Giornalaio scrittore, un po' Proust e un po' Flaubert

Giornalaio scrittore, un po' Proust e un po' Flaubert Intervista con Jean Rouaud, esordiente da 500 mila copie, a Firenze per il premio «Antico fattore» Giornalaio scrittore, un po' Proust e un po' Flaubert «Ora tutto è cambiato, ma quando scrivo mi sento sempre un debuttante» ET, FIRENZE i stato il caso letterario del 1990: con il premio Goncourt l'esordiente Jean I Rouaud s'impose in Francia grazie al romanzo I campi della gloria, pubblicato in Italia da Mondadori nella traduzione di Laura Frausin e «superpremiato» adesso dalla giuria del «Chianti Ruffino - Antico Fattore». Gli ha fatto da padrino il poeta Mario Luzi. Il romanzo ha venduto in Francia 500 mila copie, con traduzioni in 20 Paesi. Il giovane che vendeva giornali nel XVI Arrondissement parigino si è scoperto improvvisamente famoso, ricco, forse adulato. Per Jean Rouaud tutto è andato liscio: ha inviato il manoscritto alle Editions de Minuto, dopo tre giorni ha ricevuto la telefonata del direttore Jerome Landon. Il resto è venuto da solo. Cos'è cambiato? In superficie tutto. Non vendo più giornali, non abito più a Parigi, non ho problemi materiali, faccio viaggi all'estero, risiedo in alberghi di lusso. Mi sento più sicuro, è più facile vivere: rna questa sicurezza la perdo non appena mi metto al lavoro. Quando scrivo ho sempre l'impressione di essere un debuttante, mi pongo davanti alla pagina con lo stesso affanno. Cos'è, per lei, la letteratura? Qualcosa di misterioso a cui sono giunto quando ho capito che solo la scrittura mi permetteva di esprimere in maniera precisa una sorta di analisi sublimata del mondo che mi circonda. La prima scelta in questa direzione l'ho fatta quando mi sono iscritto alla facoltà di Lettere, dopo aver ottenuto una maturità scientifica. Sapevo che la mia realizzazione non passava attraverso la scienza ma attraverso la scrittura. Avevo forti problemi d'identità, derivanti anche dalla perdita prematura del padre. Giornalaio-scrittore, ma con una solida preparazione anche accademica. Che effetto le ha fatto il successo? Si scrive, si lavora, si cerca di essere compresi. Ed essere compreso mi è parso naturale. Ho avuto la sensazione che il mio lavoro andasse bene, di non essermi sbagliato. Quali sono stati i suoi mo- delli letterari? Ho letto molto, ma non è la lettura che mi ha spinto a scrivere. Ci sono autori come Kerouac che mi danno grande gioia, sebbene sappia che il mio genere è diverso. Altri, invece, come il Flaubert della Educazione sentimentale li sento come punto d'appoggio, anche per il ritmo, la lentezza. Ma il modello più vicino è forse lo Chateaubriand delle Me¬ morie d'oltretomba, perché prende in esame tutto il mondo, fa un grande affresco del suo tempo. Taluni, per il giuoco della memoria, la accostano a Proust. Spesso mi scrivono lettori accaniti di Proust, ed è per me molto gratificante essere, per così dire, messo sotto il suo stesso cappello, anche se mi sento più vicino ad altri scrittori. A cosa sta lavorando ora? Il pezzo che manca al mio primo libro è il nucleo del secondo: la morte di mio padre, o piuttosto ciò che lo ha portato a morire, la difficoltà che ha incontrato a trovare se stesso, il suo posto nel mondo. Cerco la forma che vada a rendere conto di ciò che è fuori di me. Più la forma è giusta più mi avvicino alla verità, al reale, e trovare il reale vuol dire trovare la poesia. Loia Gatteschi Jean Rouaud ha vinto il Goncourt con il suo primo romanzo: da sconosciuto a best-seller in pochi giorni

Luoghi citati: Firenze, Francia, Italia, Parigi