MEA CULPA PER USA ED EUROPA di Enzo Bettiza

MEA CULPA PER USA ED EUROPA MEA CULPA PER USA ED EUROPA di Milosevic». A me sembra invece che il gravissimo errore degli occidentali, Europa comunitaria e più in particolare Stati Uniti, sia consistito proprio nel contrario: cioè nell'ostinata e rovinosa insistenza con cui per oltre un anno, fino all'evidentissima alluvione armata della Serbia in Bosnia-Erzegovina, essi hanno voluto conservare a tutti i costi in vita il moribondo Stato jugoslavo negando ogni minimo aiuto diplomatico e materiale all'indipendentismo dei croati e degli sloveni. Indipendentismo con indubbi tratti nazionalistici, ma in parte anche fisiologico, difensivo, al cospetto della convulsione militarista del nazionalismo grandeserbo e del progetto politico serbo di assicurare all'egemonia di Belgrado i due terzi del territorio ex jugoslavo. Soltanto la Germania, fra i Dodici della Comunità, si è rifiutata di chiudere gli occhi di fronte alla realtà: essa ha sempre sostenuto che nella crisi balcanica c'erano gli aggrediti e c'era l'aggressore. Insomma, l'errore generale dell'Occidente, a partire dal 1989, non è stato di privilegiare i nazionalismi liberali a danno dei nazionalismi autoritari, ma d'ignorare e di scoraggiare in assoluto tutte le aspirazioni irredentistiche nello sconvolto universo postcomunista. La vera discriminante delle diplomazie occidentali, per circa tre anni, non è stata quella tra nazionalismi buoni e cattivi, ma tra l'antipatia per ogni fremito di nazionalismo e la simpatia per ogni forma anchilosata e superata di federazione centralizzata: l'Urss di Mosca, la Jugoslavia di Belgrado, la Cecoslovacchia di Praga. Il che, si ricorderà, significava no ai baltici, no ai croati, no agli ucraini, no agli sloveni. La dice lunga in proposito l'appoggio dato da Washington a due tipici rappresentanti del veterofederalismo orientale, Gorbaciov e Milosevic. Come la dice lunga l'universale sì a denti stretti che oggi viene sussurrato agli slovacchi. Non è il comunista ma il separatista Meciar che viene scorag¬ giato; nel senso inverso, fino a ieri non era il comunista ma il federalista Milosevic che veniva incoraggiato. Questo pessimo approccio diplomatico ai nuovi fenomeni nazionali dell'Est europeo, questo realismo da cancelleria meccanico e anacronistico, cui paradossalmente manca il senso della realtà, è il frutto della sorpresa di chi ha vinto in modo passivo una guerra senza combatterla sul serio. O meglio: di chi, senza concreti piani di battaglia e di vittoria né per il presente né per il futuro, ha assistito stupefatto all'autosconfitta dell'avversario comunista. Tutto ciò ha colto l'Occidente di contropiede. Esso ha dovuto affrontare le conseguenze imprevedibili di questo stranissimo «dopoguerra», come osserva bene Romano, senza congressi e senza idee. Si è quindi abbarbicato, con una sorta di panico realistico, all'impulso di conservare almeno le vecchie forme istituzionali del mondo antagonistico autodistrutto nella propria sostanza totalitaria. Ecco perché, non trovando di meglio, l'Occidente ha perso tanto tempo, e forse provocato tanti disastri involontari intestardendosi ad applicare all'universo postcomunista una diplomazia ricalcata sugli schemi bloccardi della guerra fredda oimai finita. Si sono inseguiti così, anziché le realtà, i miraggi di una visione conservatrice degli equilibri europei, visione tesa a congelare o addirittura a ricostruire, sulle rovine del comunismo, le antiche strutture federali di Stati multietnici intimamente decomposti e già inesistenti. L'abbaglio non poteva essere più disastroso. Se ne vedono gli effetti soprattutto nella ex Jugoslavia. Invece di prendere immediatamente coscienza e conoscenza dell'emersione dal caos post-totalitario di nazioni insieme nuove e millenarie aspiranti alla sovranità, si è continuato a volerle comprimere entro la lacerata camicia di forza pseudofederale derivata dalla camicia di foiza comunista. La carneficina a questo punto, daltonismo occidentale aiutando, diventava inevitabile: nessuna valvola di sfogo era stata offerta in tempo utile dall'esterno, né dall'Europa né dall'America, alla violenza compressa dentro la duplice camicia di forza. Enzo Bettiza

Persone citate: Gorbaciov, Meciar, Milosevic