Sguardi lunghi sul futuro di Sergio Romano

Sguardi lunghi sul futuro Il libro di Galli della Loggia Sguardi lunghi sul futuro UANDO scoppiò la «rivoluzione» studentesca a Parigi, nel maggio del 1968, Raymond Aron era negli Stati Uniti, in una delle maggiori università americane. Esitò per qualche giorno, poi ruppe gli impegni accademici e tornò in Francia per commentare quasi quotidianamente, sulle colonne del Figaro, il «maggio francese» e la crisi della V Repubblica. Non era giornalista: era sociologo, filosofo della storia, studioso di Clausewitz e di Weber, forse il maggiore «maitre à penser» della migliore intelligencija francese da quando la stella di Jean-Paul Sartre, suo grande rivale, si era andata progressivamente appannando. Ma dagli anni della guerra non aveva mai smesso di analizzare su quotidiani e settimanali, prima a Londra poi a Parigi, le vicende del suo Paese e del mondo. L'idea di starsene a insegnare negli Stati Uniti mentre Parigi sfidava il generale De Gaulle, gli parve intollerabile. Non era rimasto «in cattedra» durante la guerra d'Algeria; non vi sarebbe rimasto neppure ora, nel maggio del 1968, quando occorreva spiegare ai francesi perché il loro Paese stesse attraversando una nuova crisi, sociale e costituzionale. Come Aron contro l'«oppio» Non credo che Aron abbia mai concepito i suoi editoriali come un esercizio saltuario, un «jogging» intellettuale da farsi nei ritagli di tempo. I suoi libri e i suoi articoli erano scritti con stile diverso - i primi dotti e profondi, i secondi combattivi e provocatori -, ma si legavano gli uni agli altri come parti necessarie di uno stesso discorso. Per l'età, l'esperienza storica e la profondità della riflessione filosofica il «corrispondente» di Aron in Italia è probabilmente Norberto Bobbio. Ma gli editoriali di Aron sul maggio francese mi sono tornati alla mente leggendo o rileggendo gli articoli che Ernesto Galli della Loggia ha scritto per questo giornale nel corso degli ultimi sette anni e raccolto ora nel primo volume di una nuova collana edita da La Stampa e dall'editore Laterza {Modus vivendi, pp. 216, con una introduzione di Paolo Mieli che illustra ai lettori il significato e gli scopi dell'iniziativa). L'autore appartiene a un'altra generazione, e suppongo che se fosse stato a Parigi, nel maggio del 1968, avrebbe sfidato Aron dall'altro lato delle barricate. Ma con lo studioso francese ha molti punti in comune: è professore universitario, è storico della politica e della cultura, è attratto dagli stessi temi (la società contemporanea, i partiti, il sistema internazionale, il pacifismo), è ferocemente liberale, non ha mai smesso di scendere dalla cattedra per commentare l'attualità sulle colonne di un giornale, è un testimone impegnato delle vicende del proprio Paese. E come Aron ha una naturale inclinazione a denunciare I'«oppio» dell'intelligencija di sinistra, a mettere in evidenza le bugie e le scaltrezze di tutti coloro che hanno rivestito di pacifismo e progressismo la loro cultura mediocre e settaria. Accade spesso che un intellettuale, abituato a misurarsi con la filosofia della Storia e della politica, corra il rischio, quando cerca di afferrare la realtà tra un avvenimento e l'altro, di trovarsi un passo avanti o un passo indietro. Come i grandi presbiti, vede la forma delle cose e le grandi tendenze della Storia meglio di quanto non veda i dettagli 0 il corso tortuoso delle vicende politiche. Ma grazie a questo sguardo «lungo» riesce talora a cogliere il significato essenziale delle cose e ad anticiparne gli sviluppi. I casi in cui questa singolare combinazione di riflessione intellettuale e di militanza giornalistica produce risultati straordinariamente efficaci sono, in Modus vivendi, numerosi. Ecco alcuni esempi. In un articolò del dicembre 1984 («Rivoluzione silenziosa») l'autore osserva che dal 1973, con la riforma fiscale e l'autotassazione, gli italiani hanno cominciato a valutare l'azione dei governi in termini realistici di equità fiscale e calcolo economico. Galli della Loggia ha ragione: è la crescente consapevolezza fiscale che è stata determinante nel suscitare la rivolta di una parte del Paese contro il regime delle clientele e delle tangenti. Ancora un esempio. In un articolo del febbraio 1987 («Elites in fuga dai municipi») Galli della Loggia prende spunto da un avvenimento torinese per se-, gnalare che i partiti hanno cacciato dalle città le vecchie élites municipali e si sono impadroniti «della direzione e della più minuta gestione dei Comuni». Il fenomeno è importapte - continua l'autore - perché ha coinciso «con una crescita impetuosa delle risorse a disposizione delle amministrazioni locali»: da 7 mila miliardi nel I960 a 154 mila miliardi di lire correnti nel 1980. E' davvero sorprendente che cinque anni dopo alcune fra le maggiori città italiane siano travòlte da storie di ordinaria disonestà politica? Un terzo esempio. Nel 1990 Galli della Loggia pubblicò due articoli sulla criminalità mafiosa sostenendo, con larghi riferimenti storici, che la mafia non era prodotta dalla povertà e doveva considerarsi un vasto fenomeno sociale in cui erano coinvolti ceti popolari e piccolo-borghesi. Per debellare questa illegalità di massa le vecchie ricette economiche, fondate sul convincimento che la mafia fosse figlia della povertà, erano inadatte e per molti aspetti dannose. I comandamenti contro la mafia In un articolo del 25 settembre intitolato «Dieci comandamenti contro la mafia», Galli elencò alcuni dei provvedimenti polizieschi e amministrativi a cui occorreva, a suo giudizio, fare ricorso. Qualche giorno fa, in una intervista al Corriere della Sera, il ministro di Grazia e giustizia ha riconosciuto che la mafia è un esercito composto da 5000 capi-cosca, ciascuno dei quali comanda un centinaio di «gregari e affiliati». Ancora una volta Io sguardo lungo dell'intellettuale e dello storico ha colto nel segno. Potrei citare altri argomenti in cui Galli della Loggia ha dato prova di una straordinaria tempestività e lungimiranza: la riunificazione tedesca e il nuovo ruolo della Germania in Europa, la crisi del partito comunista, il collasso dell'Urss, la tirannia della televisione sulla cultura politica. Molte riflessioni sull'attualità, scritte quattro o cinque anni fa, sono ancora più convincenti oggi di quanto non fossero nel momento in cui furono scritte. A differenza dei giornalisti di «1984», il grande romanzo di George Orwell, che riscrivevano continuamente i giornali di ieri per adattarli alla verità di oggi, Galli della Loggia ha scritto sovente in questi anni gli editoriali di domani. Sergio Romano