Che visioni dalla Svizzera

Che visioni dalla Svizzera Fùssli e altri a Venezia Che visioni dalla Svizzera A VENEZIA Ca' Pesaro, fino al 19 luglio, la preziosa collezione di arte svizzera moderna e contempora¬ nea del Museo Cantonale di Aa rau presenta 67 dipinti, fra la cultura illuminista e protoromantica di Caspar Wolf e di Fùssli, l'arte «nabi» di Vallotton e di Amet, e quella divisionista di Giovanni Giacometti, padre di Alberto; attraverso le grandi tappe di Bòcklin e di Hodler. Parecchie rivelazioni, al di là dei nomi consolidati (sebbene anche quelli di Fùssli, di Léopold Robert, di Vallotton abbiano da noi risonanza non clamorosa e relativamente recente); ma soprattutto la sacrosanta contestazione del luogo comune, secondo il quale l'operosa, opulenta, in antichi tempi bellicosa e mercenaria libera confederazione abbia concesso piuttosto poco alle arti, e semmai come tributaria di culture più «forti». Ebbene, la prima oggettiva veduta di un identificabile paesaggio è nata nella freschissima originaria confederazione del '400, dal pennello di Konrad Witz, e subito dopo, nel travaglio fra lanzichenecchi e calvinisti, subito alle spalle di Dùrer e di Grùnewald si pone per qualità il formidabile trio di Holbein il Giovane, Manuel Deutsch e Urs Graf. Holbein è più classico e mediterraneo dello stesso Dùrer, Graf è grande incisore fantastico e lanzichenecco in Lombardia: all'opposto del luogo comune di cui sopra, è peculiare dell'arte svizzera fin dalle origini il suo carattere di periferia eterodossa, innovatrice, in mezzo alle grandi voci dal Nord tedesco, dal Sud italiano, dall'Ovest francese. In questo spirito, ad apertura della mostra veneziana, il nutrito gruppo di oli e acquerelli di Caspar Wolf, recupero di questi ultimi decenni dopo 150 anni di totale oblio, fra il 1774 e il 1778 ci presenta, fra rocce, ghiacciai, «marmitte dei giganti», le prime visioni in assoluto delle alte Alpi. In esse questo contemporaneo di De Saussure abbina in maniera straordinaria il gusto settecentesco preromantico deH'«orrido» e del «sublime» con la diretta rappresentazione illuminista del fenomeno naturale: Temporale e fulmine sul ghiacciaio inferiore di Grindewald, 1774. L'immagine, ancora più eterodossa, dell'altro versante onirico, fantastico, inconscio di quel tempo che è preludio di tutte le rivoluzioni, è offerto nei tre quadri di Fùssli, fra Shakespeare, Omero e il Dante di Paolo e Francesca. Di qui in avanti, è tutto un gioco singolare e affascinante di echi e varianti fra il polo tedesco (il più pressante) e quello francese, spesso fra loro commisti e confrontati - il grande Hodler è esemplare al riguardo -; e di annessioni e prestiti dalle e alle terre limitrofe: il grande paesaggista neocinquecentesco e romantico Koch, in Svizzera fra l'originario Tirolo e la finale Roma dei Nazareni; l'«italianizant» Robert, suicida d'amore a Venezia nel 1835. Massimo prestito, di Basilea a Monaco e a Firenze, è quello di Arnold Bòcklin, lume di Giorgio de Chirico, con il capolovoro La Musa di Anacreonte, di opulenza venezianeggiante, vincitore nel 1873 di un concorso indetto dal museo stesso. Le rivelazioni più belle sono a conclusione della mostra: Vallotton, con gli altissimi «valori» del Natura Morta, la lucidità quasi casoratiana dei due Ritratti, la Veduta romana del 1913 che fa pensare a un primo Guidi o a un primo Mora ridi; l'intarsio «cloisonné», bretone, di nature morte e paesaggi di Amiet, che lo affratella invece al nostro Gino Rossi, ma con una virulenza cromatica ben adatta all'unico non tedesco membro del Brùcke a Dresda. Marco Rosei Un autoritratto di Fiissii. Il pittore è presente a Ca' Pesaro con altri artisti elvetici moderni e contemporanei fino al 19 luglio