy che mesi fa minacciò addirittura di dimettersi se il suo peso specifico nel partito non fosse stato rispettato. Dietro questi tre leader, due altri esponenti, più giovani, cercano da tempo di farsi spazio: sono Benyamin Begin, figlio dell'ex leader del partito, e Benyamin Nethanyahu, ex viceministro degli Esteri. Forse lo choc per la sconfìtta potrebbe adesso proiettarli ai vertici del Likud. Aldo Baquis «Nella storia non sempre vince chi è dalla parte della ragione» Ora si apre la lotta di successione Lo scontro è tra il falco Sharon e il ministro degli Esteri Levy Due grandi sconfitti: Shamir (a destra) e il super-falco Sharon che nel governo sovrintendeva agli insediamenti nei Territori (foto ap)

Luoghi citati: Esteri Levy, Israele, Tel Aviv