Braque: il volo nei cieli del colore

Braque: il volo nei cieli del colore A Martigny un'antologica (150 opere) sui momenti più alti dell'artista Braque: il volo nei cieli del colore Emozioni sì, ma con regola MARTIGNY DAL NOSTRO INVIATO Nelle insegne innalzate per l'estate sui pennoni della Fondazione Pierre Gianadda, a Martigny, uno straordinario volo di «Uccelli neri» scivola ad ali spiegate sulla tangibile materia grigio-azzurro che dà corpo ad un cielo luminoso: ed è subito Braque. In mostra - lungo il quadrilatero che all'interno della Fondazione segna l'area archeologica (con i ruderi del più antico tempio gallo-romano della Svizzera) e nelle sale adiacenti, verso il Museo dell'Automobile - sono una settantina di dipinti ad olio, oltre ad una scelta di più di altrettante incisioni e litografie originali, alcune sculture e i libri illustrati in edizioni da amatori: un insieme stupendo, soprattutto perché consente una puntuale rivisitazione dell'intera vicenda dell'artista, tra i più grandi del XX secolo. E' quanto si verifica sia sul versante di una tradizione che, col Cubismo, s'era improvvisamente aperta al rinnovamento delle avanguardie storiche, sia nel ricupero d'un classicismo che in Braque si manifestò anche nella modernità delle Teste greche delle suggestive incisioni dei primi Anni 50. Non prima, però, d'aver fuso quei mondi, apparentemente antitetici, nei capolavori del periodo tra le due guerre e oltre. Si pensi a Le Compotier (1918-20) e alle successive nature morte fino all'Atelier col teschio del '38 - che è «memento» ma soprattutto «premonizione» per la guerra che si stava avvicinando - e, più ancora, alle grandi composizioni di interni con figure. Tipica La pazienza (1942) con il volto in parte illuminato, mentre nereggia nel lungo profilo, in accordo con la notte su cui s'apre la finestra in fondo. E così Donna col libro (1945) fino al fantasioso Bigliardo (1949) e l'alchemica ricerca di armonici rimandi cui s'ispira Atelier VI (della fondazione Maeght di St-Paul), al pari de La Notte evocata, col suo fondo nero, nel grande, raro, nudo femminile: il risveglio sottolineato dal libero volo di un uccello notturno. Per Georges Braque (18821963) - nato ad Argenteuil-surSeine, cara agli Impressionisti - la pittura era stata un'eredità famigliare: coltivata dal nonno, amatore d'arte, come dal padre, Charles, che, titolare di un'impresa di decorazioni e buon dilettante, aveva a volte esposto ai Salon parigini. Fin dal 1890 Georges, trasferitosi con i suoi a Le Havre, aveva frequentato il liceo senza diplomarsi, avendogli preferito i corsi serali della Scuola di Belle Arti, affascinato dalla vita del porto e dalle pagine del «Gii Blas» con le immagini di Steinlen e di Toulouse-Lautrec. A scandirne l'attività, in quel periodo, furono il soggior- no parigino (1900) seguito da un anno di militare, poi l'Accademia Humbert (dove conobbe Picabia e Maria Laurencin), tornando a frequentarla dopo esser passato per l'atelier di Leon Bonnat, mentre studiava gli Impressionisti al Museo del Luxembourg e nelle gallerie di Durand-Rouel e Vollard. Tra i dipinti più antichi Jean-Louis Prat, direttore della Fondazione Maeght di Saint-Paul e curatore della mostra (come del catalogo che ha anche testi inediti di Dora Vallier e Pierre Daix), ha scelto un Paesaggio d'Harfleur (un paesino sorto su un affluente della Senna) tutto brevi pennellate cariche di colore. E non lontano dal ritratto con La nonna dell'Artista, nella luminosa risonanza del lucido senso plastico che lega il volto e le due mani posate sul bordo d'un tavolo. Rapidamente la tavolozza si schiarisce anche per gli influssi di Dufy e Othon Friesz, conosciuti a Le Havre e ritrovati a Parigi. Ma di U a poco, al richiamo dei fauves, nel «Cahier de Georges Braque» edito da Maeght (Parigi 1956), l'artista avrebbe annotato: «La libertà si prende, non si dona». All'influsso chiarificatore di Cézanne s'associa allora l'esplosione della luce-colore che, intorno al 1906, caratterizza i paesaggi deWEstaque: il piccolo porto presso Marsiglia, dove Braque giunse d'inverno scoprendo il sole del Mezzogiorno che entra così nella sua tavolozza: allo stesso modo gli Impressionisti erano stati conquistati dalla novità dell'atmosfera. Gli alberi di Braque si tinsero allora di rosso e di blu, non diversamente dalla figura umana, co¬ me nel Nudo seduto (di collezione parigina), mentre le pennellate brevi, sature di colore, ricordano gli antichi smalti medioevali. Poi la svolta. L'incontro con Picasso e, per entrambi, l'approdo cubista, uno dei momenti fondamentali per il rinnovamento del lin- ' guaggio visi- 3 vo del nostro secolo. Tra loro dovettero subito intendersi, Braque e Picasso. Con tutto quello che poteva unirli a cominciare dall'età (Picasso aveva soltanto sei mesi in più) mentr'erano poi così diversi, anche fisicamente. Piccolo, fiero, orgoglioso lo spagnolo di Malaga, con un'accademia alle spalle e gli estri del genio; Braque appariva invece, come un gigante, col gusto e la pazienza dell'artigiano che gli aveva fatto dichiarare, come ricorda Léonard Gianadda in apertura di catalogo: «Amo la regola che corregge le emozioni». Erano stati colpiti dalla retrospettiva di Cézanne al Salon d'Automne del 1907, l'anno stesso delle Demoiselles d'Avignon di Picasso, dove l'eco dell'arte negra si mescola ad una struttura formale che ne fa l'incunabolo del Cubismo. I tempi erano dunque maturi. E nei paesaggi come nelle nature morte - dove potè sembrare più diretto il fraseggiato linguaggio cubista che passa per le piccole case immerse nella vegetazione come per le forme d'una chitarra o di altri strumenti musicali - il colore dei fauves cede il passo alle castigate trame compositive, d'una visione spaziale che costituisce l'inedito loro apporto poetico. Picasso e Braque lavorarono allora a gomito a gomito, ed è significativo che - come potè verificarsi nella grande mostra (1989) del Moina di New York, «Picasso and Braque: pionee ring cubism» - di certi quadri rimasti senza firma sia praticamente impossibile identificare l'autore. Anche Braque ebbe il suo cubismo analitico, con i piani e le scansioni formali. Egli contribuì d'altra parte al suo sviluppo con l'inserimento di lettere e numeri, di papiers collés e d'altri elementi della realtà. Con il 1913 si delinea il periodo sintetico. Poi scoppiò la guerra: Braque venne richiamato e, alla stazione di Avignone, Picasso andò a salutarlo. Braque fu ferito alla testa ed ebbe una lunga convalescenza. Picasso lasciò la Francia, conobbe e sposò Olga Koklova. La guerra finì e lo spagnolo fece ritorno a Parigi, le loro strade apparivano però divise. Picasso continuò a sorprendere, a stupire, con la stessa sua foga creativa. Braque prese invece a puntare su quella ricerca consapevole dei suoi stessi limiti: per sfidarli però ogni volta, come i suoi uccelli lanciati oltre gli orizzonti, per cieli d'ogni colore. Meritando così di vedersi schiudere, nel 1961, le sale del Louvre che per la prima volta hanno accolto e celebrato così l'opera d'un vivente. Angelo Dragone Dall'influsso dei «fauves» alla svolta cubista: una ricerca che fondeva avanguardie e classicismo ' 3 Una fotografia di Georges Braque al lavoro nel 1958. Sopra: «Les instruments de musique» (1908) Qui sotto: «Les oiseaux noirs», celebre olio su tela del 1956 che è diventato il manifesto della rassegna