Bossi sfida il «governetto» di Amato

Bossi sfida il «governetto» di Amato Il leader leghista: riforme subito, in autunno voto a Milano, o la «sparatoria» sarà generale Bossi sfida il «governetto» di Amato «Se non accettano le riforme, olieremo i kalashnikov» Palazzo Marino? «Tutti a casa, sono dei mascalzoni» MILANO. In Piazza Duomo, proprio davanti all'Arcivescovado e giusto sotto la finestra di Bettino Craxi, è arrivato un Umberto Bossi furioso. A Roma aveva appena lasciato interdetti i cronisti di Montecitorio e spara parole a raffica. Se il «governetto» di Giuliano Amato non provvede alle riforme, se a Milano non si andrà ad elezioni anticipate in autunno, allora «ci sarà la sparatoria generalizzata». Con che? «Stiamo oliando i kalashnikov», ha risposto Marco Formentini, il capo dei deputati leghisti. E Bossi, serissimo e minaccioso: «Siamo un popolo che non ha mai perso una guerra. Se non cambia niente, secondo me arriveranno rapidamente scelte drastiche». Il suo professor Miglio ha appena finito di prendersela nientemeno che con il Papa, e Bossi condivide. Ma questa Piazza Duomo che si riempie pare lo distragga. Un pace e bene a Giovanni Paolo II. Un de profundis per il governo Amato. E poi basta. Qui siamo a Tangentopoli, qui siamo nella Milano che il 5 aprile ha dato alla Lega il primo posto, come a Brescia e più di Brescia. E se è vero che il voto ha dimostrato l'esistenza di due Italie, questa è la capitale vera e da qui si parte per la Crociata. Quando finisce il comizio è Miglio a dare l'annuncio: «Dalle prossime elezioni usciremo vincitori e daremo a questa capitale della Padania un grande sindaco: Umberto Bossi!». Al solito, tutte frasi da punto esclamativo, applausi e cori. L'orgoglio leghista, alla fine, sarà gratificato: «Questo Parlamento è molto debole, e la forza dei nostri 80 è quella di un cuneo compatto. E se considerate che la de è divisa in sei, possiamo ben dire che la Lega è il più grande partito presente a Roma!». La piazza non ha bisogno di' scaldarsi; ma Bossi è il solito animale da comizio e la trascina ancora: «Prepariamoci allo scontro frontale con la partitocrazia. Prepariamoci a mandarli via, a casa. E prepariamoci a governare!». E forse è proprio questa la novità di Piazza Duomo: non più chiedere i voti per contarsi, ma cominciare ad usarli per governare al Nord. Qui, il 3 aprile, sotto la pioggia, aveva chiuso la campagna elettorale. E qui ieri, sempre sotto la pioggia, ha aperto la sua campagna elettorale per Milano. E' sicuro Bossi: i partiti milanesi non troveranno un accordo, Borghini non ce la farà. «Milano era una bella città, guardate come l'hanno ridotta. Ci hanno messo sotto il tallone delle tangenti, perfino sui nostri morti! Noi non abbiamo mai avuto fretta di raggiungere le poltrone, abbiamo detto no quando non eravamo pronti. Ma adesso diciamo sì e non ci faremo ingannare, chissà quando faranno la nuova legge elettorale per i Comuni... Mai! Nossignori: a Milano andiamo alle elezioni!». Non che avesse grandi speranze, ma per Bossi è il voto del 5 aprile che non è stato compre- so. Se a Roma, vedi elezioni dei presidenti di Camera e Senato, vedi Quirinale, vedi Palazzo Chigi, il vento della Padania non è ancora arrivato, tanto vale tornare in Piazza Duomo e rilanciare. «Nel Palazzo putrescente di Roma i partiti sono già tutti delegittimati», ripete tre volte. E a Milano pure. «Signor prefetto - e invoca uno scioglimento d'ufficio del Consiglio comunale -, questi non possono restare un minuto di più. Sono tutti mariuoli. E' una classe politica che gioca una partita mafiosa. La magistratura si è mossa solo tre mesi fa, quando l'ondata di aprile era giù sicura». E' un altro tifoso del giudice Di Pietro, Bossi. Ma con riserve e rancore. «Fino a qualche mese fa mettevano noi sotto inchiesta, e solo per le nostre sacrosante verità. Adesso quello che tutti sapevano è diventato reato. Ma stanno colpendo solo una minima parte del malaffare. Basterebbe andare in un qualsiasi Comune e controllare le varianti dei piani regolatori in periodi elettorali... Non basterebbero due stadi di San Siro per tenerli dentro tutti, i farabutti». Riserve su una magistratura «che per anni ha soffocato scandali gravissimi e coperto la strategia della tensione». E in queste settimane, invece, «sta salendo sul carro del vincitore». Il Bossi più cupo è quello che vede oscure trame sul suo oriz- zonte: «Non mi meraviglierei se un volantino, che so?, firmato "Lombardia Libera", rivendicasse un attentato a un treno che salta, che so? in Calabria...». Ma il Bossi più applaudito da Piazza Duomo resta il candidato sindaco di Milano. «Questo non è l'ultimo comizio, è il primo. Ne verrò a fare uno al mese, anche in agosto. Questi qui hanno paura delle elezioni, non sanno che simboli presentare, copieranno il nostro, faranno liste Di Pietro, Borghmi si metterà in proprio con il "Mur", che per me vuol dire Movimento unitario dei rincoglioniti...». E via così, è il Bossi che alla piazza piace di più. E però Bossi, di questi tempi, è l'unico politico che si può presentare in Piazza Duomo senza rischiare fischi o figuracce. Anche questo è un effetto di Tan- gentopoli. Un Bossi che può ricorrere senza problemi alle sue metafore nostalgiche e guerresche: «L'ultima volta che Milano è stata felice era ai tempi dell'Austria felix», le «sparatorie generalizzate», i «kalashnikov», i «non alzeremo mai bandiera bianca!», i «combatteremo con tutte le nostre armi». Perfino «muoveremo i nostri cingolati» e «la baionetta è sul moschetto». Metafore che il popolo leghista conosce e applaude da anni. E magari, in questi giorni, si rilegge nel libro Garzanti di Stefano Allievi, ricercatore dell'università di Lovanio: «Le parole della Lega», appunto. «Quando le dico - ride Bossi - i giornali mi fanno i titoloni e mi danno più spazio. E le dico apposta». Giovanili Cerniti «Ormai siamo pronti allo scontro frontale conia partitocrazia Basta aspettare: dobbiamo prepararci per palazzo Chigi» e o e , a n o e a E o a o i E W%m Umberto Bossi durante il comizio di ieri in piazza del Duomo A sinistra: Gianfranco Miglio